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Senofonte

Anabasi

Edizione Acrobat

a cura di

Patrizio Sanasi

(patsa@tin.it).2

LIBRO I

1

1 Da Darioe Parisatidenascono due figli, il maggiore Artaserse, il minore Ciro; Dario, quando si ammalò e

presagì la fine della vita, li volle entrambi accanto a sé. 2 Il maggiore si trovava già lì. Ciro viene richiamato dalla

regione di cui il padre lo aveva nominato satrapo; lo aveva anche designato comandante di tutte le truppe concentrate a

Piana del Castolo. Ciro, dunque, si avvia verso l'interno e porta con sé Tissaferne, che stimava amico, con trecento opliti

greci agli ordini di Sennia di Parrasia. 3 Quando Dario muore e Artaserse sale al trono, Tissaferne calunnia Ciro agli

occhi del fratello e lo accusa di tramare contro di lui. Artaserse gli dà ascolto e arresta Ciro per metterlo a morte; ma la

madre, avendo interceduto, lo rimanda nella regione.

4 Appena partito, dopo il pericolo corso e l'oltraggio subito, medita di non dipendere più dal fratello, ma, se gli

riesce, di regnare al suo posto. La madre Parisatide, in effetti, favoriva Ciro, perché lo amava di più del regnante

Artaserse. 5 Chiunque venisse a trovarlo da palazzo, Ciro faceva in modo che al momento del congedo fosse più amico

suo che del re. Inoltre, curava che i barbari suoi sudditi diventassero soldati valorosi e a lui devoti. 6 E andava

raccogliendo truppe greche, nella massima segretezza possibile, per sorprendere il re quanto più impreparato.

Così dunque procedeva al reclutamento: nelle città che ospitavano le sue guarnigioni, ordinò a ciascun

comandante di raccogliere uomini del Peloponneso, quanto più numerosi e forti, col pretesto che Tissaferne stesse

complottando per metter le mani sulle città stesse. Le città della Ionia, infatti, in passato erano state affidate dal re a

Tissaferne, ma all'epoca erano passate dalla parte di Ciro, tutte tranne Mileto. 7 Tissaferne, presagendo che a Mileto

avessero in animo la stessa manovra, ossia che avessero l'intenzione di passare dalla parte di Ciro, ne uccide alcuni e

altri ne manda in esilio. Ciro, accolti i fuorusciti e radunato l'esercito, strinse d'assedio Mileto, per terra e per mare, nel

tentativo di ricondurre in patria gli esuli. Era in realtà un'altra scusa per raccogliere truppe. 8 Nelle sue ambasciate al re,

poi, andava sostenendo che le città spettavano a lui, che era fratello del sovrano, non certo al dominio di Tissaferne, e la

madre appoggiava le sue richieste. Così il re non si accorgeva di essere il bersaglio, ma credeva che il fratello spendesse

denaro per allestire un esercito contro Tissaferne. E una guerra tra i due non gli dava affatto fastidio. Tanto più che Ciro

continuava a inviare al re i affatto tributi delle città prima in mano a Tissaferne.

9 Un altro esercito era reclutato per lui nel Chersoneso, di fronte ad Abido, nel modo seguente: Clearco era un

esule spartano; Ciro ebbe occasione di frequentarlo, nutrì per lui profonda stima e gli concesse diecimila darici. Clearco

prese il denaro e, con tali mezzi, allestì un esercito: muovendo dal Chersoneso, attaccava i Traci che abitano al di là

dell'Ellesponto, rendendo un grande favore ai Greci, al punto che le città dell'Ellesponto, di loro spontanea volontà, lo

sovvenzionavano per il vettovagliamento delle truppe. Così un altro esercito per lui era mantenuto di nascosto. 10

Aristippo il tessalo, uomo a lui legato da vincoli di ospitalità, in patria era messo alle strette da un partito avverso. Si

reca da Ciro e gli chiede duemila mercenari e la paga per tre mesi, per avere così la meglio sugli avversari. Ciro gliene

dà quattromila e la paga per sei mesi, ma lo prega di non venire a patti con gli avversari prima di essersi consultato con

lui. Così anche in Tessaglia teneva nascosto un esercito da lui sovvenzionato.

11 A Prosseno il beota, a lui legato da vincoli di ospitalità, chiede di raccogliere quanti più uomini fosse

possibile e di raggiungerlo, con la scusa di voler muovere contro i Pisidi, perché - diceva - recavano molestie al suo

territorio.

Sofeneto di Stinfalo e Socrate l'acheo, anche loro suoi ospiti, li invitò a raccogliere il maggior numero di

soldati e a raggiungerlo, per attaccare Tissaferne, con l'appoggio dei fuorusciti di Mileto. I due eseguirono gli ordini.

2

1 Quando gli sembrò giunto il momento di mettersi in marcia verso l'interno, tirò fuori il pretesto di voler

scacciare del tutto i Pisidi dalla regione. E, come se si preparasse a un attacco, raccoglie truppe barbare e greche. Quindi

comunica a Clearco di raggiungerlo alla testa dei soldati alle sue dipendenze, e ad Aristippo di scendere a un accordo

con i suoi concittadini e di inviargli l'esercito che aveva con sé. Sennia l'arcade, che in sua vece comandava il

contingente straniero nelle città ioniche, manda a dire di prendere tutti gli effettivi, tranne le truppe necessarie a

presidiare le roccaforti. 2 Richiamò gli uomini impegnati nell'assedio di Mileto e invitò gli esuli a unirsi alla sua

spedizione, promettendo che, in caso di successo, non avrebbe deposto le armi prima di averli ricondotti in patria. Gli

obbediscono prontamente perché avevano fiducia in lui. Armati di tutto punto, lo raggiunsero a Sardi. 3 Sennia, alla

testa dei soldati delle città ioniche, giunse a Sardi con circa quattromila opliti; Prosseno con all'incirca millecinquecento

opliti e cinquecento gimneti; Sofeneto di Stinfalo con mille opliti; Socrate l'acheo grosso modo con cinquecento opliti;

Pasione il megarese con trecento opliti e trecento peltasti. Quest'ultimo e Socrate erano tra quelli che stavano

combattendo a Mileto. 4 Tutti raggiunsero Ciro a Sardi.

Tissaferne aveva avuto sentore delle manovre ed era convinto che si trattasse di preparativi troppo imponenti

per una spedizione contro i Pisidi; allora si reca dal re in tutta fretta con circa cinquecento cavalieri. 5 Il re, appena

seppe da Tissaferne dell'esercito di Ciro, preparò le adeguate contromisure..3

Ciro, con le truppe che ho detto, muove da Sardi. Attraverso la Lidia, avanza in tre tappe per ventidue

parasanghe fino al fiume Meandro, larghezza due pletri; c'era un ponte ottenuto con sette barche legate insieme. 6 Dopo

averlo varcato, percorre la Frigia in una sola tappa di otto parasanghe fino a Colosse, città popolosa, prospera e grande.

Vi rimane sette giorni. Lo raggiunse Menone il tessalo, alla testa di mille opliti e cinquecento peltasti, Dolopi, Eniani e

Olinti.

7 Da qui avanza in tre tappe per venti parasanghe fino a Celene, città della Frigia, popolosa, grande e prospera,

dove Ciro possedeva una reggia e un grande parco, pieno di animali selvatici, che lui cacciava a cavallo, volendo tenere

in esercizio se stesso e i suoi destrieri. Nel mezzo del parco scorre il Meandro: le sue sorgenti nascono nella reggia e il

suo corso si snoda attraverso la città di Celene. 8 Anche un palazzo fortificato del gran re sorge a Celene, nei pressi

delle fonti del fiume Marsia, ai piedi dell'acropoli. Anche il Marsia scorre attraverso la città e si getta nel Meandro.

Ampiezza del Marsia: venticinque piedi. Si racconta che qui Apollo, dopo aver vinto Marsia, suo rivale in una gara di

abilità, lo scorticò e ne appese la pelle nell'antro vicino alle sorgenti: ecco perché il fiume ha il nome di Marsia. 9 Qui

Serse, quando lasciò la Grecia vinto in battaglia, costruì - narrano - la reggia e l'acropoli di Celene. Ciro vi si trattenne

trenta giorni. Lo raggiunse l'esule spartano Clearco con mille opliti, ottocento peltasti traci e duecento arcieri cretesi. Al

tempo stesso giunge Sosi il siracusano con trecento opliti e Sofeneto l'arcade con mille. Qui, nel parco, Ciro passò in

rassegna le truppe greche e le contò: il numero totale degli opliti era di undicimila, i peltasti risultarono circa duemila.

10 Quindi, in due tappe, avanza per dieci parasanghe fino a Pelte, città popolosa. Vi rimane tre giorni, durante i

quali Sennia l'arcade celebrò le feste liceee istituì i giochi. I premi erano strigilid'oro. Vi assisteva anche Ciro.

Quindi, in due tappe, avanza per dodici parasanghe fino a Mercato delle Ceramiche, città popolosa, l'ultima in

direzione della Misia.

11 Da qui in tre tappe per trenta parasanghe avanza fino a Piana del Caistro, città popolosa. Vi soggornò cinque

giorni. Doveva più di tre mesi di paga ai soldati, che diverse volte si recarono alle sue porte per chiedergli il soldo. Ma

lui, con parole che ispiravano fiducia, cercava di tirare per le lunghe ed era in chiara difficoltà: non faceva parte infatti

della natura di Ciro avere e non dare.

12 Qui giunge Epiassa, moglie di Siennesi, re dei Cilici. Stando alle voci, aveva portato a Ciro molto denaro.

Fatto sta che Ciro diede all'esercito la paga di quattro mesi. La regina aveva una guardia del corpo formata da Cilici e

Aspendi. Si diceva anche che Ciro se la intendesse con lei.

13 Poi, in due tappe, avanza per dieci parasanghe fino a Timbrio, città popolosa. Lungo la strada c'era la

fontana detta di Mida, re dei Frigi, presso la quale appunto Mida, come dicono, aveva catturato il Satiro, mescolando

l'acqua della fonte col vino.

14 Da qui, in due tappe, avanza per dieci parasanghe fino a Tirieo, città popolosa. Vi si ferma tre giorni. A quel

che si racconta, la regina dei Cilici pregò Ciro di mostrarle l'esercito: Ciro acconsentì e nella pianura passò in rassegna

le truppe greche e barbare. 15 Diede ordine ai Greci di schierarsi e di mantenere la posizione che assumevano in

battaglia secondo il loro uso. Ordinò poi a ciascun comandante di disporre in formazione i propri soldati. Si allinearono

dunque su quattro file: alla destra Menone con i suoi, alla sinistra Clearco e le sue truppe, al centro gli altri strateghi. 16

Ciro passò in rassegna prima i barbari, che sfilavano disposti per squadre e schiere, poi i Greci, lui su un carro da guerra

e la regina cilicia su un carro coperto. Tutti i soldati avevano elmi di bronzo, tuniche rosse, schinieri e scudi senza

fodero. 17 Dopo aver completato la rivista, si fermò col carro di fronte alla falange centrale e, inviato ai comandanti

greci l'interprete Pigrete, ordinò che spianassero le armi e che tutto quanto il reparto si lanciasse alla carica. I

comandanti trasmisero l'ordine ai soldati: agli squilli di tromba mossero in avanti, lance in resta. Poi, aumentando la

cadenza, tra alte grida i soldati finirono spontaneamente per correre verso le tende, seminando il pànico tra i barbari. 18

Anche la regina cilicia fuggì sul carro, anche i mercanti, abbandonate le loro mercanzie, fuggirono. I Greci, tra le risa,

giunsero alle tende. La regina cilicia rimase colpita dallo splendore e dall'organizzazione dell'esercito. Ciro invece, in

cuor suo, provò gioia nel vedere il terrore che i Greci avevano suscitato nei barbari.

19 Poi, in tre tappe, avanza per venti parasanghe fino a Iconio, l'ultima città della Frigia. Vi si fermò tre giorni.

Da qui muove attraverso la Licaonia, percorrendo in cinque tappe trenta parasanghe. Concesse ai Greci di

saccheggiare la regione, perché nemica.

20 Poi Ciro rimanda in Cilicia la regina per la via più breve. Insieme a lei inviò Menone e i suoi soldati. Con il

resto dell'esercito attraversa la Cappadocia- quattro tappe per venticinque parasanghe - giungendo a Dana, città

popolosa, grande e prospera. Vi si trattenne tre giorni, durante i quali mise a morte il persiano Megaferne, dignitario di

corte, nonché un altro funzionario, con l'accusa di complotto ai suoi danni.

21 Da qui cercò di passare in Cilicia. L'accesso era consentito da una strada carrabile sì, ma fortemente in

salita, che rendeva impossibile il transito a un esercito, se qualcuno lo ostacolava. Si diceva anche che Siennesi fosse

sulle alture e stesse sorvegliando il passaggio. Perciò Ciro rimase un giorno nella pianura. L'indomani giunse un

messaggero a comunicare che Siennesi aveva abbandonato le alture, non appena era venuto al corrente che l'esercito di

Menone stava ormai al di là dei monti, in Cilicia, e gli era giunta voce che Tamo, veleggiando dalla Ioniaverso la

Cilicia, era in arrivo con triremi di Sparta e di Ciro stesso. 22 Ciro allora salì sui monti senza trovar nessun ostacolo e

vide le tende dove i Cilici avevano montato la guardia. Poi scese in una pianura grande e bella, ricca di acque, folta di

alberi di ogni specie e di viti: produce in abbondanza sesamo, miglio, panìco, frumento e orzo. Monti inespugnabili e

altissimi la circondano su tutti i lati, da mare a mare. 23 Disceso dunque in questa pianura, percorse in quattro tappe

venticinque parasanghe fino a Tarso, grande e prospera città della Cilicia, dove sorgeva la reggia di Siennesi, [re dei

Cilici]. Nel cuore della città scorre un fiume di nome Cidno, largo due pletri. 24 Gli abitanti, tutti tranne i bottegai,.4

evacuarono la città con Siennesi, per rifugiarsi in una zona fortificata, sui monti; rimasero anche gli abitanti della zona

costiera, a Soli e a Isso.

25 Epiassa, moglie di Siennesi, arrivò a Tarso cinque giorni prima di Ciro. Mentre valicavano i monti per

ridiscendere in pianura, trovarono la morte due reparti del contingente di Menone. Alcuni dicevano che, mentre stavano

saccheggiando, erano stati massacrati dai Cilici; altri invece sostenevano che, lasciati indietro e non avendo saputo

trovare il resto dell'esercito né la strada, dopo aver a lungo vagato, erano morti. Si trattava di cento opliti. 26 Gli altri,

non appena giunsero, infuriati per la perdita dei compagni, si misero a saccheggiare la città [di Tarso] e la reggia che lì

sorgeva. Ciro, quando entrò in città, convocò Siennesi. Costui per prima cosa gli mandò a dire che in passato non era

mai caduto nelle mani di un uomo più forte di lui; e non volle andare da Ciro, prima che la moglie lo convincesse e che

gli venissero fornite garanzie. 27 In séguito, quando i due s'incontrarono, Siennesi diede a Ciro molto denaro per il suo

esercito; Ciro, dal canto suo, contraccambiò con doni che giudicava degni di un re: un cavallo con un morso d'oro, una

collana d'oro, braccialetti, una scimitarra d'oro e una veste persiana; inoltre, promise di non saccheggiare più le sue terre

e gli concesse di riprendersi gli schiavi catturati, se per caso fossero incappati nei suoi.

3

1 Qui Ciro e l'esercito restarono venti giorni. I soldati infatti dicevano di non voler proseguire: sospettavano

ormai di andare contro il re e non erano stati reclutati, sostenevano, per un'impresa del genere. Per primo Clearco cercò

di costringere con la forza i suoi soldati a muoversi. Ma lui e i suoi animali da soma vennero bersagliati di pietre, non

appena si misero in marcia. 2 Nella circostanza poco ci mancò che Clearco finisse lapidato; in séguito, quando capì che

la forza non serviva, convocò l'assemblea delle proprie truppe. Prima versò molte lacrime, rimanendo a lungo immobile.

I soldati, a tale vista, restarono attoniti e in silenzio. 3 Quindi parlò così:

«Miei soldati, non meravigliatevi se soffro per come stanno le cose. A Ciro sono legato da vincoli di ospitalità,

e quando ero in esilio, mi ha accolto con molti onori e donato diecimila darici. Li ho presi, ma non li ho messi da parte

per il mio interesse personale o per dilapidarli: li ho spesi per voi. 4 Prima ho mosso guerra ai Traci, e per il bene della

Grecia li ho puniti, grazie al vostro aiuto, scacciandoli dal Chersoneso, mentre cercavano di sottrarre quel territorio ai

Greci che lo abitavano. E nel momento in cui Ciro mi ha chiamato, mi sono messo in cammino alla vostra testa per

dargli una mano, se ne avesse avuto bisogno, in nome dei benefici da lui ricevuti. 5 Ora, voi non intendete seguirmi e io

mi trovo a un bivio: o mantenere l'amicizia di Ciro tradendo voi oppure rimanere con voi mancando di fede a lui. Se

prenderò la decisione giusta, non lo so; in ogni caso sceglierò voi e rimarrò con voi, sia quel che sia. Nessuno mai dirà

che ho guidato dei Greci contro i barbari, ma poi ho tradito i Greci preferendo l'amicizia dei barbari. 6 Ma siccome non

mi volete dar retta, sarò io a seguirvi, sia quel che sia. Voi per me siete la patria, gli amici, i compagni, ne sono

convinto; con voi, penso, sarò sempre rispettato dappertutto; senza di voi invece non credo che sarei capace neppure di

soccorrere un amico né di difendermi da un nemico. Dunque, siatene certi, vi seguirò dovunque andiate».

7 Tali furono le sue parole. I soldati suoi e degli altri comandanti, quando udirono che non intendeva marciare

contro il re, lo applaudirono. Più di duemila uomini di Sennia e di Pasione presero le armi e i bagagli e si accamparono

vicino a Clearco. 8 Ciro, non sapendo che fare e addolorato per la situazione, mandò a chiamare Clearco. Quest'ultimo

rifiutò l'invito, ma all'insaputa degli altri comandanti inviò a Ciro un messo e gli disse di star tranquillo: le cose

sarebbero andate per il meglio. Lo pregava inoltre di mandarlo a chiamare ancora, ma lo avvisava che non si sarebbe

mosso.

9 Dopo di che, convocò i propri soldati e gli altri che si erano a lui uniti e chiunque volesse intervenire. Ecco le

sue parole: «Miei uomini, Ciro adesso, è chiaro, si regola con noi come noi con lui. Non siamo più alle sue dipendenze,

non lo seguiamo più, e allora lui non ci corrisponde più il soldo. 10 Pensa di aver subito da parte vostra un grave torto,

ne sono sicuro. Perciò, sebbene mi mandi a chiamare, non me la sento di rispondere al suo invito, primo - ed è il motivo

più importante - perché mi vergogno, consapevole come sono di aver tradito tutte le sue aspettative; poi anche perché

temo che mi arresti e mi faccia pagare le colpe di cui mi ritiene responsabile. 11 Dunque, non mi sembra proprio il

momento di dormire né di lasciarci andare, ma di decidere che fare sulla base delle decisioni assunte. Finché rimaniamo

qui, dobbiamo pensare, mi sembra, a come restarci in tutta sicurezza; se invece si decide di andare via sùbito, occorre

pensare a come andarcene con altrettanta sicurezza e a come procurarci i viveri necessari. Senza di questi infatti né un

comandante né un soldato semplice è buono a nulla. 12 Ciro poi è un uomo straordinario, se gli sei amico; ma diventa

un nemico implacabile, se gli sei ostile. La forza di cui dispone, fanteria, cavalleria e flotta, l'abbiamo tutti sotto gli

occhi e la conosciamo: non è accampato, crediamo, lontano da qui. Insomma, se qualcuno ha un'idea buona, è il

momento di dirla». Così terminò il suo discorso.

13 Allora alcuni si alzarono spontaneamente, per formulare il proprio parere; altri invece, imbeccati da

Clearco, mostravano a quali difficoltà sarebbero andati incontro senza il consenso di Ciro, tanto rimanendo quanto

andandosene. 14 Uno, con l'aria di chi ha una gran fretta di partire per la Grecia, disse di scegliere sùbito altri

comandanti, se Clearco non era disposto a condurli via. I viveri, continuava, bisognava comprarli - c'era un mercato

nell'armata barbara - poi preparare i bagagli e recarsi da Ciro a chiedere delle imbarcazioni, per salpare. E se non le

concedeva, gli si doveva chiedere una guida, che li scortasse attraverso il territorio in amicizia. E se non ottenevano

neppure una guida, dovevano schierarsi a battaglia al più presto, inviare un contingente a occupare le alture, per non.5

lasciarsi precedere in tale operazione né da Ciro né dai Cilici, ai quali furono strappati molta gente e molto bottino.

Costui parlò così.

Dopo di lui Clearco soggiunse: 15 «Che non mi si venga a chiedere di assumere il comando della spedizione.

Vedo molti motivi per non farlo. A chi sceglierete come capo, obbedirò in modo assoluto: anch'io, sappiatelo, so

obbedire come nessuno al mondo». 16 Dopo di lui si alzò un altro: faceva notare l'ingenuità di chi suggeriva di

chiedere a Ciro le imbarcazioni, come se Ciro potesse essere disposto a fare la spedizione un'altra volta, indicando

anche quanto fosse ingenuo «chiedere una guida proprio all'uomo a cui roviniamo l'impresa. E se abbiamo fiducia nella

guida fornitaci da Ciro, che cosa ci impedisce di invitare Ciro a prendere per noi il controllo delle alture? 17 Io avrei

qualche esitazione a imbarcarmi sulle navi che potrebbe fornirci; non vorrei che ci colasse a picco con le sue triremi.

Avrei anche paura a seguire la guida da lui assegnata, perché potrebbe condurci in un luogo inestricabile. Se proprio

dovessi andarmene contro il volere di Ciro, preferirei partire all'insaputa sua, il che non è possibile. 18 Anzi, affermo

che sono tutte chiacchiere. Mi sembra il caso di mandare da Ciro, con Clearco, alcuni uomini, gente esperta e fidata, per

domandargli come intenda impiegarci. E se l'impresa fosse simile a quella per cui, in passato, ha già impiegato

mercenari, seguiamolo anche noi e cerchiamo di non esser da meno delle truppe che prima lo hanno accompagnato

verso l'interno. 19 Se al contrario l'impresa dovesse sembrare di maggior entità rispetto alla precedente, più faticosa e

rischiosa, si accontenti o di convincerci e di guidarci oppure di lasciarsi convincere e di congedarci amichevolmente.

Così, se andassimo con lui, lo seguiremmo senza risentimento e con ardore; se invece decidessimo di allontanarci,

potremmo farlo in completa sicurezza. Ci comunichi qui la sua risposta. Quando l'avremo udita, decideremo di

conseguenza».

20 Il parere fu approvato. Inviano con Clearco gli uomini prescelti, che presentarono a Ciro le richieste

approvate dall'esercito. Ciro rispose che gli era giunta voce che Abrocoma, un suo nemico, era sulle rive dell'Eufrate, a

dodici tappe di distanza. Voleva marciare contro di lui, disse. E se era là, bisognava fargliela pagare. «Se invece riesce a

fuggire», disse, «una volta là decideremo sul da farsi». 21 Ascoltata la risposta, i soldati prescelti per la missione danno

l'annuncio alla truppa: a tutti rimase il sospetto che li guidasse contro il re, comunque decisero di seguirlo. Chiedono

però un aumento della paga. Ciro promette che l'avrebbe aumentata a tutti della metà: anziché un darico, un darico e

mezzo al mese, a testa. Ma neppure in quell'occasione nessuno lo sentì dire, almeno apertamente, che li avrebbe guidati

contro il re.

4

1 Da qui, in due tappe, avanza di dieci parasanghe fino al fiume Psaro, largo tre pletri.

Poi avanza di cinque parasanghe in una sola tappa fino al fiume Piramo, largo uno stadio.

Quindi, in altre due tappe, avanza di quindici parasanghe fino a Isso, l'ultima città della Cilicia, sul mare,

popolosa grande e ricca. 2 Vi rimasero tre giorni. Ciro viene raggiunto dalle trentacinque navi provenienti dal

Peloponneso: navarco era Pitagora lo spartano. Ma da Efeso aveva preso la guida Tamo l'egizio, comandante anche di

altre venticinque navi di Ciro: era la flotta con cui aveva stretto d'assedio Mileto- quando la città era alleata di

Tissaferne - in appoggio a Ciro contro Tissaferne stesso. 3 Sulle navi era imbarcato anche Chirisofo lo spartano, venuto

su espressa richiesta di Ciro: aveva ai suoi ordini settecento opliti, di cui mantenne il comando sotto Ciro. Le navi erano

ormeggiate presso la tenda di Ciro. Qui anche i mercenari greci al séguito di Abrocoma, quattrocento opliti che avevano

disertato, passarono dalla parte di Ciro e si unirono alla spedizione contro il re.

4 Poi, in una tappa, avanza di cinque parasanghe fino alle Porte della Cilicia e della Siria. Si trattava di due

muraglie: l'una, interna, di fronte alla Cilicia, era tenuta da Siennesi e da una guarnigione di Cilici; l'altra, esterna,

antistante la Siria, era sorvegliata, dicevano, da un corpo di guardia del re. Nel mezzo scorreva un fiume di nome Carso,

largo un pletro. Tutto quanto lo spazio compreso tra le due muraglie era di tre stadi. Non vi si poteva passare con la

forza. La via d'accesso infatti era stretta e le muraglie scendevano fino al mare, sovrastate da rocce scoscese. Le Porte

dunque erano a ridosso delle due muraglie. 5 A causa di questo passaggio Ciro aveva mandato a chiamare le navi:

avrebbe operato uno sbarco di opliti all'interno e all'esterno delle Porte e si sarebbe fatto largo tra i nemici, forzando le

loro difese, se avessero presidiato le Porte della Siria, come doveva fare Abrocoma - così almeno pensava Ciro - con un

esercito a disposizione tanto numeroso. Abrocoma invece si comportò in tutt'altro modo. Quando seppe che Ciro era in

Cilicia, si ritirò dalla Fenicia e si diresse verso il re, alla guida - correva voce - di trecentomila fanti.

6 Quindi Ciro avanza attraverso la Siria per cinque parasanghe in una sola tappa fino a Miriando, città sul

mare, abitata dai Fenici. Era un emporio, dove stavano all'àncora molte navi da carico. 7 Vi rimasero sette giorni.

Sennia l'arcade e Pasione il megarese si imbarcarono su una nave con gli oggetti di maggior valore e poi salparono. I

più pensavano che Sennia e Pasione fossero stati punti nell'orgoglio: i loro soldati erano passati a Clearco perché

volevano ritornare in Grecia e non intendevano marciare contro il re, e Ciro non aveva mosso un dito per impedirlo.

Quando Sennia e Pasione non furono più in vista, circolò voce che Ciro avesse mandato delle triremi al loro

inseguimento: c'era chi pregava che li prendessero quegli infami, mentre altri provavano compassione, se fossero caduti

nelle mani di Ciro.

8 Ciro convocò gli strateghi e disse: «Sennia e Pasione ci hanno abbandonato. Ma, è chiaro, non l'hanno

scampata. So dove sono diretti, non sono ancora al sicuro. Non mi mancano certo triremi per raggiungerli. Ma, per gli

dèi, non sarò io a dar loro la caccia e nessuno dirà che finché uno resta con me mi servo di lui, mentre quando se ne.6

vuole andare lo catturo, gli faccio del male, lo spoglio dei beni. Vadano pure, ma sappiano che loro si sono macchiati

nei nostri confronti più di quanto noi nei loro. Eppure ho in mano mia i loro figli e le loro mogli, sotto custodia a Tralle.

Non li priverò dei loro cari, anzi li riavranno con sé in ragione del valore che hanno dimostrato in passato al mio

fianco». 9 Tali furono le sue parole. Quanto ai Greci, se prima c'erano degli indecisi a proposito della marcia verso

l'interno, non appena appresero della magnanimità di Ciro, si unirono alla spedizione con maggior gioia ed entusiasmo.

Dopo di che, Ciro avanza di venti parasanghe in quattro tappe fino al Calo, un fiume largo un pletro, pieno di

pesci grandi e innocui: i Siri li consideravano divini e non permettevano che venisse fatto loro del male[come per le

colombe]. I villaggi nei quali si attendarono, appartenevano a Parisatide: le erano stati concessi per la cintura.

10 Quindi, in cinque tappe, avanza per trenta parasanghe fino alle sorgenti del fiume Dardas, largo un pletro.

Là sorgeva la reggia di Belesi, il governatore della Siria: intorno, un parco immenso e splendido, con piante che danno

frutti in tutte le stagioni. Ciro lo abbatté e diede fuoco alla reggia.

11 Quindi tre tappe per quindici parasanghe fino all'Eufrate, un fiume largo quattro stadi. E lì sorgeva una città

grande e prospera, di nome Tapsaco. Vi si trattenne cinque giorni. Ciro, dopo aver mandato a chiamare gli strateghi

greci, disse che l'obiettivo era il gran re a Babilonia. Li invita a riferirlo ai soldati e a convincerli a seguirlo. 12 Riunita

l'assemblea, gli strateghi danno la notizia. Le truppe però se la presero con gli strateghi: li accusavano di saper già tutto

fin dall'inizio, ma di averlo tenuto nascosto. Si rifiutavano di proseguire, a meno di percepire altro denaro, come era

accaduto nella precedente spedizione con Ciro [per raggiungere il padre]: e poi quelli non si erano mica mossi per

combattere, perché Ciro era stato convocato dal padre. 13 I comandanti riferirono la risposta dell'esercito a Ciro, che

promise cinque mine d'argento a testa, una volta giunti a Babilonia, e per i Greci la paga interafino al loro ritorno in

Ionia. Il grosso dell'esercito greco si lasciò così persuadere.

Menone, prima che fossero note le decisioni degli altri soldati, e cioè se avrebbero seguito Ciro o no, raccolse

in disparte le proprie truppe e disse: 14 «Miei uomini, se date retta a me, vi guadagnerete la stima di Ciro più degli altri

soldati, senza pericoli o fatiche. Che cosa vi spingo a fare? Ora Ciro ha bisogno che i Greci lo seguano nella sua

spedizione contro il re. Perciò vi dico che voi dovete varcare l'Eufrate prima che tutti conoscano la risposta degli altri

Greci a Ciro. 15 Se infatti voteranno di unirsi a lui, si avrà l'impressione che il merito sia vostro, perché avrete dato il

via al passaggio del fiume. Ciro vi sarà grato perché vi sarete dimostrati i soldati più zelanti nei suoi confronti e vi

ricompenserà. E sa farlo come nessun altro. Se invece voteranno contro, ce ne torneremo tutti indietro, ma Ciro si

avvarrà di voi [i più fedeli] per i presìdi e per i compiti di comando perché, unici, avrete rispettato i suoi ordini, e di

qualunque cosa abbiate bisogno io so che come amici l'otterrete da Ciro». 16 Udite le sue parole, obbedirono e

varcarono il fiume prima che gli altri decidessero. Ciro, quando seppe del loro passaggio, si allietò e mandò Glua dire

all'esercito: «Per ora, o uomini, avete il mio elogio: ma sarà mia premura che anch'io possa ricevere il vostro; se no, che

io non mi chiami più Ciro». 17 I soldati dunque nutrivano grandi speranze e pregavano che la sua impresa andasse a

buon fine. E a Menone, si diceva, Ciro aveva inviato doni di straordinario valore.

Dopo attraversò il fiume. Al suo séguito era anche il resto dell'esercito, compatto. Durante il passaggio nessuno

si bagnò al di sopra del petto. 18 Gli abitanti di Tapsaco dissero che questo fiume non lo si era mai potuto attraversare a

piedi - se non nella circostanza attuale - bensì per mezzo di imbarcazioni, ma Abrocoma, prevenendo Ciro, le aveva

incendiate per impedire il passaggio. Lo si ritenne un segno divino: il fiume si era piegato dinnanzi a Ciro, come

dinnanzi a chi è destinato al trono.

19 Da qui si spinge in avanti attraverso la Siria, nove tappe per cinquanta parasanghe: giunge al fiume Arasse.

Qui sorgevano molti villaggi pieni di grano e vino. Vi rimasero tre giorni e si rifornirono di viveri.

5

1 Da qui si spinge attraverso l'Arabia, tenendo l'Eufrate sulla destra: nel deserto, cinque tappe per trentacinque

parasanghe. In questa zona la terra era tutta indistintamente pianeggiante, uniforme come il mare, piena di assenzio. E

se anche vi nasceva vegetazione di altro genere, arbusti o canne che fossero, erano tutti profumati, come piante

aromatiche. Alberi invece non ce n'erano. 2 Vi si trovavano animali d'ogni genere: moltissimi gli onagri e molti struzzi.

C'erano anche otarde e gazzelle. I cavalieri, di tanto in tanto, davano loro la caccia. Gli onagri, se qualcuno li inseguiva,

prendevano il largo e poi si fermavano: correvano infatti molto più rapidi dei cavalli. E poi di nuovo, quando i cavalli si

avvicinavano, ripetevano la stessa cosa, e non c'era verso di catturarli, a meno che i cavalieri non si fossero divisi in

gruppi e li avessero braccati a turno. La carne degli onagri catturati era simile a quella dei cervi, ma più delicata. 3

Nessuno riuscì a prendere uno struzzo. Chi tra i cavalieri cercò di dargli la caccia, desistette ben presto. In fuga infatti lo

struzzo guadagnava un ampio margine di vantaggio, sia correndo con le zampe sia sollevandosi sulle ali, di cui si

serviva come di una vela. Le otarde invece, se le si costringeva a levarsi in volo colte di sorpresa, si potevano catturare:

volano per breve tratto, come le pernici, e sùbito perdono lo slancio. La loro carne era squisita.

4 Percorrendo questa regione, giunsero al fiume Masca, di un pletro. Qui sorgeva una città abbandonata,

grande, di nome Corsote. Tutt'attorno era circondata dal Masca. Vi rimasero tre giorni e si rifornirono di viveri.

5 Poi, in tredici tappe, avanza nel deserto per novanta parasanghe, tenendo sulla destra l'Eufrate: giunge a

Porte. Nel corso di queste tappe molte bestie da soma morirono di fame: non c'erano né erba né alberi, la regione era

completamente spoglia. Gli abitanti del luogo scavavano la roccia lungo il corso del fiume ed estraevano pietre per far

macine, che poi lavorate portavano a Babilonia e vendevano; in cambio compravano grano e così riuscivano a vivere. 6.7

All'esercito vennero a mancare i viveri, ma non c'era la possibilità di acquistarne, se non al mercato dei Liditra le truppe

barbare di Ciro, al prezzo di quattro sigli per un capite di farina, fosse di frumento o d'orzo. Un siglo ha il valore di sette

oboli attici e mezzo. Il capite invece misura due chenici attici. Dunque i soldati tiravano avanti mangiando carne. 7

Ogni volta che voleva raggiungere o una sorgente d'acqua o del foraggio, Ciro avanzava con tappe molto lunghe.

Un giorno poi si imbatterono in un passaggio stretto e fangoso: difficile il transito dei carri. Ciro scese col suo

séguito di dignitari di alta nobiltà e rango, ordinò a Glu e a Pigrete di prelevare truppe barbare e di tirar fuori i carri. 8

Ma poiché gli sembrava che i soldati se la prendessero comoda, come in preda a uno scatto d'ira impose ai Persiani del

suo séguito, i più potenti dignitari di corte, di unirsi per affrettare lo spostamento dei carri. Si ebbe una lezione, per così

dire, di disciplina. Gettavano a terra le loro vesti di porpora dove a ciascuno capitava di trovarsi, si slanciavano come se

ognuno corresse per la vittoria in una gara di corsa, giù per una collina, davvero a precipizio, con le loro tuniche

lussuose, i loro calzoni variopinti: alcuni avevano anche collane al collo e braccialetti ai polsi. Sùbito, pur così

agghindati, balzarono giù nella melma più rapidi di quanto si potesse pensare e sollevarono i carri, spingendoli. 9 A

dirla in breve, era chiaro che Ciro affrettava sempre la marcia e non perdeva tempo in soste, se non per rifornirsi di

viveri o per qualche altra necessità inderogabile. Più rapido giungeva - pensava - più impreparato allo scontro avrebbe

trovato il re; più si attardava, più truppe avrebbe assoldato il re. A rifletterci, era possibile capire che la forza del re

consisteva nell'ampiezza del territorio e nel numero di uomini; la lunghezza delle strade e la dispersione delle forze

militari costituiva invece la sua debolezza, in caso di attacco fulmineo.

10 Durante una delle tappe percorse nel deserto, sulla sponda opposta dell'Eufrate, videro una città prospera e

grande, di nome Carmanda. Lì i soldati comprarono le cose necessarie, varcando il fiume con imbarcazioni fabbricate

così: riempirono di erba secca i teli di pelle usati come riparo, quindi li unirono e li cucirono insieme, in modo che

l'acqua non raggiungesse la paglia. Su imbarcazioni di tal sorta attraversarono il fiume e si rifornirono di quanto era

necessario: vino prodotto coi frutti di dattero, nonché farina di miglio, molto abbondante nella regione.

11 Qui un soldato di Menone e uno di Clearco vennero a lite. Clearco diede la colpa al soldato di Menone e lo

fece frustare. Costui, rientrato tra i suoi, raccontò l'accaduto. I soldati, non appena udirono il suo racconto, montarono

su tutte le furie e s'incollerirono aspramente con Clearco. 12 Quel giorno stesso Clearco giunse al guado del fiume e

ispezionò il mercato che là si teneva; mentre cavalcava verso la sua tenda, passò attraverso il campo del reparto di

Menone, seguito da pochi dei suoi. Ciro non era ancora arrivato, si trovava ancora in cammino. Uno dei soldati di

Menone, che stava spaccando legna, come vede passare Clearco, gli vibra un colpo d'ascia: lo manca. Un altro, allora,

scaglia contro di lui una pietra, imitato da un altro ancora e poi da molti, tra lo schiamazzo generale. 13 Clearco ripara

tra i suoi e sùbito chiama alle armi. Ai suoi opliti ordinò di rimanere sul posto, gli scudi davanti alle ginocchia; lui prese

con sé i Traci e i cavalieri - che nel suo reparto erano più di quaranta, per la maggioranza traci - e attaccò gli uomini di

Menone. Il suo arrivo lasciò esterrefatto Menone stesso e i suoi e li costrinse a correre alle armi. Ci furono anche alcuni

però che rimasero fermi, non sapendo che fare in quella situazione. 14 Prosseno, che chiudeva la colonna e guidava una

schiera di opliti, sùbito dispose i suoi uomini tra i due schieramenti, fece deporre le armi e cominciò a scongiurare

Clearco di desistere. Ma Clearco era inferocito: per poco non l'avevano massacrato a pietrate e Prosseno, tranquillo e

beato, gli veniva a parlare della disgrazia capitata a lui? Che si levasse di mezzo. 15 In quel mentre, giunse anche Ciro

che fu messo al corrente dei fatti: sùbito impugnò un mazzo di giavellotti e, con chi era presente tra i suoi fidi, si gettò

nel mezzo e disse: 16 «Clearco e Prosseno e voi altri Greci presenti, avete perso la testa? Accendete la scintilla di una

battaglia tra di voi e fate pure conto che, questo giorno stesso, anch'io sarò fatto a pezzi e voi, non molto dopo di me. Se

le cose per noi si mettono male, tutti questi barbari qui, che vedete, saranno per noi un nemico ben più pericoloso dei

soldati del re». 17 Alle parole di Ciro, Clearco tornò in sé. Cessate le ostilità, entrambe le parti riposero le armi.

6

1 Da qui proseguirono: erano visibili orme di cavalli e sterco. Dalle tracce si poteva dedurre che si trattava di

circa duemila cavalieri. Costoro, in avanscoperta, davano fuoco sia al foraggio sia a quant'altro fosse utile. Oronta,

persiano e parente del re, che aveva fama di essere tra i migliori in Persia nell'arte militare, tende a Ciro una trappola:

anche in passato gli aveva mosso guerra, ma poi si erano riconciliati. 2 Disse a Ciro che, se gli dava mille cavalieri,

senz'altro avrebbe massacrato in un'imboscata gli squadroni nemici di guastatori oppure ne avrebbe preso vivi parecchi,

stroncando scorrerie e incendi; insomma, non avrebbero mai più riferito al re di aver visto l'esercito di Ciro. Ascoltata la

proposta, Ciro giudicò che un'azione del genere potesse tornargli utile e lo invitò a prendere un certo numero di soldati

da ciascuno dei comandanti. 3 Oronta, convinto di poter disporre di questi cavalieri, scrive una lettera al re: sarebbe

arrivato con il maggior numero di cavalieri, ma lo pregava di comunicare alla sua cavalleria di accoglierlo come amico.

Nella lettera era contenuta una menzione della sua passata amicizia e fedeltà. Consegna la lettera a un uomo fidato - o

almeno lo riteneva tale - che invece la prende e la dà a Ciro. 4 Dopo averla letta, Ciro fa arrestare Oronta e convoca

nella propria tenda i settePersiani più autorevoli del suo séguito e ordina agli strateghi greci di condurre gli opliti, che

però dovevano deporre le armi attorno alla tenda. Gli strateghi eseguirono l'ordine e condussero circa tremila opliti.

5 Chiamò dentro come consigliere anche Clearco, che lui e gli altri consideravano il comandante di maggior

prestigio tra i Greci. Quando ritornò fra i suoi, Clearco raccontò del processo a Oronta, come si svolse: non era cosa

segreta..8

6 Ciro - disse - aveva dato inizio così al suo discorso: «Vi ho convocati, amici, perché, deliberando con voi su

cosa sia conforme alla giustizia divina e umana, questo faccia nei confronti di Oronta. In un primo tempo, mio padre lo

pose alle mie dipendenze. In séguito, su ordine - come lui dice - di mio fratello, mosse guerra contro di me, mantenendo

il controllo dell'acropoli di Sardi. E io, rispondendo alla guerra con la guerra, lo riportai alla ragione e lo feci desistere

dal combattere contro di me, strinsi la sua destra e lui la mia. Da allora, Oronta», gli chiese, «ti ho fatto qualche torto?».

Rispose di no. 7 Ciro gli domandò ancora: «Più tardi, benché non mi fossi macchiato di colpe nei tuoi confronti, non

sei forse passato coi Misi e hai devastato il mio territorio con ogni mezzo a tua disposizione?». Oronta confermò. «Non

è forse vero», riprese Ciro, «che, quando per la seconda volta hai compreso realmente la tua forza, ti sei recato all'altare

di Artemidee hai ammesso il tuo pentimento e, dopo avermi convinto, mi hai di nuovo dato il segno della tua fedeltà e

da me lo hai ricevuto?». Oronta annuì ancora. 8 «Quale torto dunque», proseguì Ciro, «hai subito da parte mia per

tradirmi, è chiaro, per la terza volta?». Oronta rispose che non aveva subito alcun torto, per cui Ciro gli domandò:

«Ammetti che ti sei macchiato nei miei confronti?». «Non posso fare altrimenti», disse Oronta. E Ciro: «Potresti

diventare ancora nemico di mio fratello e mio fedele alleato?». E l'altro rispose: «Neppure se davvero lo diventassi,

Ciro, tu lo crederesti più, ormai». 9 Quindi Ciro si rivolse ai presenti: «Tali sono le sue azioni, tali le sue parole: tra voi

a te per primo, Clearco, spetta di esporre il tuo pensiero.» E Clearco parlò così: «Sono dell'avviso che è meglio toglierlo

di mezzo quanto prima, così non dovremo guardarci le spalle da lui, anzi, invece di pensare a lui potremo far del bene a

chi ci è veramente amico». 10 Al suo parere - disse Clearco - aderirono anche gli altri.

Dopo di che - continuò - su ordine di Ciro, si alzarono in piedi e toccarono la cintura di Oronta in segno di

morte, anche i suoi parenti. Poi lo condussero via gli incaricati. Come lo videro, chi in passato si inginocchiava al suo

passaggio anche allora si inginocchiò, pur sapendo che lo portavano alla morte. 11 Una volta condotto dentro la tenda

di Artapate, il più fidato tra gli sceptuchi di Ciro, nessuno vide Oronta, né vivo né morto, mai più, e nessuno poté dire

con cognizione di causa come fosse morto. Chi congetturava in un senso, chi in un altro: la sua tomba però non la

rinvenne mai nessuno.

7

1 Da qui si spinge in avanti attraverso la regione di Babilonia, tre tappe per dodici parasanghe. Nel corso della

terza tappa, verso mezzanotte, Ciro passa in rivista le truppe greche e barbare nella pianura. Credeva infatti che alle

prime luci del giorno il re si sarebbe presentato con l'esercito per dar battaglia. Ordinò a Clearco di guidare l'ala destra,

a Menone il tessalo l'ala sinistra e dispose lui stesso i propri soldati. 2 Dopo la rassegna, sul far del giorno, giunsero

alcuni disertori provenienti dall'esercito del gran re e riferirono a Ciro sulla situazione delle truppe del re.

Ciro allora convocò gli strateghi e i locaghi greci, predispose insieme a loro il piano di battaglia e li esortò ad

aver coraggio con queste parole: 3 «Greci, mi sono messo alla vostra testa non certo perché mi fanno difetto i soldati

barbari, ma perché vi ritengo migliori e più valorosi di molti di loro. Ecco il motivo per cui vi ho uniti alla mia

spedizione. Siate dunque degni della libertà che avete conquistato e per la quale vi giudico felici. Ben sapete infatti che

preferirei la libertà a tutti i beni che ho e anche ad altri più grandi. 4 Perché vi rendiate conto del tipo di combattimento

al quale andrete incontro, io ve lo illustrerò, dato che lo conosco. Hanno un'infinità di soldati, attaccano con urla

tremende. Se riuscirete a resistere alla loro vista e alle strida, credo che proverò vergogna, quando capirete quali uomini

vivono nelle mie terre. Se sarete valorosi e il successo mi arriderà, chi di voi vorrà tornare in patria lo renderò

invidiabile agli occhi dei suoi concittadini; ma, ne sono convinto, spingerò molti a preferire i miei vantaggi alle gioie di

casa».

5 Era lì presente Gaulite, un esule samio, fedele a Ciro. Così parlò: «Eppure, Ciro, alcuni dicono che tu fai

molte promesse, adesso, perché lo richiedono le circostanze, alla vigilia del momento decisivo. Ma in caso di successo

non te ne ricorderesti più, dicono. E certi altri aggiungono che neppure se te ne ricordassi e se lo volessi, saresti in grado

di mantenere le promesse». 6 Allora Ciro rispose così: «Il regno dei miei padri, o uomini, si estende fino ai confini del

mondo, dove le terre non sono più abitabili, a mezzogiorno per la calura, a settentrione per il gelo. Le regioni ivi

comprese, tutte, le governano i satrapi fedeli a mio fratello. 7 Se vinceremo, spetterà a noi rendere i nostri amici signori

di queste terre. Non mi preoccupo certo che mi manchino i mezzi per colmar di doni ciascuno degli amici, in caso di

vittoria; se mai, temo di non avere amici a sufficienza, ai quali poter dare. A voi Greci regalerò anche una corona d'oro,

a testa». 8 Chi udì le sue parole, si riempì di fervore e le riferì agli altri.

Si presentarono a lui gli strateghi e alcuni tra gli altri Greci: volevano sapere qual era la loro parte, in caso di

vittoria. Ciro, dopo aver saziato le attese di tutti, li congedò. 9 Chiunque aveva a che fare con Ciro, lo esortava a non

prendere parte allo scontro, ma a schierarsi nelle retrovie. Nella circostanza Clearco gli rivolse una domanda del genere:

«Credi, o Ciro, che tuo fratello scenderà in campo?». «Sì per dio», ribatté Ciro, «se davvero è figlio di Dario e

Parisatide e mio fratello; non senza combattere prenderò possesso delle sue terre».

10 Poi, mentre i soldati si armavano, li si contò: diecimilaquattrocento gli opliti, duemilacinquecento i

peltasti,mentre i barbari al séguito di Ciro erano centomila, con circa venti carri falcati. 11 I nemici invece

ammontavano, a quanto si diceva, a un milione e duecentomila, con duecento carri falcati. E c'erano altri seimila

cavalieri, guidati da Artagerse, guardia del corpo personale del re. 12 Dell'esercito regio, quattro erano i comandanti [e

strateghi e capi], ciascuno alla testa di trecentomila uomini: Abrocoma, Tissaferne, Gobria, Arbace. Di tutte queste

truppe, novecentomila presero parte alla battaglia, con centocinquanta carri falcati: Abrocoma infatti, partito dalla.9

Fenicia, giunse con cinque giorni di ritardo rispetto allo scontro. 13 Tali notizie vennero fornite a Ciro dai disertori del

gran re, che avevano abbandonato le file prima della battaglia. A scontro avvenuto, i nemici poi catturati ne diedero

conferma.

14 Da qui Ciro si spinge in avanti di tre parasanghe in una sola tappa, con tutto l'esercito, sia greco sia barbaro,

schierato per il combattimento. Credeva che quel giorno il re avrebbe dato battaglia. A metà della tappa c'era infatti un

fossato, scavato artificialmente e profondo, larghezza cinque braccia, profondità tre. 15 Il fossato risaliva verso

l'interno attraverso la pianura per dodici parasanghe fino al muro della Media. [Qui si trovano i canali che provengono

dal fiume Tigri. Sono quattro, larghezza un pletro, molto profondi. Vi navigano imbarcazioni per il trasporto di cereali.

Sfociano nell'Eufrate, ciascuno alla distanza di una parasanga dall'altro, sovrastati da ponti.] C'era nei pressi dell'Eufrate

uno stretto passaggio - larghezza circa venti piedi - tra il fiume e il fossato. 16 Il gran re aveva fatto scavare il fossato

come opera difensiva non appena aveva saputo dell'avanzata di Ciro. Attraverso il passaggio sopra ricordato, Ciro e

l'esercito proseguono la marcia e si trovano al di là del fossato. 17 Quel giorno il re non diede battaglia, anzi erano ben

visibili orme di cavalli e di uomini che si erano ritirati. 18 Allora Ciro convocò Silano, un indovino di Ambracia, e gli

diede tremila darici: undici giorni prima, durante un sacrificio gli aveva predetto che il re non avrebbe combattuto per

dieci giorni e Ciro aveva ribattuto: «Non combatterà più, allora, se non darà battaglia in quest'arco di tempo. E se hai

detto la verità, ti prometto dieci talenti». A questo punto gli consegnò tale somma, perché i dieci giorni erano trascorsi.

19 Poiché all'altezza del fossato il re non aveva impedito il passaggio all'esercito di Ciro, Ciro stesso e gli altri

ebbero l'impressione che il re avesse rinunciato all'idea di combattere; tanto che il giorno successivo Ciro proseguì la

marcia allentando le misure di sicurezza. 20 Il terzo giorno viaggiò seduto sul carro e teneva pochi dei suoi schierati

dinnanzi a lui; il grosso avanzava in ordine sparso e la maggior parte delle armi dei soldati erano trasportate sui carri o

dalle bestie da soma.

8

1 Era ormai l'ora in cui il mercato si riempieed era vicino il punto in cui s'intendeva far tappa, quand'ecco che

Pategia, persiano, uno dei fidi di Ciro, si precipita a briglia sciolta, col cavallo madido di sudore: a chiunque incontrava,

gridava in lingua barbara e in greco che il re con un grande esercito stava arrivando, preparato allo scontro. 2 Allora si

verificò grande scompiglio: immediatamente i Greci e tutti i soldati pensarono che i nemici sarebbero piombati su di

loro prima che potessero formare i ranghi. 3 Ciro balzò giù dal carro e indossò la corazza, poi montò a cavallo e

impugnò i giavellotti; agli altri ordinò di armarsi e di disporsi ciascuno al proprio posto. 4 Quindi presero posizione con

grande sollecitudine, Clearco a capo dell'ala destra, dalla parte dell'Eufrate, Prosseno al suo fianco, quindi gli altri,

mentre Menone prese il comando dell'ala sinistra dell'esercito greco. 5 I cavalieri paflagonidel contingente barbarico,

circa mille, si schierarono al fianco di Clearco sulla destra, come pure i peltasti greci; sulla sinistra invece c'era Arieo,

luogotenente di Ciro, con il resto dell'esercito barbarico. 6 Ciro e i suoi cavalieri, su per giù seicento, si disposero al

centro, armati di corazza, cosciali, elmi, tutti tranne Ciro, che si preparava allo scontro a capo scoperto [. Anche gli altri

Persiani, così almeno si racconta, affrontano i rischi in battaglia a capo scoperto]. 7 Tutti i cavalli [dell'esercito di Ciro]

avevano frontali e pettorali. E i cavalieri avevano anche spade di foggia greca.

8 Era ormai mezzogiorno e i nemici non erano ancora in vista. Quando era pomeriggio, apparve in lontananza

un turbinio di polvere simile a una nube bianca che poi, a distanza di tempo, prese l'aspetto di un qualcosa di nero, nella

piana, per grande tratto. Man mano che si avvicinavano, il bronzo cominciò ben presto a scintillare e si potevano

distinguere armi e schiere. 9 C'erano cavalieri con bianche corazze sulla sinistra della linea nemica: li guidava, stando

alle voci, Tissaferne. Al suo fianco stavano truppe armate di scudi di vimini e quindi opliti dotati di scudi di legno

lunghi fino ai piedi. Quest'ultimi erano Egizi, a quanto si diceva. E poi c'erano cavalieri e poi arcieri. Tutti marciavano

divisi per etnie, ciascun popolo formava un quadrato fitto di uomini. 10 Davanti a loro erano schierati i carri cosiddetti

falcati a grande distanza gli uni dagli altri: le falci partivano dagli assi, erano disposte in senso orizzontale e rivolte

verso il terreno sotto i carri per stritolare quanto avessero incontrato. L'idea era di lanciarli contro le file dei Greci e di

farli a pezzi. 11 Le parole pronunciate da Ciro però, quando aveva convocato i Greci e li aveva esortati a resistere

dinnanzi alle grida di battaglia dei barbari, si rivelarono false: non con urla infatti, ma in silenzio, nei limiti del

possibile, i nemici avanzavano calmi, a ranghi compatti e lentamente.

12 Nel frangente Ciro in persona, mentre passava accanto ai suoi insieme a Pigrete l'interprete e ad altri tre o

quattro, gridò a Clearco di puntare con il suo esercito contro il cuore delle truppe nemiche, perché lì sarebbe stato il re:

«Se vinciamo al centro», disse, «per noi è fatta». 13 Clearco osservava il nerbo centrale dell'esercito nemico e sentiva

Ciro dire che il re era al di là dell'ala sinistra greca - il re infatti prevaleva per numero d'uomini al punto che, pur

tenendo il centro dei propri effettivi, rimaneva al di là della sinistra di Ciro. Comunque Clearco non volle staccare l'ala

destra dal fiume, per paura di un accerchiamento dai lati, perciò a Ciro rispose che ci pensava lui a preparare tutto per

bene. 14 Nel frattempo l'esercito barbarico avanzava in linea, mentre il contingente greco si teneva ancora nello stesso

punto, ingrossato man mano dalle truppe che ancora sopraggiungevano.

E Ciro, passando davanti all'esercito a una certa distanza, scrutava entrambi i fronti, volgendo lo sguardo ora

verso i nemici ora verso i suoi. 15 Dal contingente greco lo vide Senofontel'ateniese, che gli si fece incontro e gli

chiese se avesse qualche ordine da comunicargli. Ciro si fermò e gli disse, invitandolo a riferirlo a tutti, che gli auspici

risultavano favorevoli, come pure le viscere delle vittime. 16 Quindi udì un brusio attraversare le file e chiese che cosa.10

fosse quel vociare. Senofonte rispose che era la parola d'ordine, che passava per la seconda volta. Ciro, meravigliato,

domandò chi l'avesse impartita e quale fosse questa parola d'ordine. E Senofonte di rimando: «Zeus salvatore e

Vittoria». 17 Ciro ribatté: «Ben venga e così sia». Poi raggiunse la propria posizione.

Non più di tre o quattro stadi separavano i due schieramenti, quando i Greci intonarono il peanae cominciarono

a muovere incontro ai nemici. 18 Mentre avanzavano, una parte della falange uscì di linea, per cui chi era rimasto

indietro iniziò a correre. E tutti insieme lanciarono il grido che levano in onore di Enialio, mentre ormai tutti correvano.

Alcuni, si racconta, fecero rimbombare gli scudi, percuotendoli con le lance, per atterrire i cavalli. 19 Quando non

erano ancora a tiro d'arco, i barbari ripiegano e si volgono in fuga. Allora li inseguono con impeto i Greci, ma si gridano

l'un l'altro di non correre, di avanzare a ranghi compatti. 20 Alcuni carri poi finirono addirittura contro le file nemiche,

altri raggiunsero i Greci, ma privi di auriga. E quando se li vedevano dinnanzi, si scansavano: ci fu solo uno che venne

investito, rimasto frastornato come se si trovasse di fronte a una gara di cavalli; neppure lui, comunque, dicono che

abbia riportato gravi conseguenze, né alcuno dei Greci in questo scontro subì alcun danno, se si eccettua un tale dell'ala

sinistra, colpito da una freccia.

21 Ciro, quando vide i Greci prevalere sul loro fronte e inseguire i nemici, gioì e tutti, ormai, si prostravano ai

suoi piedi come re. Eppure non si lasciò indurre all'inseguimento, anzi, continuava a guidar compatta la schiera dei

seicento cavalieri ai suoi ordini e a tener d'occhio le mosse del re. Sapeva infatti che era al comando del centro

dell'esercito persiano. 22 Tutti i comandanti dei barbari stanno alla testa delle loro truppe tenendo il centro, perché si

sentono più al sicuro, con la protezione dei loro su entrambi i fianchi; se poi c'è bisogno di diramare qualche ordine,

l'esercito lo può ricevere in metà tempo. 23 Allora dunque, pur guidando il centro del proprio esercito, il re si trovava al

di là dell'ala sinistra di Ciro. Poiché non c'era nessun avversario diretto né di fronte a lui né davanti alle truppe disposte

innanzi, piegò ad angolo per accerchiarli.

24 Allora Ciro, nel timore che il re comparisse alle sue spalle e facesse a pezzi il contingente greco, gli muove

incontro. Piombando con i suoi seicento, ha la meglio sulle guardie del corpo del re e ne mette in fuga seimila: c'è chi

dice che Ciro stesso, di sua mano, abbia ucciso Artagerse, il loro comandante. 25 Ma non appena si verificò la rotta

nemica, si disuniscono anche i seicento di Ciro, che si gettano all'inseguimento, tranne pochissimi che rimasero con lui,

più o meno i suoi cosiddetti compagni di tavola. 26 Mentre era con loro, scorge il re e gli uomini al suo séguito. Sùbito

non si trattenne più, ma disse: «Ecco il mio uomo»; si lancia contro di lui, lo colpisce al petto e lo ferisce trapassandogli

la corazza, come racconta Ctesia il medico, che afferma di aver curato di persona la ferita.

27 Ma proprio mentre lo colpiva, qualcuno gli vibra un colpo di giavellotto sotto l'occhio, con forza. Allora qui

scoppiò un violento corpo a corpo tra il re e Ciro e i rispettivi uomini. Il numero di quanti caddero tra i sudditi del re, lo

riferisce Ctesia, che era con lui. Ciro stesso morì e dopo di lui gli otto più valorosi del suo séguito. 28 Raccontano che

Artapate, il più fidato tra i suoi sceptuchi, come vide Ciro a terra, balzò da cavallo e si gettò sul suo corpo. 29 Non

manca chi sostiene che il re abbia dato l'ordine di trucidarlo sul corpo di Ciro; altri affermano che si sia tagliato di suo

pugno la gola, sguainata la scimitarra: ne aveva una d'oro e portava anche una collana, bracciali e altri monili, come

usano i nobili persiani. Ciro lo stimava per il suo affetto e la sua lealtà.

9

1 Così dunque morì Ciro: nessuno, tra i Persiani vissuti dopo Ciro il vecchio, fu più regale e degno del

comando, come concordemente ammettono le persone che lo hanno conosciuto di persona. 2 Prima di tutto, fin da

bambino, quando veniva educato insieme al fratello e agli altri ragazzi, era considerato il migliore di tutti in tutto. 3

Tutti i figli dei nobili persiani sono educati a palazzo, dove si può apprendere in alto grado la temperanza e non è

possibile ascoltare né vedere alcunché di turpe. 4 I bambini vedono e sentono chi gode dei favori del re oppure chi è

caduto in disgrazia. E sùbito, fin dall'infanzia, imparano a comandare e a obbedire. 5 Qui Ciro sembrava il ragazzo più

riservato, agli anziani prestava orecchio anche più dei compagni meno nobili di lui e poi era profondamente

appassionato di equitazione e cavalcava con abilità eccezionale. Anche nelle arti marziali, per esempio nel tiro con

l'arco e nel giavellotto, lo giudicavano il più desideroso d'imparare e il più assiduo nella pratica. 6 Raggiunta l'età

adatta, dimostrava una passione speciale per la cacciae durante le battute venatorie amava davvero il rischio. Un giorno

un'orsa gli si avventò contro, ma lui non indietreggiò: travolto e disarcionato, gravemente ferito, come testimoniavano

le sue cicatrici, alla fine riuscì a uccidere la fiera. E il primo che gli portò aiuto, Ciro lo rese invidiabile agli occhi di

molti.

7 Quando venne inviato dal padre come satrapo della Lidia, della Grande Frigia e della Cappadocia, nonché

nominato comandante di tutte le truppe che dovevano riunirsi a Piana del Castolo, innanzi tutto dimostrò che una cosa

contava per lui più di tutto: rispettare la parola data, sia che avesse stipulato una tregua o un accordo o fatto promesse.

8 Perciò si sentivano tranquille le città che si rivolgevano a lui, tranquilli gli uomini. E se qualcuno era stato suo

nemico, una volta riconciliatosi con Ciro, era sicuro di non subire nessun torto in deroga ai patti. 9 Tant'è vero che, al

tempo della guerra con Tissaferne, tutte le città scelsero di propria iniziativa Ciro e non Tissaferne, ad eccezione dei

Milesi, che avevano paura di lui perché non intendeva abbandonare al loro destino gli esuli della città. 10 Amava

ripetere - e i fatti lo dimostravano - che, una volta divenuti suoi amici, non avrebbe più abbandonato gli esuli di Mileto,

neppure se diminuivano ancora di numero e se peggiorava la loro situazione..11

11 E come la gente si comportava con lui, nel bene o nel male, Ciro cercava di ripagarla della stessa moneta e

con gli interessi, lo si vedeva chiaramente. Alcuni ripetevano sovente una sua preghiera: chiedeva di vivere quanto

bastasse per contraccambiare, superandoli, chi gli aveva fatto del bene e del male. 12 A lui, come a nessuno ai nostri

tempi, moltissimi desiderarono affidare i beni e le città e la propria vita. 13 Non si potrebbe dire comunque che

permettesse a malfattori e disonesti di prendersi gioco di lui, anzi meno di chiunque altro si risparmiava le punizioni:

spesso era dato di vedere, lungo le strade più frequentate, gente priva dei piedi e delle mani e degli occhi. Perciò nel

paese retto da Ciro, tanto i Greci quanto i barbari, purché non si fossero macchiati di colpe, avevano piena libertà di

andare dovunque volessero, portando con sé il necessario.

14 Ai valorosi in guerra, è riconosciuto unanimemente, tributava un onore particolare. La sua prima guerra fu

contro i Pisidi e i Misi. Mentre combatteva egli stesso in queste regioni, chi vedeva pronto al rischio lo nominava

reggente del paese che sottometteva e poi lo onorava anche con altri doni. 15 Così appariva chiaro: egli desiderava che

i forti fossero i più felici e che i vili fossero schiavi dei primi. Ecco il motivo per cui non gli mancavano certo persone

disposte a rischiare, quando avessero pensato che Ciro li notasse. 16 Se gli sembrava che qualcuno volesse mettersi in

luce secondo giustizia, Ciro faceva in modo che vivesse tra gli agi più di chi aspira al guadagno per vie disoneste. 17 E

a molte altre cose metteva mano seguendo la giustizia e si serviva di un vero esercito. Gli strateghi e i locaghi, che per

arricchirsi avevano fatto rotta verso di lui, capirono che servir bene Ciro era più vantaggioso che ricevere la paga

mensile. 18 Se qualcuno eseguiva con zelo i suoi ordini, Ciro non mancava mai di premiarne l'impegno. Ecco perché si

diceva che, per ogni compito, Ciro disponesse dei migliori collaboratori.

19 Vedeva un amministratore veramente capace, che, rispettando i princìpi dell'onestà, riordinava la regione di

cui era a capo e comunque sapeva trarne proventi? Non lo rimuoveva mai dalla carica, ma gli concedeva poteri sempre

più ampi. Così faticavano volentieri e guadagnavano in tutta sicurezza e non avrebbero affatto nascosto a Ciro le proprie

entrate: si sapeva che non aveva invidia di chi si arricchiva alla luce del sole, anzi, piuttosto cercava di servirsi delle

ricchezze di chi le teneva nascoste.

20 Quanto agli amici poi, ogni volta che stringeva legami e riconosceva persone a lui fidate e capaci di

collaborare ai piani che voleva intraprendere, era bravissimo nell'arte di coltivarli, lo ammettono tutti. 21 E come

pensava di aver bisogno di amici per avere dei collaboratori, per l'identico motivo cercava di garantir loro il suo

appoggio determinante, quando ne avesse intuito le mete. 22 Di doni poi nessuno ne ricevette altrettanti, per mille

ragioni; ma più di chiunque altro li distribuiva agli amici, tenendo conto dei gusti di ognuno e guardando soprattutto ai

loro bisogni. 23 Quando gli mandavano qualcosa per la sua persona, di uso militare o un semplice ornamento, diceva -

raccontano - che il suo corpo non poteva portarli tutti, ma che avere amici ornati con eleganza lo considerava il vanto

più bello per un uomo. 24 Che superasse gli amici in munificienza, non stupisce affatto, perché aveva anche ben altre

possibilità rispetto a loro; ma che li superasse in attenzioni e nel desiderio di procurar loro gioia, questo sì, mi sembra

davvero mirabile. 25 Ciro infatti, se trovava un vino particolarmente dolce, spesso ne mandava una mezza anfora e

diceva che da un bel pezzo non gliene era capitato uno migliore. «Te lo manda», aggiungeva, «e ti prega di berlo oggi

stesso con le persone a te più care». 26 Non di rado inviava mezze oche, mezzi pani o altre cose del genere, ordinando

a chi li portava di dire: «A Ciro sono piaciuti. Vuole che anche tu ne possa gustare». 27 Quando il foraggio era proprio

scarso, mentre lui, grazie al gran numero di servi e alla sua previdenza, poteva disporne in abbondanza, lo distribuiva e

così esortava gli amici: «Datelo ai cavalli che vi trasportano, non vorrei che fossero sfiniti dalla fame proprio mentre

siete in sella». 28 Se mai faceva un viaggio e la gente accorreva per la smania di vederlo, chiamava i suoi amici e

parlava con loro di questioni serie, per far vedere chi tenesse in onore.

Perciò, sulla base delle voci che sento, stimo che nessuno, tra Greci o barbari, sia stato amato più di lui. 29

Eccone la prova: nessuno abbandonò Ciro - un suddito - per passare al re, se si eccettua il tentativo di Oronta, che

comunque sperimentò ben presto che era più fedele a Ciro chi lui riteneva fedele a sé. Dalla parte del re invece molti

passarono a Ciro, quando divennero nemici. E si trattava proprio degli uomini da lui più amati, che pensavano di trovare

onori più consoni alle loro qualità presso la corte di Ciro che del re. 30 Ma la prova conclusiva la si ebbe negli ultimi

istanti della sua vita, quando si capì che non solo era un uomo di valore, ma sapeva anche scegliere bene le persone a lui

fedeli, devote e costanti. 31 Quando fu colpito a morte, tutti i suoi amici e commensali morirono combattendo per Ciro,

tutti tranne Arieo, che era schierato sulla sinistra alla testa della cavalleria: come seppe che Ciro era caduto, si diede alla

fuga e portò con sé tutto il reparto ai suoi ordini.

10

1 Quindi a Ciro viene mozzato il capo e la mano destra. Il re [con i suoi] continua l'inseguimento e piomba nel

campo di Ciro. Le truppe di Arieo non oppongono più resistenza, ma fuggono attraverso l'accampamento verso l'ultimo

luogo di tappa da cui erano partite. Era, dicono, a quattro parasanghe di distanza. 2 Il re e i suoi fanno completa razzia e

lui cattura la concubina di Ciro, una donna focese, soprannominata la saggia e bella. 3 La Milesia [era più giovane],

dopo esser caduta prigioniera dei soldati del re, riesce a scappare, nuda, verso i Greci, che si trovavano in armi tra le

salmerie. Costoro affrontarono e uccisero molti dei nemici che si davano al saccheggio, ma subirono alcune perdite.

Comunque non si diedero alla fuga, anzi, salvarono la donna. E quant'altro era sotto la loro custodia, fossero beni

materiali o persone, portarono tutto in salvo..12

4 A questo punto il re e i Greci distavano gli uni dagli altri circa trenta stadi: i secondi incalzavano le truppe

disposte dinnanzi a loro [come se stessero vincendo dappertutto], il primo si dava alle razzie come se ormai avesse

avuto la meglio su tutti i nemici. 5 Ma poi i Greci si accorsero che il re con il suo esercito era tra le salmerie, e pure il

re, a sua volta, seppe da Tissaferne che i Greci avevano piegato gli avversari sul loro fronte e premevano; allora il re

raccoglie i suoi e ricostituisce lo schieramento. Clearco invece, chiamato Prosseno, che era il più vicino, si consultò con

lui, se mandare un contingente o rientrare tutti quanti a difesa dell'accampamento. 6 Nel mentre, si vedeva anche il re

rifarsi sotto, attaccandoli - a quanto pareva - alle spalle. I Greci, operata una conversione, si prepararono a riceverlo,

come se dovesse giungere da quella direzione. Il re invece non giunse da lì, ma dalla via già percorsa prima, all'esterno

dell'ala sinistra, dopo aver raccolto anche i disertori che, nel corso della battaglia, erano passati dalla parte dei Greci,

nonché Tissaferne e i suoi. 7 Tissaferne al primo impatto non era fuggito, anzi si era lanciato contro i peltasti greci,

lungo il fiume. Durante il suo attacco non riuscì a uccidere nessuno, mentre i Greci, allargate le file, subissavano i suoi

di colpi e frecce. Comandava i peltasti Epistene di Anfipoli, una persona di buon senso, stando a quel che si diceva.

8 Tissaferne dunque, pur avendo la peggio, riuscì a ritirarsi, ma non tornò sui suoi passi. Si diresse verso il

campo greco, dove incontrò il re: riformati i ranghi, ripresero la marcia. 9 Quando furono dinnanzi all'ala sinistra dei

Greci, quest'ultimi ebbero il timore di venir attaccati e di subire un aggiramento su entrambi i fianchi e di andare

incontro a un massacro. Allora proposero di dispiegare l'ala e di tenere il fiume alle spalle. 10 Mentre se ne discuteva,

ecco che il re mutò direzione e mise in linea l'esercito di fronte alla falange, nello stesso assetto con cui aveva attaccato

battaglia in precedenza. Come i Greci li videro vicini e schierati per lo scontro, intonarono nuovamente il peana e si

gettarono in avanti con foga ancor più impetuosa di prima. 11 Per la seconda volta i barbari non accettarono lo scontro

e volsero le spalle, quando gli avversari erano ancora a una distanza maggiore rispetto alla volta precedente: i Greci li

inseguirono fino a un villaggio. 12 Qui si fermarono. Sopra il villaggio sorgeva un colle, su cui avevano ripiegato gli

uomini del re: non si trattava più di fanti, ma la collina brulicava di cavalieri, al punto che non si riusciva a capire che

cosa stesse succedendo. Eppure qualcuno disse di scorgere lo stendardo regale, un'aquila d'oro con le ali spiegate su uno

scudo[di legno]. 13 Poiché i Greci avanzavano anche qui, i cavalieri abbandonarono il colle, non più in gruppo, ma in

diverse direzioni. Il colle andava via via spopolandosi di cavalieri: alla fine si allontanarono tutti. 14 Clearco non salì,

ma tenne l'esercito ai piedi della collina e mandò sulla cima Licio il siracusano e un altro, con l'ordine di controllare la

situazione sul versante opposto e di riferire. 15 Licio sprona il cavallo e, presa visione, annuncia che fuggono a briglia

sciolta. Era quasi l'ora in cui il sole tramonta.

16 Qui sostarono i Greci e, deposte le armi, ripresero fiato. Intanto si meravigliavano di non vedere Ciro da

nessuna parte e che nessun emissario venisse a suo nome: non sapevano che fosse morto, perciò immaginavano o che

avesse protratto l'inseguimento o che si fosse spinto in avanti per occupare qualche postazione. 17 Quanto a loro, si

domandavano se fosse meglio rimanere lì e portarvi i carri oppure rientrare all'accampamento. Decisero di ritornare.

Giungono alle tende verso l'ora di cena. 18 Così finì la giornata. Si accorgono che la maggior parte dei loro averi erano

stati saccheggiati; tutto quel che c'era, cibo o bevande, nonché i carri pieni di farina e di vino, che Ciro aveva preparato

per distribuirli ai Greci, nel caso che una grave carestia attanagliasse l'esercito - si trattava, secondo le voci, di

quattrocento carri - tutto era stato depredato dagli uomini del re. 19 Così erano rimasti senza cena la maggior parte dei

Greci, e dire che non avevano neppure pranzato, perché il re era apparso prima che l'esercito avesse sostato per il

pranzo. La notte dunque la trascorsero in tali condizioni.

LIBRO II

1

1 [In che modo venne raccolto per Ciro l'esercito greco al tempo in cui muoveva contro il fratello Artaserse,

che cosa fece durante la marcia verso l'interno, come la battaglia ebbe luogo, come morì e in che modo i Greci ritornati

al campo si riposarono, credendo di aver vinto su tutti i fronti e che Ciro fosse ancora vivo, è esposto nel racconto

precedente.]

2 All'alba gli strateghi, riunitisi, si meravigliavano che Ciro non mandasse qualcuno a indicare il da farsi o che

non venisse di persona. Decisero allora di preparare i bagagli, di armarsi e di muovere in avanti fino a ricongiungersi

con Ciro. 3 Erano ormai sul piede di partenza, al levar del sole, quando giunse Procle, il governatore della Teutrania,

discendente di Damarato il lacone, accompagnato da Glu, figlio di Tamo. Dicevano che Ciro era morto e che Arieo,

fuggito, si trovava con gli altri barbari nel campo da cui erano partiti il giorno precedente. Arieo asseriva che per quel

giorno li avrebbe aspettati, se la loro intenzione era di raggiungerlo, ma il giorno dopo sarebbe partito, aggiungeva, alla

volta della Ionia da dove era venuto. 4 Appena appresero la notizia, gli strateghi e gli altri Greci caddero in un

profondo sconforto. Clearco disse: «Fosse ancora vivo Ciro. Ma ormai è morto, perciò riferite ad Arieo che noi abbiamo

battuto il re e, come vedete, nessuno ci affronta in campo aperto; e se non fosse stato per la vostra venuta, avremmo

puntato contro il re. Promettiamo ad Arieo che, se ci raggiunge, lo porteremo sul soglio regale: a chi vince la battaglia

spetta il diritto di comandare». 5 Detto ciò, rimanda indietro i messaggeri, accompagnati da Chirisofo il lacone e

Menone il tessalo, per desiderio di Menone stesso, legato com'era ad Arieo da vincoli di amicizia e ospitalità..13

6 Quelli andarono e Clearco restò ad aspettare. L'esercito si cibava come poteva con le bestie da soma,

uccidendo buoi e asini. Quanto alla legna, bastava fare pochi passi, a partire dal campo dove si era svolta la battaglia: là

c'erano molte frecce - i Greci avevano costretto i disertori del re a gettarle - nonché scudi di vimini e di legno, questi

ultimi degli Egizi. C'era anche da portar via un gran numero di scudi di cuoio e carri vuoti. Servendosi di tutto ciò,

bollirono la carne e mangiarono, per quel giorno.

7 Era ormai l'ora in cui il mercato è pieno di gente, quando arrivarono, da parte del re e di Tissaferne, alcuni

araldi, tutti barbari, tranne uno, Falino, un greco che si trovava alle dipendenze di Tissaferne e godeva di grandi onori

perché faceva mostra della sua competenza nella tattica e nell'uso delle armi. 8 Si fecero avanti e domandarono dei capi

greci; quindi dissero che il re, forte della sua condizione di vincitore e dell'uccisione di Ciro, ingiungeva ai Greci di

consegnare le armi e di recarsi alle sue porte, per trovare, non era escluso, clemenza. 9 Così si espressero gli araldi del

re. I Greci li ascoltarono con irritazione; tuttavia Clearco disse qualcosa del genere: non spettava ai vincitori cedere le

armi. «Però», aggiunse, «sta a voi, o strateghi, fornire la risposta più bella e dignitosa. Io sarò sùbito di ritorno». Lo

aveva chiamato, infatti, un servo, per controllare le viscere estratte: stava compiendo un sacrificio.

10 Allora Cleanore l'arcade, il più anziano, rispose che sarebbe morto piuttosto che consegnare le armi. E

Prosseno il tebano: «O Falino, sono sorpreso e mi domando se il re ci chieda le armi in qualità di vincitore oppure come

dono d'amicizia. Se pensa di essere il vincitore, che bisogno ha di chiederle? Perché non viene a prendersele? Se invece

ci vuole persuadere, dica che cosa ne verrà ai soldati, se lo vorranno compiacere». 11 A tali parole Falino ribatté: «Il re

ritiene sua la vittoria, perché ha ucciso Ciro. Chi è in grado di contendergli il regno? E considera anche voi in suo

potere, perché vi tiene in pugno nel cuore del suo paese tra fiumi non guadabili e può scatenare contro di voi una tale

moltitudine di uomini, che non potreste ucciderli neppure se ve ne desse licenza». 12 Dopo di lui intervenne Teopompo

l'ateniese: «Falino, adesso, come vedi, tutto è perduto fuorché le armi e il valore. Finché abbiamo le armi, crediamo di

poterci servire anche del valore; ma se le consegnamo, perderemo anche la vita. Togliti quindi dalla testa che vi

consegneremo i soli beni che ci restano; anzi, con questi combatteremo anche per strapparvi i vostri». 13 Nell'udire tali

parole, Falino sorrise e disse: «Sembri davvero un filosofo, ragazzino, e pronunci parole non prive di grazia. Ma sei un

povero insensato, sappilo, se pensi che il vostro valore possa aver ragione della potenza del re». 14 Altri, si dice,

cominciavano a vacillare e a sostenere che, come erano stati fedeli a Ciro, così potevano ora diventare preziosi alleati

del re, se chiedeva amicizia. Voleva servirsi di loro per qualche scopo o per una spedizione contro l'Egitto? Bene,

potevano cooperare alla conquista.

15 In quel mentre, ritornò Clearco e domandò se avevano dato già la risposta. Falino di contro: «Clearco,

sostengono chi una cosa, chi un'altra. Dicci piuttosto che cosa ne pensi tu». 16 L'altro rispose: «Mi fa piacere averti

visto, Falino, come fa pure piacere, credo, anche a tutti gli altri. Sei greco, come tutti noi che tu qui vedi. In un

frangente simile chiediamo a te che fare, riguardo alla proposta di cui sei latore. 17 Al cospetto degli dèi, dacci il

suggerimento che ritieni più bello e dignitoso e che ti recherà onore nel tempo a venire, ogni qual volta sarà

menzionato: Falino un giorno, inviato dal re per intimare ai Greci la consegna delle armi, richiesto di un parere,

consigliò così. Lo sai, in Grecia si parlerà del tuo suggerimento, è inevitabile». 18 Clearco induceva sottilmente questi

motivi, perché voleva che proprio l'uomo inviato come emissario dal re li consigliasse di non consegnare le armi, perché

i Greci avessero buone speranze. 19 E invece Falino, elusivo, disse contro le sue aspettative: «Se tra migliaia di

speranze ne aveste una sola di salvarvi muovendo guerra al re, vi suggerirei di non cedere le armi; ma se non c'è

nessuna speranza di salvezza contro l'ostilità del re, allora il mio consiglio è di salvarvi nell'unico modo che vi rimane».

20 Clearco ribatté: «La pensi così, allora! Va' piuttosto a riferire al re la nostra ferma convinzione: se dobbiamo essere

amici, saremo molto più degni del suo rispetto se terremo le nostre armi e non se le consegneremo ad altri; se poi sarà il

caso di combattere, è meglio lottare con le armi piuttosto che averle cedute». 21 Falino ancora: «Riporterò le tue

parole. Ma il re mi ha incaricato di comunicarvi che, finché rimanete qui, vi sarà garantita tregua; ma se vi muovete, per

avanzare o ritirarvi, sarà guerra. Fateci sapere, al riguardo, se rimarrete e ci sarà tregua oppure se dovrò riferire guerra

da parte vostra». 22 Clearco disse: «Comunica allora, su questo punto, che anche noi ci atteniamo alla proposta del re».

«Che cosa significa?», ribatté Falino. Clearco: «Se rimaniamo, tregua; se ci ritiriamo o avanziamo, guerra». 23 E l'altro

incalzò: «Annuncerò tregua o guerra?». Clearco ripeté le stesse parole: «Tregua, se rimaniamo; ma se ci ritiriamo o

avanziamo, guerra». Ma non rivelò che cosa intendesse fare.

2

1 Falino se ne andò con il suo séguito. Dal campo di Arieo erano rientrati Procle e Chirisofo. Menone era

rimasto da Arieo. I due riferirono le parole di Arieo, secondo cui c'erano molti Persiani, più nobili di lui, che non

avrebbero tollerato l'idea di un suo avvento al trono. «Se intendete partire insieme a lui, invita a raggiungerlo durante la

notte; in caso contrario domani all'alba dice che se ne andrà». 2 Clearco rispose: «Va bene, se andremo si farà come

dite; altrimenti regolatevi pure come meglio credete». Che cosa volesse fare, però, neppure a loro lo disse.

3 Dopo di che, ormai al calar del sole, convocò gli strateghi e i locaghi e si espresse nei termini seguenti:

«Mentre celebravo il sacrificio, o uomini, sull'ipotesi di marciare contro il re gli auspici non erano favorevoli. Ed era

naturale che non lo fossero: ho saputo or ora che tra noi e il re scorre il Tigri, un fiume navigabile, ma non lo potremmo

varcare senza imbarcazioni. E imbarcazioni non ne abbiamo. Né è possibile rimanere qui, perché non c'è modo di

rifornirci di viveri. Gli auspici erano invece del tutto propizi in merito all'ipotesi di riunirci con gli amici di Ciro. 4.14

Bisogna dunque agire così: ritiriamoci e ceniamo, ciascuno con quel che ha; poi, quando il corno darà il segnale del

riposo, preparate i bagagli; al secondo squillo, caricateli sulle bestie da soma; al terzo, accodatevi all'avanguardia,

tenendo le bestie sul lato del fiume e gli opliti all'esterno». 5 Allora gli strateghi e i locaghi si allontanarono e seguirono

le indicazioni. E nei giorni successivi le cose non sarebbero cambiate: lui comandava e gli altri obbedivano. Non lo

avevano eletto, ma in lui solo vedevano la tempra del vero capo, mentre gli altri erano privi di esperienza. 6 [La

lunghezza della strada percorsa in totale da Efeso nella Ionia fino al campo di battaglia è novantatré tappe,

cinquecentotrentacinque parasanghe, ossia sedicimilacinquanta stadi. Il campo di battaglia distava da Babilonia,

dicevano, trecentosessanta stadi.]

7 Quando ormai erano scese le tenebre, Miltocite il trace, con i cavalieri al suo séguito - una quarantina - e con

più o meno trecento fanti traci, da qui defezionò passando al re.

8 Clearco guidava gli altri secondo le direttive impartite, il resto dell'esercito lo seguiva. Giungono alla prima

tappa, da Arieo e dalle sue truppe, verso mezzanotte. I soldati deposero le armi ma rimasero nei ranghi, mentre gli

strateghi e i locaghi greci si riunirono con Arieo. I Greci e Arieo con i più influenti personaggi che erano con lui

giurarono reciprocamente di non tradirsi e di rimanere alleati. I barbari promisero inoltre di guidarli senza inganni. 9

Così giurarono, dopo aver sgozzato un toro, un cinghiale e un montone su di uno scudo: i Greci vi immersero una

spada, i barbari una lancia.

10 Una volta scambiati i pegni di fedeltà, Clearco disse: «Su, Arieo, ora che ci attende un'impresa comune,

esponi il tuo parere sulla direzione da tenere: seguiremo la via percorsa all'andata oppure hai in mente una strada

migliore?». 11 E lui rispose: «Se ci incamminiamo per la via già seguita, non c'è scampo, moriremo di fame. Già ora

non abbiamo più viveri. Nelle ultime diciassette tappe, per venire fin qui, non abbiamo trovato nulla da prendere, e quel

poco che c'era l'abbiamo consumato durante il nostro passaggio. La nostra idea adesso è di intraprendere un altro

cammino, più lungo, sì, ma i viveri non ci mancheranno. 12 Le prime tappe devono essere le più lunghe possibili, per

distanziare al massimo l'esercito regio. Una volta guadagnati due o tre giorni di vantaggio, il re non riuscirà più a

raggiungerci. Con un esercito piccolo non oserà incalzarci, con un esercito numeroso non avrà modo di affrettare il

passo. E forse ha anche penuria di viveri. Ecco», disse, «il mio parere».

13 Un piano del genere non prevedeva altro che la ritirata o la fuga. La sorte però ne concepì uno più dignitoso.

Sul fare del giorno si misero in marcia, tenendo il sole alla propria destra: al tramonto, calcolavano, sarebbero giunti ad

alcuni villaggi della regione di Babilonia. E infatti non si sbagliarono. 14 Quando ancora si era nel primo pomeriggio,

credettero di avvistare dei cavalieri nemici. I Greci che non erano nei ranghi correvano a riprendere il loro posto; Arieo

- viaggiava su carro, perché era stato ferito - scese e indossò la corazza, come pure i suoi. 15 Mentre si stavano

armando, le vedette mandate in avanscoperta rientrarono e dissero che non si trattava di cavalli, ma di bestie al pascolo.

Sùbito tutti capirono che da qualche parte, nelle vicinanze, si era attendato il re. Tanto più che nei villaggi, non lontano,

si vedeva del fumo.

16 Clearco non mosse contro i nemici: sapeva che i soldati erano stanchi, affamati. E ormai era anche tardi.

Comunque non cambiò direzione, badando bene a non dar l'impressione di una fuga, anzi procedette in linea retta fino

al calar del sole. Si accampò così con l'avanguardia nei primi villaggi: da qui l'esercito regio aveva strappato perfino le

parti in legno delle abitazioni. 17 L'avanguardia comunque si accampò alla bell'e meglio; quanto agli uomini della

retroguardia invece, giunti ormai con le tenebre, ciascuno prese posto come capitava. Per chiamarsi a vicenda

lanciavano grida così alte, che giunsero perfino alle orecchie dei nemici: quelli di loro che si trovavano nei pressi,

addirittura fuggirono dalle tende. 18 Lo si poté vedere con chiarezza il giorno seguente: non si scorgevano più, nelle

vicinanze, né animali da soma né accampamento né fumo da nessun lato. A quanto pare, anche il re rimase colpito

dall'arrivo dell'esercito. Ne diede prova il suo comportamento nel giorno successivo.

19 Nel corso della notte, in realtà, anche i Greci furono presi da paura e si verificò trambusto e scompiglio,

come è naturale che capiti quando s'insinua il pànico. 20 Clearco, che aveva con sé il miglior araldo del tempo,

Tolmide di Elide, gli diede ordine di imporre il silenzio e di notificare il proclama dei comandanti: chi denunzierà

l'uomo che si è lasciato scappare l'asino nell'accampamento, riceverà una ricompensa di un talento. 21 Una volta

divulgato il proclama, i soldati compresero che vano era il timore e che i comandanti erano al sicuro. All'alba Clearco

trasmette l'ordine ai Greci di prendere posto nello schieramento, secondo la disposizione già assunta in battaglia.

3

1 Che il re, come ho scritto, fosse rimasto colpito dall'arrivo, è chiaro anche da quanto segue: mentre il giorno

prima aveva inviato emissari per esigere la consegna delle armi, adesso, al sorgere del sole, mandò a trattare la tregua.

2 Gli inviati, non appena giunsero agli avamposti, chiesero dei capi. Quando le sentinelle ne diedero notizia, Clearco

stava passando in rassegna le truppe schierate, per cui disse alle sentinelle di invitare gli araldi ad attendere che avesse

tempo. 3 Quando ebbe disposto l'esercito in modo che su ogni lato la linea risultasse ben serrata, senza che nessuno

degli opliti uscisse dai ranghi, convocò i messaggeri e lui stesso mosse in avanti, scortato dai soldati meglio armati e di

più bell'aspetto tra i suoi, facendo cenno agli altri comandanti di imitarlo. 4 Vicino che fu ai messi, domandò che cosa

volessero. Erano venuti, dissero, per una tregua, con la mansione di riferire le richieste del re ai Greci e quelle dei Greci

al re. 5 E lui rispose: «Riferitegli allora che prima dobbiamo combattere: noi non abbiamo, infatti, di che pranzare. E

chi oserebbe parlare di tregua ai Greci senza procurar loro il pranzo?». 6 Alle sue parole i messi si allontanarono e.15

ritornarono poco dopo, per cui si capì che lì nei dintorni c'era il re o chi per lui avesse ricevuto il compito di trattare. Gli

emissari dissero che le loro richieste erano sembrate ragionevoli al re e che erano ritornati con delle guide che, in caso

di tregua, li avrebbero condotti dove potevano trovare i viveri. 7 Clearco chiese se la tregua valesse solo per chi teneva

i contatti nella trattativa oppure anche per gli altri. Gli emissari: «Per tutti quanti, finché non vengono comunicate al re

le vostre condizioni». 8 Alla fine del discorso Clearco li fece allontanare e tenne consiglio: l'opinione generale era di

concludere sùbito la tregua, per andare a rifornirsi di viveri in tutta tranquillità. 9 Clearco disse: «Sono anch'io dello

stesso avviso. Ma non voglio comunicare sùbito la risposta, anzi tirerò per le lunghe, fin tanto che i messaggeri non

temeranno un nostro rifiuto. Ho il sospetto però, disse, che getteremo la stessa paura nell'animo dei nostri soldati».

Quando gli sembrò venuto il momento, annunciò che accettavano la tregua e immediatamente chiese che lo portassero

ai viveri.

10 Allora i messi lo guidarono e Clearco, una volta conclusa la tregua, si mosse con l'esercito in formazione,

tenendosi nella retroguardia. Si imbatterono in fossi e canali pieni d'acqua, tanto che non si potevano varcare senza

ponti. Prepararono il guado con i tronchi di palme che trovarono: alcuni già a terra, altri li abbatterono. 11 Nella

circostanza Clearco diede un saggio delle sue doti di comando: teneva nella sinistra la lancia, nella destra un bastone. Se

qualcuno degli uomini comandati ai lavori gli dava l'impressione di fiacchezza, prendeva da parte il responsabile e lo

percuoteva; al contempo dava una mano in prima persona, coi piedi nel fango, per cui ognuno provava un senso di

vergogna a non collaborare. 12 Erano stati adibiti ai lavori i trentenni. Quando videro l'impegno di Clearco, si

prestarono anche i più anziani. 13 Ancor più si dava da fare Clearco, perché immaginava che i fossi non dovessero

essere sempre così pieni d'acqua: non era, infatti, la stagione adatta per l'irrigazione dei campi. Al contrario, sospettava

che il re avesse allagato la pianura, allo scopo di instillare nei Greci la convinzione che la via fosse irta di difficoltà.

14 Percorso un certo tratto, giunsero ai villagi in cui, secondo le indicazioni delle guide, dovevano trovare i

rifornimenti. C'era cibo in abbondanza, vino di palma e aceto bollito, sempre ricavato dalla stessa fonte. 15 Ai servi

sono destinati i frutti delle palme come quelli che si possono vedere in Grecia, mentre ai padroni sono riservati i frutti

scelti, straordinari per bellezza e grossezza: il loro aspetto è del tutto simile all'ambra. Alcuni, lasciati seccare, vengono

riposti come leccornie. La bevanda che da essi si ricava è gradevole, ma procura mal di testa. 16 In quell'occasione i

soldati mangiarono, per la prima volta, anche il midollo della palma; la maggioranza rimase favorevolmente sorpresa

dall'aspetto e dal particolare sapore. Ma anch'esso provocava forti cefalee. Tra l'altro, l'albero di palma da cui veniva

estratto il midollo seccava completamente.

17 Qui rimasero tre giorni. Dal campo del gran re era giunto Tissaferne insieme al fratello della moglie del re e

ad altri tre Persiani, con uno stuolo di servi. Quando gli strateghi greci mossero loro incontro, Tissaferne prese per

primo la parola e con l'aiuto di un interprete disse: 18 «Greci, io abito in un paese vicino alla Grecia e, poiché vi ho visti

dibattere in difficoltà gravi e senza via di uscita, ho escogitato un rimedio, per ottenere dal re la facoltà, se mai mi

riuscisse, di riportarvi sani e salvi in Grecia. Penso che non mi mancheranno né la vostra gratitudine né quella della

Grecia. 19 Con tale proposito mi sono rivolto al re, sostenendo che aveva validi motivi per concedermi quella grazia:

sono stato io il primo ad annunciargli la spedizione di Ciro contro di lui, e insieme alla notizia gli ho portato il mio

aiuto; sono stato il solo, tra tutti gli uomini schierati di fronte alle truppe greche, a non fuggire, anzi ho sfondato le

vostre linee e mi sono riunito a lui nel vostro accampamento, dove il re era giunto dopo aver ucciso Ciro e incalzato i

barbari di Ciro, insieme a questi uomini ora qui ai miei ordini, fedelissimi al re. 20 Mi promise che avrebbe riflettuto,

ma intanto mi ha ordinato di venire qui e di domandarvi perché avete intrapreso una spedizione contro di lui. Vi

consiglio di rispondere con tono misurato, per facilitare il mio compito, se mai mi riuscisse di ottenere per voi qualche

beneficio da parte sua».

21 Dopo di che, i Greci si allontanarono e tennero consiglio; poi risposero, tramite Clearco: «Non siamo venuti

qui per portare guerra al re né ci dirigevamo contro di lui; Ciro ha trovato un'infinità di pretesti, come anche tu ben sai,

per cogliere impreparati voi e condurre qui noi. 22 A dire il vero, quando l'abbiamo visto in grave difficoltà, abbiamo

provato un senso di vergogna di fronte agli dèi e agli uomini: non potevamo tradirlo, noi che in precedenza avevamo

goduto dei suoi favori. 23 Ora che Ciro è morto, non avanziamo pretese nei confronti del re né c'è ragione per cui

vogliamo devastare il suo territorio, e men che mai abbiamo intenzione di ucciderlo; al contrario, ci metteremmo

volentieri sulla strada di casa, se nessuno ce lo impedisse. Ma se qualcuno ci attacca, cercheremo con l'aiuto degli dèi di

difenderci. Se poi qualcuno ci accorderà la sua benevolenza, allora, per quanto sta nelle nostre forze, non saremo da

meno nel ricambiarlo». 24 Così parlò; dopo averlo ascoltato, Tissaferne disse: «Riferirò al re le tue parole e di nuovo a

voi la sua risposta. Fino al mio ritorno, continui la tregua. Intanto vi consentiremo l'accesso al mercato».

25 Il giorno successivo non si presentò, per cui i Greci rimasero in ansia. Ma due giorni dopo giunse e disse

che aveva ottenuto dal re licenza di salvare i Greci, anche se davvero molti avevano obiettato che non era degno di un re

lasciar andare impunito chi aveva marciato contro di lui. 26 Infine soggiunse: «Adesso potete ricevere da parte nostra

l'impegno che certamente passerete in una regione amica e che vi si condurrà senza inganni verso la Grecia,

consentendovi l'accesso al mercato. Dove non abbiate modo di comprare i viveri vi permetteremo di prenderli dal

territorio. 27 Voi però dovete giurarci che passerete come attraverso un paese amico senza arrecar danni, prendendo

cibo e bevande solo quando non vi potrete rifornire al mercato; in caso contrario, avrete i viveri solo a pagamento». 28

La proposta fu approvata: Tissaferne e il fratello della moglie del re giurarono, porsero la destra agli strateghi e ai

locaghi greci e ricevettero la loro. 29 Dopo di che, Tissaferne esclamò: «Ora ritorno dal re; quando avrò sbrigato i miei

impegni, sarò di nuovo qui, pronto a ricondurvi in Grecia e a rientrare nel mio dominio»..16

4

1 Quindi i Greci e Arieo attesero Tissaferne per più di venti giorni, accampati gli uni vicini all'altro. Nel

frattempo si recano da Arieo i fratelli e altri parenti, mentre i componenti del suo séguito ricevono la visita di alcuni

Persiani. Portavano rassicurazioni e, a taluni, garanzie formali da parte del re che non avrebbe serbato loro rancore per

la spedizione al fianco di Ciro né per alcun altro episodio del passato. 2 Nel corso di tali contatti gli uomini di Arieo

ebbero visibilmente meno riguardi per i Greci, altro motivo per cui non andavano a genio alla maggior parte dei Greci;

anzi, a più riprese avvicinarono Clearco e gli altri strateghi, dicendo: 3 «Che aspettiamo? Non abbiamo forse la certezza

che il sovrano vuole ucciderci a ogni costo, come monito per gli altri Greci a non compiere spedizioni contro il gran re?

Anche adesso ci suggerisce di aspettare qui, perché il suo esercito è frazionato, ma lasciate solo che lo riunisca di nuovo

e ci attaccherà, non c'è scampo. 4 Forse scava fossati o erige mura, chi sa dove, per sbarrarci il cammino. Non certo con

il suo benestare ci permetterà di rientrare in Grecia a proclamare che noi, un pugno di uomini, abbiamo vinto il re a un

passo da casa sua e ce ne siamo andati dopo averlo beffato». 5 A chi parlava così, Clearco rispose: «Io pure ho

nell'animo tutti questi pensieri, ma considero un fatto: se ora ci allontaniamo, sembrerà un atto di guerra e una

violazione della tregua. Poi, punto primo, nessuno più ci permetterà l'accesso al mercato, non sapremo dove trovare i

viveri e inoltre non avremo una guida. E al tempo stesso, se agiremo così, Arieo si staccherà sùbito da noi: non ci

rimarrà nessun alleato, anzi, anche chi prima era dalla nostra, ci diventerà nemico. 6 E se ci tocca ancora attraversare

qualche altro fiume, non lo so, ma di sicuro ci attende l'Eufrate, che, lo sappiamo, non si può varcare, se un nemico

sbarra il passo. In caso di battaglia poi non abbiamo cavalleria alleata, mentre i cavalieri nemici sono numerosi e

nessuno è pari a loro in valore. Perciò, se vinciamo, chi uccideremo? Con una sconfitta invece nessuno avrà modo di

salvarsi. 7 D'altra parte, se il re, che ha tanti alleati, davvero volesse sterminarci, non capisco perché mai avrebbe

dovuto far promessa solenne e darci la sua destra, per poi spergiurare di fronte agli dèi e screditare i suoi pegni di fede

agli occhi dei Greci e dei barbari». E più volte andava ripetendo molti discorsi dello stesso tenore.

8 A questo punto giunse Tissaferne con il suo séguito, come se si accingesse a tornare in patria; Oronta aveva

con sé i suoi. Lo accompagnava anche la figlia del re, che aveva in moglie. 9 Da qui si misero in marcia: Tissaferne era

alla testa e provvedeva al mercato. Anche Arieo, con il contingente barbarico al séguito di Ciro, si era mosso insieme a

Tissaferne e Oronta e con loro si accampava. 10 I Greci, che nutrivano sospetti nei loro confronti, procedevano

seguendo le proprie guide. E ogni volta mettevano il campo alla distanza di una parasanga o più gli uni dagli altri. Si

sorvegliavano a vicenda, come se fossero nemici, per cui ben presto si instaurò un clima di sospetto. 11 In alcuni casi

erano capitati nello stesso luogo in cerca di legna o foraggio o altre cose del genere e avevano alzato le mani: anche

questo creava ostilità.

12 Percorse tre tappe, raggiunsero il cosiddetto muro della Media e lo passarono. Si trattava di una costruzione

in mattoni cotti, poggiati su bitume, larghezza venti piedi, altezza cento. La lunghezza, si diceva, era di venti

parasanghe. Non distava molto da Babilonia.

13 Da qui, in due tappe, avanzarono di otto parasanghe. Varcarono due canali, l'uno su ponti, l'altro legando

insieme sette barche. Si trattava di canali derivati dal Tigri, dai quali poi erano stati scavati fossati per irrigare il terreno,

prima ampi, poi sempre più stretti fino a diventare rigagnoli, come quelli che in Grecia attraversano i campi di miglio.

Quindi giungono al Tigri, nei pressi di una città grande e popolosa di nome Sittace, distante dal fiume quindici

stadi. 14 I Greci si attendarono nelle vicinanze, accanto a un grande e bel parco e a un bosco con piante d'ogni sorta. I

barbari invece varcarono il Tigri: non erano più neppure in vista.

15 Dopo cena Prosseno e Senofonte stavano passeggiando dinnanzi all'accampamento, quand'ecco che si

avvicinò un uomo e chiese alle sentinelle dove potesse trovare Prosseno o Clearco. Non cercava Menone, sebbene

venisse da parte di Arieo, che a Menone era legato da vincoli di ospitalità. 16 Prosseno esclamò: «Sono io quello che

cerchi». Allora l'uomo parlò in questi termini: «Mi hanno mandato Arieo e Artaozo, gente fedele a Ciro e che sta dalla

vostra parte. Vi invitano a guardarvi da un attacco notturno dei barbari: un grande esercito è appostato nel parco vicino.

17 Vi esortano anche a mandare un corpo di guardia al ponte del Tigri, perché Tissaferne ha in mente di distruggerlo

durante la notte, se gli riesce; così non potrete passare sull'altra sponda, ma rimarrete in trappola, tra fiume e canale».

18 Appena udite le sue parole, lo portano da Clearco e gli illustrano ciò che dice. Clearco, appena sente la notizia,

rimane sconvolto e impaurito.

19 Ma un giovane, uno dei presenti, dopo aver riflettuto, disse che le idee di un attacco e di una distruzione del

ponte erano incongruenti. «Un attacco ovviamente», diceva, «deve portare a una vittoria o a una sconfitta. Perciò, se

vincono, che bisogno hanno di distruggere il ponte? Neppure se avessimo a disposizione migliaia di ponti, potremmo

trovare salvezza nella fuga. 20 Se invece vinciamo noi, saranno loro a non avere una via di scampo, una volta tagliato il

ponte. E per quanti rinforzi dovessero avere al di là del fiume, nessuno potrà accorrere, una volta abbattuto il ponte».

21 Ascoltata l'osservazione, Clearco domandò al messo quale fosse l'estensione del territorio racchiuso tra il

Tigri e il canale. «Grande», rispose, «con villaggi e città numerose e importanti». 22 Allora si capì che l'avevano

mandato i barbari, nel timore che i Greci tagliassero il ponte e si stabilissero nell'isola di territorio, difesi su un lato dal

Tigri, sull'altro dal canale; quanto ai viveri, avrebbero potuto rifornirsi nella zona centrale, che era vasta e fertile e per di

più abitata da gente laboriosa. Tra l'altro, poteva diventare un rifugio per chi avesse voluto ribellarsi al re.

23 Dopo di che, andarono a riposare; al ponte inviarono lo stesso un corpo di guardia, ma non si registrò

nessun assalto da nessun fronte, nessuno dei nemici si avvicinò al ponte, almeno secondo il rapporto delle sentinelle. 24.17

Quando venne l'alba, passarono il ponte formato da trentasette barche, con la massima cautela: alcuni emissari di

Tissaferne avevano detto, infatti, che al momento del passaggio i Greci avrebbero subito un attacco. Ma anche questa

informazione si rivelò falsa. Durante la traversata, a dire il vero, avvistarono Glu che, insieme con alcuni altri,

controllava se varcassero il fiume; ma non appena ebbe presa visione, si allontanò a spron battuto.

25 Dal Tigri, in quattro tappe, avanzarono di venti parasanghe fino al fiume Fisco, larghezza un pletro: c'era un

ponte. Qui sorgeva una città grande, Opi. Qui vicino, si imbatté nei Greci il fratellastro di Ciro e Artaserse, che

proveniva da Susa ed Ecbatana, con un nutrito contingente in appoggio al re. Fermò il proprio esercito e rimase a

osservare il passaggio dei Greci. 26 Clearco guidava le truppe disposte su due file, procedeva a tratti e a tratti si

fermava. E quanto tempo l'avanguardia rimaneva ferma, altrettanto doveva necessariamente sostare il grosso

dell'esercito. Perciò, la colonna doveva sembrare enorme anche ai Greci, oltre che colpire il Persiano che assisteva.

27 Da qui, attraverso la Media, proseguirono nel deserto per trenta parasanghe, in sei tappe, fino ai villaggi di

Parisatide, la madre di Ciro e del re. Come gesto di irrisione verso Ciro, Tissaferne consentì ai Greci il saccheggio, ma

non di rendere schiavi gli abitanti. C'era cibo in quantità e bestiame e altri beni.

28 Da qui, in quattro tappe, proseguirono nel deserto, per venti parasanghe, tenendo il Tigri sulla sinistra. Nel

tratto della prima tappa, sulla sponda opposta sorgeva una città grande e ricca, di nome Cene: da qui i barbari, mediante

zattere formate con otri di cuoio, portarono pane, formaggio, vino.

5

1 Dopo di che, giungono al fiume Zapata, largo quattro pletri. Si trattengono tre giorni, durante i quali

rimangono in sospetto, senza che però si verificasse nessun atto di ostilità evidente. 2 Clearco decise di incontrarsi con

Tissaferne e di porre fine, se possibile, alla diffidenza prima che sfociasse in guerra. Mandò un messo a chiedere un

incontro. 3 Tissaferne lo invita prontamente a recarsi da lui.

Durante l'incontro, Clearco parla così: «Io, o Tissaferne, so che abbiamo giurato e stretto le nostre destre, a

garanzia di non danneggiarci a vicenda. Ma vedo che tu te ne stai in guardia, come se fossimo nemici, per cui anche noi,

a nostra volta, stiamo all'erta. 4 Bene, è un po' che ti tengo d'occhio, ma non riesco a trovare prove che tu cerchi di

nuocerci; da parte mia ti posso assicurare che noi non abbiamo in mente nulla di tutto ciò. Allora mi è sembrato il caso

di avere un confronto con te, per spazzar via, se possibile, la diffidenza reciproca. 5 So che in altre circostanze alcune

persone, vuoi per calunnia, vuoi per sospetto, l'una in preda al timore dell'altra, sono arrivate a compiere l'irrimediabile,

solo per non essere anticipate nello sferrare il colpo, eppure gli altri non avevano affatto cattive intenzioni. 6

Incomprensioni del genere, credo, si possono cancellare senz'altro con il confronto diretto; perciò eccomi qui, pronto a

dimostrarti che non hai motivo di diffidare di noi. 7 Punto primo, ed è il più importante, i giuramenti divini ci

impediscono di essere nemici. Chi è cosciente di violarli, non credo che potrà mai aver felicità. Non so fuggendo dove e

con quanta rapidità qualcuno potrebbe evitare la guerra degli dèi, né in quale tenebra potrebbe nascondersi, né in quale

luogo fortificato potrebbe ritirarsi. Dovunque tutto è soggetto al divino e su tutto allo stesso modo gli dèi governano. 8

Ecco come la penso sui giuramenti e sugli dèi, depositari del nostro patto di alleanza. Quanto alla sfera umana, al

momento ti considero il nostro bene più prezioso. 9 Con te ogni via diventa transitabile, possiamo varcare ogni fiume, i

viveri non ci mancano. Senza di te ogni strada è avvolta da tenebra - non la conosciamo - ogni fiume un ostacolo

insormontabile, la gente una fonte di paura, ma un vero terrore sarebbe il deserto: è irto d'ogni genere di ostacoli. 10

Supponiamo che, in un accesso di follia, ti uccidessimo: che cosa avremmo ottenuto, eliminato il nostro benefattore, se

non chiamare in campo quel possente atleta di riserva, il re? Ma sai di quante e di quali speranze mi priverei, se volessi

il tuo male? Te lo voglio dire. 11 Io ho cercato l'amicizia di Ciro, perché allora lo consideravo capace di far del bene a

chi volesse, più di chiunque altro. Ma tu, vedo, ora hai nelle tue mani la potenza di Ciro e le sue terre, inoltre hai

conservato il tuo dominio e in più hai alleata la potenza del re, alla quale Ciro era ostile. 12 Stando così le cose, chi

potrebbe essere tanto pazzo da non voler dare a te la sua amicizia? E non solo: ti dirò i motivi per cui, spero, anche tu

vorrai darci la tua. 13 So che i Misi vi danno dei fastidi: penso che, con l'esercito di cui ora dispongo, potrei metterli ai

vostri piedi. So anche dei Pisidi. E sento parlare pure di molti altri popoli: potrei farli smettere di arrecare sempre

molestia alla vostra prosperità. E gli Egizi? So che sono soprattutto loro a suscitare le vostre ire. Non vedo su quale

forza alleata potreste contare per punirli, se non sui soldati ai miei ordini. 14 E poi, i popoli confinanti, se tu offrissi

loro il tuo appoggio, dove potrebbero trovare un alleato più forte? Al contrario, se qualcuno ti molestasse, potresti farla

da padrone contando sul nostro aiuto. E noi non rimarremmo alle tue dipendenze solo per la paga, ma per un senso di

gratitudine, che giustamente avremmo, per essere stati salvati da te. 15 Quando penso a tutto ciò, mi sembra così strano

che tu non ti fidi di noi, tanto che vorrei proprio sapere chi sa trovare parole così dannatamente persuasive, da

convincerti che tramiamo ai tuoi danni». Clearco parlò così. Tissaferne replicò:

16 «Mi compiaccio, Clearco, di sentire le tue parole sensate. Lo riconosco anch'io: preparare insidie contro di

me vorrebbe dire ritorcerle contro te stesso. Ma, sappilo, neppure voi avete motivo di dubitare del re o di me. Ascolta

tu, ora. 17 Se decidessimo di uccidervi, credi che ci farebbe difetto il numero di cavalieri, fanti o opliti? Non potremmo

forse colpirvi senza correre alcun rischio? 18 Posti adatti per tendervi imboscate pensi che ce ne mancherebbero? Non

vedete pianure così grandi che voi le attraversate con molta fatica, anche non incontrando ostilità? I monti che dovete

valicare, li avete dinnanzi agli occhi: non potremmo occuparli prima di voi e sbarrarvi l'accesso? E i fiumi così

numerosi? Sulle loro rive non potremmo decidere con quanti di voi vogliamo combattere? E ce ne sono alcuni che non.18

riuscireste mai a varcare se noi non vi lasciassimo via libera. 19 E ammettiamo pure di aver la peggio in tutti questi

casi, ci rimane pur sempre il fuoco, che è più forte dei frutti della terra: noi potremmo spargere incendi e mettere in

campo al nostro fianco la fame, e voi non potreste combatterla, neppure con tutto il vostro valore. 20 Ma come?

Abbiamo tutti questi mezzi per farvi guerra, nessuno dei quali ci comporta rischi, e tra tutte le varie possibilità

dovremmo proprio scegliere l'unica empia di fronte agli dèi, l'unica turpe agli occhi degli uomini? 21 Chi è senza via di

uscita, senza mezzi e nella morsa della necessità, e per di più è d'animo ignobile, decide di agire così, commettendo

spergiuro nei confronti degli dèi e tradendo la fiducia degli uomini. No, Clearco, non siamo così irragionevoli o stupidi.

22 Perché, se potevamo uccidervi, non l'abbiamo fatto? Il mio desiderio, sappilo bene, è di essere leale verso i Greci.

Con questi uomini Ciro ha marciato verso l'interno fidando nel soldo della paga, con gli stessi uomini io marcerò verso

la costa forte della vostra riconoscenza. 23 Le occasioni in cui potete dimostrarmi la vostra utilità, in parte le hai

menzionate tu stesso, ma la principale la conosco io: la tiara può tenerla dritta in testa solo il re, ma forse con il vostro

appoggio potrebbe facilmente portarla anche un altro, che ora la tiene sul cuore».

24 Le sue parole parvero sincere a Clearco. Rispose: «Allora, se così salde sono le ragioni della nostra

amicizia, chi cerca di spargere calunnie per renderci nemici non merita forse la fine più atroce?». 25 «Io, per parte mia

almeno», disse Tissaferne, «se voi, strateghi e locaghi, volete venir qui, dirò apertamente i nomi di chi mi va

sussurrando che tramate contro di me e il mio esercito». 26 «E io», ribatté Clearco, «te li porterò tutti e ti svelerò da chi

vengono le voci sul tuo conto». 27 Dopo tali discorsi Tissaferne mostrò nella circostanza la sua cortesia, lo invitò a

rimanere e lo ebbe come commensale.

Il giorno successivo Clearco, al suo ritorno al campo, si mostrò convinto dell'amichevole disposizione di

Tissaferne e riferì le sue parole. Le persone invitate da Tissaferne - sosteneva - dovevano recarsi da quest'ultimo e, una

volta appurato chi tra i Greci avesse sparso calunnie, doveva essere punito come traditore e nemico della patria. 28

Sospettava che le voci le avesse messe in giro Menone, perché sapeva che insieme ad Arieo si era incontrato con

Tissaferne, tramava una sedizione e contro di lui, Clearco, macchinava allo scopo di trascinare l'esercito dalla sua parte

e di diventare alleato di Tissaferne. 29 Certo che Clearco voleva per sé tutte le simpatie dell'esercito, eliminando gli

oppositori. Ci furono dei soldati che contraddissero il suo parere: non bisognava inviare tutti i locaghi e gli strateghi né

fidarsi di Tissaferne. 30 Ma Clearco tenne duro, finché non riuscì a ottenere che partissero cinque strateghi e venti

locaghi. Li seguivano, con la scusa di recarsi al mercato, anche altri soldati, circa duecento.

31 Quando erano alle porte di Tissaferne, vennero chiamati all'interno gli strateghi: Prosseno il beota, Menone

il tessalo, Agia l'arcade, Clearco il lacone, Socrate l'acheo. I locaghi rimasero ad aspettare alle porte. 32 Non passò

molto che, a un segnale unico, chi era all'interno venne preso, chi all'esterno massacrato. Poi alcuni cavalieri barbari si

lanciarono in scorrerie per la pianura, ammazzando tutti i Greci che trovavano sulla loro strada, schiavi o liberi che

fossero. 33 I Greci che dall'accampamento assistevano all'incursione rimasero sbigottiti, senza capire che cosa stesse

accadendo, finché non arrivò Nicarco l'arcade che, fuggito, era ferito al ventre e teneva le viscere tra le mani. Fu lui a

raccontare ogni cosa. 34 Allora i Greci corsero alle armi, tutti, sconvolti e convinti che da lì a poco i nemici sarebbero

piombati sull'accampamento.

35 Non vennero tutti, ma solo Arieo, Artaozo e Mitradate, fedelissimi di Ciro. L'interprete greco sostenne di

aver visto e riconosciuto insieme a loro anche il fratello di Tissaferne. Li seguivano anche altri Persiani, più o meno

trecento, coperti di corazze. 36 Non appena furono vicini, chiesero che si facesse avanti qualcuno dei Greci, uno

stratego o un locago, per comunicare le disposizioni del re. 37 Allora tra i Greci uscirono dal campo, guardinghi, gli

strateghi Cleanore di Orcomeno e Sofeneto di Stinfalo, seguiti da Senofonte l'ateniese, che voleva notizie di Prosseno.

Chirisofo si trovava lontano, in un villaggio, insieme ad altri in cerca di rifornimenti. 38 Quando furono a una distanza

tale da poter udire, Arieo disse: «Clearco, o Greci, si è dimostrato uno spergiuro, ha violato la tregua, perciò ha pagato

ed è morto. Prosseno e Menone, per aver svelato le sue trame, godono di grandi onori. A voi il re chiede le armi. Dice

che sono sue, perché erano di Ciro, suo suddito». 39 Risposero i Greci, portavoce Cleanore di Orcomeno: «Tu Arieo,

l'essere più spregevole sulla faccia della terra, e voi altri che eravate amici di Ciro, non provate vergogna né di fronte

agli dèi né agli uomini? Avete giurato di dividere con noi amici e nemici e ora ci avete tradito passando a Tissaferne,

che non ha rivali nell'empietà e nell'intrigo. Avete ammazzato proprio gli uomini a cui avevate giurato lealtà, tradendoci

tutti, e ora, con il nemico, venite contro di noi». 40 Arieo replicò: «Clearco, ne abbiamo le prove, tramava contro

Tissaferne e Oronta e contro tutti noi che siamo con loro». 41 A tali parole intervenne Senofonte: «Se Clearco davvero

ha violato la tregua contro gli accordi, ha avuto ciò che meritava: è giusto, infatti, che muoiano gli spergiuri. Ma se

Prosseno e Menone, nostri strateghi, si sono guadagnati la vostra riconoscenza, rimandateli qui. Se sono nostri comuni

amici, cercheranno, è evidente, di consigliare entrambi per il meglio». 42 Al che, i barbari discussero a lungo e poi se

ne andarono senza risposta.

6

1 Gli strateghi così presi prigionieri furono condotti dal re e decapitati. Di loro uno solo, Clearco, era

considerato unanimemente da tutti quelli che l'avevano conosciuto un uomo estremamente esperto e appassionato di

guerra. 2 Finché fu in corso il conflitto degli Spartani contro gli Ateniesi, rimase in patria; stipulata la pace, convinse la

sua città che i Traci danneggiavano i Greci. Tanto fece che ottenne il consenso degli efori e veleggiò per portar guerra ai

Traci che abitano al di là del Chersoneso e di Perinto. 3 Poi, com'è come non è, gli efori cambiarono idea e lo.19

richiamarono in patria dall'Istmo quando già l'aveva superato. Da quel momento non obbedì più e si diresse con le navi

verso l'Ellesponto. 4 Di conseguenza venne condannato a morte dai magistrati spartani per insubordinazione. Ormai

esule, si reca da Ciro. Con quali parole lo abbia persuaso l'ho già scritto altrove: comunque sia, Ciro gli dà diecimila

darici. 5 Lui li prese, ma non si volse all'ozio, anzi, con la somma raccolse un esercito e cominciò a guerreggiare coi

Traci, li vinse in battaglia e quindi saccheggiò e fece prigionieri, senza mai deporre le armi finché Ciro non ebbe

bisogno dell'esercito. Allora partì, ma sempre per combattere, al fianco di Ciro. 6 Scegliere lo scontro quando si può

rimaner in pace senza vergogna e danno, pur di combattere cercar le fatiche anche quando si può rimanere in ozio,

preferire la guerra e veder diminuire i propri averi quando si ha modo di mantenerli senza rischi: a me sembra che si

comporti così, forse, solo chi ha la guerra nel sangue. Come [altri] per i fanciulli amati o in piaceri diversi, lui era

pronto a spendere tutto per la guerra. 7 Tanto la amava. Ma si vedeva anche che ne era un profondo conoscitore. Gli

piaceva il pericolo, di giorno e di notte incalzava i nemici; nelle situazioni più drammatiche rimaneva lucido, come

confermano tutti quelli che lo accompagnavano sempre. 8 Si diceva che, più di chiunque, fosse nato per il comando, a

causa del suo temperamento. Era capace, come nessun altro, di preoccuparsi che non mancassero all'esercito i viveri e di

procurarli; era capace di infondere in chi stava attorno a lui la convinzione che bisognava obbedire a Clearco. 9 Lo

otteneva con la severità. Anche l'aspetto era cupo, la voce roca; puniva con durezza, talvolta in preda a uno scatto d'ira,

tanto da pentirsene in certi casi. 10 Ma puniva per un preciso motivo: un esercito indisciplinato, pensava, non serviva a

nulla. Diceva - raccontano - che il soldato doveva temere il suo comandante più dei nemici, se si voleva che osservasse i

turni di guardia, che non arrecasse danni ai popoli amici o che muovesse contro il nemico senza addurre pretesti. 11

Nei momenti più delicati i soldati erano disposti ad ascoltare soprattutto lui e non gli preferivano altri. In quelle

occasioni il suo viso così rude manifestava serenità, la sua durezza sembrava un segno di forza quando erano di fronte ai

nemici, e appariva un'àncora di salvezza, non più una fonte di paura. 12 Ma quand'erano fuori pericolo e avevano

facoltà di passare sotto un altro capo, molti lo lasciavano: non era certo un uomo amabile, ma sempre duro e spietato.

Con lui i soldati si comportavano come gli scolari col maestro. 13 Non ebbe mai gente che lo seguisse per amicizia e

benevolenza. Chi era sotto di lui, o per ordine della propria città o per bisogno o per qualche altra necessità, gli doveva

obbedienza assoluta. 14 Ma quando al suo fianco cominciarono a piegare i nemici, erano ormai chiari i motivi che

rendevano i suoi dei veri soldati: avevano indomito coraggio di fronte ai nemici e il timore delle sue punizioni garantiva

la disciplina. 15 Ecco le sue caratteristiche di comandante. Ma a sottostare agli ordini degli altri non era proprio

disposto, dicono. Quando morì, era sui cinquant'anni.

16 Prosseno il beota fin da ragazzo aveva l'ambizione di diventare un uomo capace di grandi cose. Questo

desiderio lo spinse a pagare per le lezioni di Gorgia di Leontini. 17 Dopo averlo frequentato, pensò di essere ormai in

grado di comandare e di ricambiare in larga misura i benefici dei potenti, se ne diventava amico. Perciò si unì alle

imprese di Ciro, credendo così di farsi un gran nome e di acquisire notevole potenza e ingenti mezzi. 18 Sebbene

desiderasse con forza queste cose, era chiaro che non era disposto a raggiungere le sue mete con mezzi illeciti, ma era

convinto che bisognasse ottenerle solo con la correttezza e l'onestà, altrimenti no. 19 Sapeva comandare sulle persone

perbene, ma non era capace di infondere nei soldati né rispetto né soggezione; anzi, si sentiva in difficoltà più lui

dinnanzi ai soldati che i suoi subordinati di fronte a lui. Ed aveva più paura lui, era chiaro, di attirarsi l'ostilità della

truppa di quanto ne avesse la truppa di disobbedire ai suoi ordini. 20 Credeva che per essere e sembrare un vero capo

bastasse lodare chi agiva bene e non elogiare chi si macchiava di colpe. Ragion per cui, tra i suoi uomini, quelli onesti e

buoni gli erano devoti, mentre i disonesti agivano alle sue spalle, perché era troppo malleabile. Quando morì, era sulla

trentina.

21 Menone il tessalo, lo si vedeva, desiderava avidamente la ricchezza, desiderava il comando per avere di più,

desiderava gli onori per guadagnare di più. Voleva l'amicizia dei più forti per commettere soprusi senza mai pagare per

le proprie colpe. 22 Per raggiungere i propri scopi pensava che la via più breve passasse per lo spergiuro, la menzogna

e l'inganno, e che la semplicità e il vero equivalessero a stupidità. 23 Non amava nessuno, era evidente, e se si

professava amico di qualcuno, significava che contro di lui stava tramando qualcosa. Di nessun nemico si prendeva

gioco, di tutti i compagni parlava sempre con tono derisorio. 24 Sulle sostanze dei nemici non posava mai gli occhi:

riteneva difficile, infatti, potersi impossessare dei beni di chi sta in guardia; gli averi degli amici invece credeva di

essere il solo a sapere che è facilissimo prenderli, perché non custoditi. 25 Chiunque vedesse pronto allo spergiuro e

all'immoralità, lo temeva come persona ben armata; cercava di sfruttare quelli onesti e leali, stimandoli privi di virilità.

26 C'è chi si vanta del proprio rispetto per la religiosità, la verità, la giustizia; Menone andava fiero della propria

capacità di ingannare, di forgiar menzogne, di deridere gli amici. Chi non era pronto a tutto lo considerava sempre nel

novero dei non evoluti. E se voleva essere il primo nelle grazie di qualcuno, credeva di poter raggiungere il proprio

scopo sparlando di chi lo precedeva. 27 Quanto al mantenimento della disciplina tra i soldati, si ingegnava di ottenerlo

partecipando alle loro malefatte. Esigeva di essere servito e riverito, per dimostrare che, volendo, era capace di

compiere azioni immorali. Quando qualcuno lo lasciava, gli ricordava un grande beneficio: era stato ai suoi ordini e lui

non lo aveva ammazzato. 28 Sulla sua vita privata è possibile dire inesattezze, ma ci sono cose che tutti sanno: poiché

era ancora nel fiore degli anni riuscì a ottenere da Aristippo il comando delle truppe straniere, e [ancor giovane] era

intimamente legato ad Arieo, un barbaro, perché a quest'ultimo piacevano i bei ragazzi, e poi lui stesso imberbe aveva

per amante il barbuto Taripa. 29 Quando i suoi colleghi strateghi erano stati uccisi, per essersi uniti a Ciro nella

spedizione contro il re, lui, benché avesse agito nell'identico modo, non fu messo a morte. Dopo l'uccisione degli altri

strateghi, fu punito dal re con la pena capitale, ma non morì decapitato, come Clearco e gli altri - sembra il tipo di morte.20

più rapido - al contrario rimase in vita, si racconta, per un anno; fu trattato orrendamente e poi incontrò una fine da

malfattore.

30 Agia l'arcade e Socrate l'acheo furono uccisi anch'essi. Nessuno ebbe mai modo di deriderli come vili in

guerra né di biasimarli per il loro comportamento verso gli amici. Erano entrambi sui trentacinque anni.

LIBRO III

1

1 [Le azioni compiute dai Greci durante la marcia di Ciro verso l'interno fino al momento della battaglia, le

vicende avvenute dopo la morte di Ciro, la ritirata dei Greci con Tissaferne nel corso della tregua sono esposte nel

racconto precedente.]

2 Una volta catturati gli strateghi e uccisi i locaghi e i soldati che li accompagnavano, i Greci non sapevano che

partito prendere: capivano di essere vicinissimi al re, tutt'intorno accerchiati da molte genti e città ostili, nessuno era

disposto ad aprire loro i mercati, la Grecia distava non meno di diecimila stadi, non avevano una guida che indicasse

loro il cammino; e poi la via verso casa era sbarrata da fiumi non guadabili, anche i barbari al séguito di Ciro nella

spedizione li avevano traditi, erano rimasti soli, senza neppure un cavaliere a dar manforte, per cui, in caso di vittoria,

era palese a tutti che non avrebbero potuto uccidere nemmeno un nemico, ma, se venivano sconfitti, nessuno sarebbe

sopravvissuto. 3 Rivolgendo nella mente tali pensieri, demoralizzati, pochi verso sera toccarono cibo, pochi accesero il

fuoco, molti non rientrarono neppure al campo, quella notte. Ciascuno per dormire si sdraiava dove capitava, ma non

riuscirono a chiudere occhio per il tormento e il rimpianto della patria, dei genitori, delle mogli, dei figli e credevano di

non rivederli mai più. In preda a tali stati d'animo tutti cercavano riposo.

4 C'era nell'esercito un certo Senofonte, ateniese: non era stratego né locago né soldato semplice, ma si era

unito alla spedizione perché Prosseno, suo ospite di vecchia data, lo aveva mandato a chiamare dalla patria dietro

promessa che, se lo avesse raggiunto, gli avrebbe procurato l'amicizia di Ciro, un uomo che - sosteneva - poteva fare per

lui più della sua patria. 5 Senofonte dunque, letta la missiva di Prosseno, si consulta in merito al viaggio con Socrate

l'ateniese. E Socrate, supponendo che l'amicizia con Ciro potesse venir additata dalla città come una colpa (si pensava

che Ciro avesse sollecitamente appoggiato gli Spartani nella guerra contro Atene), suggerisce a Senofonte di recarsi a

Delfi e di consultare il dio a proposito del viaggio. 6 Senofonte vi si recò e ad Apollo chiese a quale dio dovesse

rivolger sacrifici e preghiere per percorrere nel modo più sereno e fausto la via che intendeva intraprendere e, conclusa

per il meglio l'impresa, ritornare sano e salvo. Apollo gli indicò espressamente gli dèi a cui doveva tributare i sacrifici.

7 Rientrato in patria, riferì il responso a Socrate, che, non appena lo ebbe udito, lo rimproverò di non aver prima chiesto

se convenisse partire o restare, ma, avendo già preso da sé la decisione di andare, la sua domanda riguardava solo come

avrebbe potuto rendere più sicura l'impresa. «Ma poiché hai formulato il quesito in tali termini», concluse Socrate,

«bisogna che tu ora compia quanto il dio ti ha prescritto». 8 Senofonte allora sacrificò alle divinità indicate da Apollo e

salpò. A Sardi raggiunge Prosseno e Ciro, che erano ormai sul punto di muovere verso l'interno, ed entrò in contatto con

Ciro. 9 Dietro pressione di Prosseno, anche Ciro insistette ripetutamente perché Senofonte restasse: non appena

terminata la campagna di guerra, l'avrebbe rimandato sùbito in patria. E si parlava di una spedizione contro i Pisidi. 10

Si unì dunque all'impresa, perché tratto così in inganno, ma non certo per colpa di Prosseno, che non sapeva dell'attacco

al re, come pure nessun altro dei Greci, a eccezione di Clearco. A dire il vero, quando giunsero in Cilicia, sembrava

ormai evidente a tutti che il bersaglio era il re. Atterriti dal viaggio e pur contro voglia, molti comunque seguirono la

spedizione, perché provavano vergogna sia di fronte ai compagni sia di fronte a Ciro. Tra quelli c'era anche Senofonte.

11 In quella situazione senza sbocco soffriva insieme agli altri e non riusciva a chiudere occhio. Poi si assopì

per qualche istante ed ebbe un sogno: gli sembrò che durante una tempesta un fulmine si abbattesse sulla casa paterna e

che questa poi, tutta quanta, mandasse bagliori. 12 Sconvolto, sùbito si svegliò: valutava il sogno fausto per alcuni

aspetti, perché in una situazione di gravi travagli e pericoli gli era apparsa la grande luce di Zeus; d'altro canto però era

preoccupato, perché il sogno pareva venire da Zeus sovrano e il fuoco sembrava mandare bagliori tutt'attorno, in

cerchio, a indicare che non avrebbe trovato nessuna via d'uscita dal territorio del re, ma da ogni lato sarebbe stato

trattenuto da qualche ostacolo.

13 Qual è il vero significato di un sogno simile, lo si può capire dagli eventi successivi. Ecco che cosa accadde.

Appena si ridestò, sùbito lo assalì un pensiero: «Che ci sto a fare qui sdraiato? La notte avanza; allo spuntar del giorno,

probabilmente, piomberanno i nemici. Se cadremo nelle mani del re, che cosa ci salverà da una morte infamante, dopo

aver visto orrori d'ogni genere, dopo aver sofferto tutte le pene più atroci? 14 Nessuno si prepara né si cura di come ci

difenderemo: restiamo qui sdraiati quasi che potessimo starcene tranquilli. Da quale città mi attendo che arrivi uno

stratego per guidare le operazioni? Che cosa aspetto per agire, di diventar vecchio? No, non avrò ancora modo di

invecchiare, se oggi mi consegnerò ai nemici».

15 Perciò balza in piedi e chiama sùbito i locaghi di Prosseno. Quando giunsero, disse: «O locaghi, non riesco

a prender sonno, come credo neppure voi, e nemmeno a restar ancora sdraiato, quando mi rendo conto in quale

situazione versiamo. 16 I nemici, è chiaro, non ci hanno ancora assaliti solo perché volevano esser sicuri di aver

preparato a punto ogni cosa. E noi? Nessuno si occupa di come potremo difenderci nel modo migliore. 17 Quali pene.21

pensate che ci attendano, se ci lasceremo andare e cadremo nelle mani del re? Suo fratello, nato dalla stessa madre, già

cadavere, dopo avergli mozzato il capo e la mano, lo ha impalato. E noi, che non abbiamo nessun difensore e ci siamo

mossi contro di lui per renderlo schiavo da re che era e ammazzarlo, se ci riusciva? Cosa credete che patiremo? 18 Non

pensate che sarebbe capace di tutto pur di torturarci a morte e ingenerare terrore in chiunque, in futuro, voglia marciare

contro di lui? Dobbiamo provarle tutte pur di non cadere in mano sua. 19 Tra l'altro, da quando è in vigore la tregua,

non ho smesso un attimo di commiserare la nostra sorte: beati il re e i suoi sudditi pensavo, osservando le loro terre così

estese e fertili, l'abbondanza di viveri, schiavi, armenti, oro, vesti. 20 Per contro, talvolta la mente mi correva a noi

soldati, che non potevamo godere di nessuno di questi beni, se non a pagamento - e sapevo che pochi ormai avevano

denaro per comprarli - tanto più che i giuramenti ci vincolavano a procurarci i viveri solo col denaro. E quando

ragionavo così, certe volte mi spaventava di più la tregua che la guerra. 21 Adesso i nemici hanno violato i patti, per

cui, ritengo, svaniscono tanto le loro insolenze quanto i nostri sospetti. Quei beni stanno ora nel mezzo quale premio per

chi, tra i due contendenti, risulterà vincitore: giudici della gara sono gli dèi, che saranno al nostro fianco, è naturale. 22

Loro infatti hanno spergiurato, mentre noi, pur avendo davanti agli occhi tanti beni, per i giuramenti fatti di fronte agli

dèi, ce ne siamo tenuti rigorosamente lontani. Credo dunque che sia lecito presentarsi alla gara con il morale molto più

alto del loro. 23 Abbiamo inoltre corpi più resistenti dei loro, al freddo, al caldo, alle fatiche. Abbiamo anche uno

spirito più risoluto, grazie agli dèi. Loro più di noi sono soggetti alle ferite e alla morte, se gli dèi come in passato ci

concederanno la vittoria. 24 Ma forse non sono il solo a pensarla così. In nome degli dèi, non aspettiamo che siano altri

a venire da noi, a esortarci alle imprese più alte; al contrario cerchiamo di essere noi i primi a trascinare loro sulla strada

del valore. Dimostratevi i migliori tra i locaghi, degni del comando ancor più degli strateghi stessi. 25 Per parte mia, se

avete intenzione di spingervi su questa strada, sono pronto a seguirvi; se invece mi incaricate di condurvi, non

accamperò il pretesto della mia giovane età: credo di aver forze sufficienti per stornare da me i mali».

26 Queste le sue parole. I capi, appena lo udirono, lo invitarono a guidarli, tutti tranne Apollonide, un tale che

parlava con un accento beotico. Disse che la sola via di scampo era obbedire al re, e chissà se era ancora praticabile:

chiunque affermasse il contrario faceva solo chiacchiere. E sùbito cominciò a enumerare gli ostacoli. 27 Allora

Senofonte lo interruppe: «Sei proprio un bel tipo! Vedi e non capisci, senti e non ricordi. Eppure eri qui con noi quando,

dopo la morte di Ciro, il re, pieno di boria, ha inviato i messi e ci ha intimato di consegnare le armi. 28 Non le abbiamo

cedute, anzi le abbiamo impugnate, ci siamo mossi e abbiamo posto le tende vicino al suo campo. E lui che ha fatto?

Non ha forse inviato emissari, chiesto tregua e offerto rifornimenti, finché non ha raggiunto un accordo? 29 Quando

invece gli strateghi e i locaghi, come tu ora consigli, senz'armi e fidando nella tregua, hanno intavolato discorsi coi

nemici, non sono stati colpiti, tormentati, coperti di infamia? Quegli sventurati non hanno potuto neppure cercar rifugio

nella morte - e credo che a quel punto non desiderassero altro. Son tutte cose che sai, eppure se uno di noi chiama alla

difesa, lo tacci di parlare a vanvera. E tu? Non sai far altro che consigliare ancora di obbedire al re e di recarci da lui? 30

Propongo, o soldati, di non ammettere più alle nostre assemblee quest'uomo, di degradarlo dalla carica di locago, di

metterlo ai bagagli e di usarlo come portatore. Disonora la patria e tutta la Grecia, perché, anche se greco, è un

vigliacco». 31 Intervenne allora Agasia di Stinfalo: «Ma quest'individuo non ha a che fare né con la Beozia né tanto

meno con la Grecia! Ho visto che ha entrambi i lobi degli orecchi forati, come i Lidi». Ed era vero. 32 Dunque lo

cacciarono via.

Gli altri passarono per i reparti: dove lo stratego era salvo, convocavano lo stratego; se aveva perso la vita,

parlavano con il vicecomandante; dove infine era superstite il locago, chiamavano quello. 33 Quanto si riunirono tutti,

si sedettero davanti all'accampamento. Gli strateghi e i locaghi convenuti erano un centinaio. Era quasi mezzanotte. 34

Allora Ieronimo dell'Elide, il più anziano tra i locaghi di Prosseno, cominciò a parlare: «Strateghi e locaghi, abbiamo

analizzato la situazione e deciso di riunirci e chiamarvi, per prendere un provvedimento, buono possibilmente. Ripeti

anche qui», disse, «o Senofonte, quello che hai detto a noi».

35 Prende la parola Senofonte: «Insomma, sono cose note a tutti: il re e Tissaferne hanno arrestato quanti dei

nostri sono riusciti a catturare, ma contro gli altri, non c'è dubbio, tramano insidie per massacrarli, se possono. A noi,

credo, non resta che far di tutto per non cadere nelle mani dei barbari, anzi per far cadere loro nelle nostre. 36

Sappiatelo bene: a ognuno di voi si offre una grande occasione. Tutti i soldati hanno gli occhi puntati su di voi: se vi

vedono demoralizzati, saranno tutti dei vigliacchi; se invece voi stessi vi mostrerete determinati contro il nemico e

inciterete gli altri, vi seguiranno - siatene certi - e cercheranno di imitarvi. 37 Forse è anche giusto che in qualcosa vi

distinguiate da loro. Siete strateghi, siete tassiarchi e locaghi. In tempo di pace li superate in ricchezze e onori. Ma

adesso siamo in guerra e spetta a voi dimostrarvi migliori della truppa, preoccuparvi per lei e sobbarcarvi alle fatiche, se

necessario. 38 Innanzitutto penso che renderete un grande servizio all'esercito, se vi premurerete di nominare quanto

prima strateghi e locaghi al posto di quelli deceduti. Senza capi non si può combinare nulla di buono in nessun settore,

per dirla in breve, tanto meno in campo militare. La disciplina, si sa, è fonte di salvezza, l'insubordinazione ha già

causato la rovina di molti. 39 Quando poi avrete nominato i comandanti che servono, se raccoglierete anche gli altri

soldati e li rinfrancherete, sarà - penso - proprio un gesto adatto alle circostanze. 40 Ora, forse, vi siete accorti anche

voi con quale animo siano andati a depositare le armi, con quale animo si dirigano ai posti di guardia. Se le cose stanno

così, non so a che ci possano servire, in caso di un attacco di notte o anche di giorno. 41 Ma basterà riuscire a mutare i

loro pensieri - che non abbiano più fisse nella mente solo le sciagure incombenti ma anche le gesta di valore che li

attendono - e saranno molto più risoluti. 42 Sapete che non c'è numero di soldati né forza capace di garantire le vittorie

in guerra, ma solo chi con l'aiuto degli dèi si lancia contro i nemici deciso nell'animo, nella maggior parte dei casi riesce

a travolgere gli avversari. 43 Dal canto mio, o uomini, ho considerato un fatto: chi in guerra cerca di salvar la pelle a.22

ogni costo, il più delle volte va incontro a una morte da codardo, a una morte infame; chi invece ha capito che la morte

è comune a tutti e ineluttabile per l'uomo e lotta per trovare una bella morte, vedo che in un modo o nell'altro raggiunge

la vecchiaia e, finché rimane in vita, conduce un'esistenza più felice. 44 Bisogna intendere appieno la forza di questa

verità e adesso, nell'ora più grave, dobbiamo essere valorosi e trascinare gli altri». 45 Detto ciò, tacque.

Quindi Chirisofo prese la parola: «Prima, Senofonte, ti conoscevo solo per quanto avevo sentito dire, e cioè

che eri ateniese. Adesso so di più: posso anche lodare le tue parole e il tuo comportamento. Vorrei che ce ne fossero

tanti come te: sarebbe un bene per tutti. 46 Ma ora», proseguì, «non perdiamo tempo, uomini, andate ormai e i reparti

che ne hanno necessità eleggano i comandanti. Dopo di che, ritornate al centro dell'accampamento a portare i prescelti.

Poi convocheremo il resto della truppa. Sia presente», disse, «anche Tolmide l'araldo». 47 Appena ebbe terminato il

discorso, si alzò perché si rompessero gli indugi e si approntasse il necessario. Quindi vennero eletti i capi: al posto di

Clearco, Timasione di Dardano; al posto di Socrate, Santicle l'acheo; invece di Agia, Cleanore l'arcade; al posto di

Menone, Filesio l'acheo; invece di Prosseno, Senofonte l'ateniese.

2

1 Quando era terminata l'elezione, il sole cominciava a mostrarsi e i comandanti si erano raccolti al centro

dell'accampamento. Decisero di dislocare avamposti e di convocare i soldati. Una volta che anche il resto della truppa

fu radunato, si alzò per primo Chirisofo lo spartano e parlò così: 2 «Soldati, l'ora è grave, da quando ci sono venuti a

mancare strateghi tanto valorosi, locaghi, soldati. Come se non bastasse, Arieo e i suoi, prima nostri alleati, ci hanno

traditi. 3 Tuttavia dobbiamo mostrarci uomini valorosi, come il momento richiede, non bisogna cedere, ma cercare una

vittoria gloriosa e la salvezza, se ci riusciamo. In caso contrario, andiamo almeno incontro a una bella morte; mai e poi

mai però dobbiamo cader vivi nelle mani del nemico. Ci aspetterebbero senza dubbio le sofferenze che gli dèi,

speriamo, vorranno riservare ai nostri avversari». 4 Dopo di lui si alzò Cleanore di Orcomeno e disse: «Considerate, o

uomini, lo spergiuro e l'empietà del re, considerate la malafede di Tissaferne: diceva che, essendo un vicino della

Grecia, ci teneva moltissimo a salvarci; anzi lo ha giurato, ha porto la destra. E poi? Ci ha ingannati, ha arrestato gli

strateghi, non ha avuto rispetto neppure per Zeus protettore degli ospiti, senza poi contare che era commensale di

Clearco: si è servito di tutti quei discorsi, ripeto, per ingannarli e ucciderli. 5 E Arieo, che noi volevamo portare al

trono? Ci siamo scambiati pegni di reciproca fedeltà, promettendo di non tradirci, ma lui non ha avuto né paura degli

dèi né rispetto per la memoria di Ciro, eppure tanto lo teneva in onore Ciro, quando era in vita! Ora è passato con i suoi

acerrimi nemici e cerca di nuocere a noi, gli amici di Ciro. 6 Ma ci pensino gli dèi a castigarli. Adesso dobbiamo solo

stare in guardia per non cader mai più nelle loro trappole; combattiamo con tutte le nostre forze e accettiamo il volere

divino».

7 Quindi si alza Senofonte, che indossava la sua migliore uniforme da battaglia: era convinto che, se gli dèi

concedevano vittoria, al successo si addiceva la divisa migliore; ma se si doveva morire, era giusto impugnare le armi

più belle e con esse andare incontro alla fine. Cominciò così il suo discorso: 8 «Lo spergiuro dei barbari e la loro slealtà

li ha menzionati Cleanore, ma son cose note anche a voi, penso. Se ora vogliamo per la seconda volta riconciliarci

amichevolmente con loro, è inevitabile che si cada in pieno sconforto, vista la sorte toccata agli strateghi, che con

fiducia si erano messi nelle loro mani. Se al contrario intendiamo, armi in pugno, fargliela pagare e per il futuro muover

loro guerra senza quartiere, con l'aiuto degli dèi abbiamo molte belle speranze di salvezza».

9 Mentre stava ancora parlando, uno starnutì: allora tutti i soldati, con uno slancio all'unisono, si prosternarono

ad adorare il dio. Senofonte aggiunse: «O uomini, mentre parlavamo di salvezza ci è apparso un segno di Zeus

salvatore, perciò mi sembra giusto promettere in voto al dio solenni sacrifici non appena giungeremo a un territorio

amico per ringraziarlo della salvezza e anche di offrire vittime agli altri dèi secondo i nostri mezzi. Chi è d'accordo»,

disse, «alzi la mano». La alzarono tutti. Quindi formularono il voto e intonarono il peana. Compiuto convenientemente

il rito, Senofonte riprese la parola:

10 «Stavo dicendo che abbiamo molte belle speranze di salvezza. Primo, confermiamo i giuramenti divini, su

cui i nemici hanno spergiurato violando la tregua contro la parola data. Stando così le cose, è ovvio che gli dèi siano

avversi ai nostri nemici e si schierino al nostro fianco. E gli dèi hanno la facoltà di rendere, in un attimo, debole chi è

potente e di salvare senza fatica i deboli anche nei momenti più terribili, se così decidono. 11 Intendo poi ricordarvi i

pericoli affrontati dai nostri avi, perché sappiate che avete l'obbligo morale di essere forti, e con l'aiuto degli dèi i forti si

salvano anche nelle situazioni più tremende. Quando i Persiani e i loro alleati - una schiera sterminata - marciarono

contro Atene per cancellarla dalla faccia della terra, gli Ateniesi hanno osato affrontarli e li hanno vinti. 12 Avevano

fatto voto ad Artemide di sacrificare tante capre quanti fossero i nemici uccisi, ma non poterono trovarne a sufficienza,

per cui decisero di sacrificarne cinquecento all'anno, e il sacrificio si celebra ancora ai nostri giorni. 13 E non basta:

quando Serse, in séguito, radunò un esercito sterminato e mosse contro la Grecia, i nostri avi anche in quell'occasione

hanno battuto, per terra e per mare, gli avi dei nostri avversari di oggi. Ne sono prova tangibile i trofei che avete visto,

ma la testimonianza più alta è la libertà delle città dove siete nati e cresciuti. Nessun uomo è per voi un sovrano, solo di

fronte agli dèi vi inchinate. Di gente così nobile voi siete la stirpe.

14 Non voglio certo intendere che li disonoriate; anzi, non sono passati molti giorni da quando, schierati

dinnanzi ai discendenti dei loro nemici, li avete sconfitti - e dire che erano ben più numerosi - grazie all'aiuto degli dèi.

15 Prima vi battevate per il trono di Ciro, ma adesso la posta in palio è la vostra salvezza e senza ombra di dubbio.23

dovete essere molto più forti e arditi. 16 È il momento di mostrare ancor più determinazione davanti ai nemici. Prima

non li avevate mai incontrati e vedevate il loro numero smisurato, eppure avete trovato lo stesso il coraggio di marciare

contro di loro con la fierezza dei vostri padri. Ora avete avuto la prova che, per quanti siano, non hanno la forza di

reggere ai vostri assalti. Perché dunque dovete aver ancora timore di loro?

17 Non ritenete un danno la defezione degli uomini di Arieo, prima schierati al nostro fianco. Erano ancor più

codardi degli avversari che abbiamo sconfitto. Ecco perché sono fuggiti passando agli altri e ci hanno abbandonato. Ma

chi è pronto a dar il via alla fuga, è molto meglio vederlo schierato col nemico che tra le nostre linee. 18 Se qualcuno di

voi è sfiduciato perché non abbiamo cavalieri, mentre i nemici ne hanno molti, ragionate: diecimila cavalieri non sono

altro che diecimila uomini. In battaglia non è mai morto nessuno per il morso o il calcio di un cavallo. Sono gli uomini

gli artefici degli eventi in battaglia. 19 Non abbiamo forse una base molto più stabile rispetto ai cavalieri? Loro

rimangono come sospesi sui cavalli e hanno paura non solo di noi, ma anche di cadere. Noi invece, ben saldi sul terreno,

vibriamo colpi molto più violenti se qualcuno si avvicina, con maggior precisione miriamo a chi vogliamo. Solo per un

aspetto i cavalieri sono avvantaggiati: la loro fuga è più sicura della nostra.

20 Se affrontate intrepidi le battaglie, ma vi assilla l'idea che Tissaferne non ci farà più da guida e che il re non

ci aprirà i mercati, considerate se, come guida, sia meglio Tissaferne, l'uomo che ci ha chiaramente traditi, oppure

persone da noi scelte e incaricate, che sapranno cosa li aspetta: alla prima mancanza, l'errore si ritorcerà contro le loro

vite e i loro corpi. 21 Quanto ai viveri, è meglio comprarli alle condizioni di mercato che stabilivano i barbari (misure

scarse e prezzi salati - e soldi non ne abbiamo più) oppure farne razzia, se abbiamo la meglio, usando ciascuno la misura

che gli va?

22 Poniamo che siate convinti che questi punti siano a nostro vantaggio, ma che valutiate insormontabili i

fiumi e consideriate un grave errore averli attraversati. Valutate piuttosto se non siano stati i barbari ad agire con follia

totale. Tutti i fiumi a valle non li puoi varcare, ma alla sorgente diventano transitabili, senza neppure bagnarsi le

ginocchia.

23 Se poi i fiumi non ci permetteranno il passaggio e non troveremo nessuna guida, anche in tal caso non

dovremo abbatterci. I Misi, che non potremmo certo definire più forti di noi, sappiamo che abitano molte prospere città

nelle terre del re contro la sua volontà. Sappiamo che anche i Pisidi fanno la stessa cosa. E i Licaoni? Anch'essi, non è

per noi una novità, occupate le zone fortificate in pianura, godono i frutti delle terre dei Persiani. 24 Anche noi, direi,

dobbiamo dar l'impressione non più di dirigerci in patria, ma che ci disponiamo a stanziarci nella regione. Anche ai

Misi, ne sono certo, il re darebbe molte guide, molti ostaggi come garanzia di una ritirata sicura, anzi costruirebbe una

strada, se volessero andar via in quadriga. Anche con noi, ne son sicuro, lo farebbe, tre volte felice, se vedesse che ci

disponiamo a rimanere. 25 Ma, non appena ci saremo abituati alla vita comoda e a nuotare nell'abbondanza, ad andare

con le donne e le ragazze dei Medi e dei Persiani, belle e floride come sono, ho paura che dimenticheremo la via di

casa, come i Lotofagi. 26 Mi sembra naturale e giusto cercare, prima di tutto, di ritornare in Grecia dai nostri cari e

dimostrare ai Greci che sono loro a volere la povertà: potrebbero vedere che, chi adesso [in patria] campa di stenti, se si

trasferisse qui, avrebbe modo di diventare ricco.

Insomma, uomini, tutti i beni di cui ho parlato spettano senza dubbio a chi vince. Devo piuttosto spiegarvi

quale assetto di marcia bisogna tenere per la massima sicurezza negli spostamenti e, in caso di battaglia, quale

formazione conviene assumere per garantirci la massima forza d'urto. 27 Primo», disse, «sono dell'avviso di dar fuoco

ai carri che abbiamo: così non saranno i nostri animali da tiro a vincolare la marcia, ma potremo dirigerci dove fa

comodo all'esercito. Bisogna poi bruciare anche le tende. Non fanno che darci impiccio e non ci servono né per

combattere né per procurarci vettovaglie. 28 Lasciamo anche gli altri bagagli superflui, escluso il necessario per

combattere, mangiare o bere. Dobbiamo aumentare al massimo il numero degli uomini in armi e diminuire il più

possibile i portabagagli. Se ci toccherà soccombere, tutto è perduto, sappiatelo. Se invece prevarremo, non ci resterà che

usare i nemici come portatori.

29 Mi resta da trattare un punto che giudico il più importante. Vedete che i nostri avversari non hanno avuto il

coraggio di riaprire le ostilità prima di aver catturato i nostri strateghi. Finché avevamo i comandanti e obbedivamo

loro, erano convinti che noi avessimo forza sufficiente per prevalere nel conflitto; ma dopo che hanno catturato i nostri

capi, hanno cominciato a pensare che, nell'anarchia e nella confusione, ci avrebbero distrutti. 30 Perciò bisogna che i

comandanti ora in carica siano molto più zelanti dei precedenti e che i subordinati mostrino molta più disciplina e

obbedienza che in passato. 31 E se qualche soldato non rispetta gli ordini, dovete votare una norma: chi di volta in

volta assiste all'accaduto, deve aiutare il comandante a punire il colpevole. Così i nemici rimarranno completamente

delusi: di Clearco oggi non ne vedranno uno, ma diecimila, che non permetteranno a nessuno di essere vile. 32 Su, è

venuto il momento di concludere il discorso. I nemici potrebbero essere qui a momenti. Chi è d'accordo sulle mie

proposte, le ratifichi al più presto, per renderle operative. Chi ha un'idea migliore, la dica, coraggio, anche se è un

soldato semplice: tutti abbiamo bisogno della salvezza comune».

33 Quindi Chirisofo disse: «Se qualcuno vuole aggiungere qualche parola al discorso di Senofonte, lo può fare

anche in un secondo tempo. Mi pare però il caso di mettere ai voti al più presto le proposte ora avanzate. Chi è a favore,

alzi la mano». L'alzarono tutti.

34 Si levò di nuovo Senofonte: «Uomini, ascoltate che cos'altro mi è venuto in mente. Dobbiamo dirigerci, è

chiaro, dove troveremo dei viveri. Ho sentito dire che ci sono ricchi villaggi a non più di venti stadi da qui. 35 Nessuna

meraviglia, dunque, se i nemici si dovessero mettere sui nostri passi dopo la partenza - come i cani codardi, che

inseguono chi passa e lo mordono, se riescono, ma se sono inseguiti fuggono. 36 Forse l'assetto di marcia più sicuro sta.24

nel formare un quadrato con gli opliti, per proteggere al massimo i bagagli e il grosso dell'esercito. E se già da ora

venisse stabilito chi deve guidar la testa del quadrato, chi custodire i fianchi, chi formare la retroguardia, non ci

troveremmo poi costretti a prender le decisioni al momento dell'attacco nemico, ma potremmo sùbito attestarci nelle

posizioni assegnate. 37 Se qualcuno ha un piano migliore, parli: decideremo altrimenti. Se no, Chirisofo, che è

spartano, prenda la testa. Dei fianchi si preoccupino i due strateghi più anziani. Alla retroguardia penseremo io e

Timasione, i due più giovani. Così per il momento. 38 In futuro metteremo alla prova lo schieramento e decideremo

che cosa ci sembrerà meglio caso per caso. Qualcuno, ripeto, ha un piano migliore? Lo dica». Nessuno ribatté, per cui

Senofonte riprese: «Chi è d'accordo, alzi la mano». La proposta fu approvata. 39 «Adesso però», disse, «sciolta

l'assemblea, dobbiamo mettere in pratica le decisioni assunte. Chi di voi vuole rivedere i propri congiunti, si ricordi di

essere valoroso: non c'è altra soluzione. Chi vuol salvare la pelle, cerchi di vincere: i vincitori possono uccidere, i vinti

solo morire. Chi poi vuole ricchezze, cerchi di prevalere: ai vincitori spetta di salvare i propri beni e di strappare quelli

degli avversari».

3

1 Al termine di tali discorsi, si alzarono e si allontanarono. Diedero alle fiamme i carri e le tende. Quanto agli

oggetti superflui, se servivano a qualcuno, li barattavano, gettando il resto nel fuoco. Dopo di che, pranzarono. Durante

il pranzo giunge Mitradate con una trentina di cavalieri, e fatti venire gli strateghi là dove potevano udirlo, dice: 2

«Greci, prima, come sapete, ero fedele a Ciro e adesso parteggio per voi. Sono qui perché ho addosso una gran paura.

Se vedessi che avete un piano che lasci speranze di salvezza, mi unirei a voi con tutto il mio séguito. Ditemi che cosa

avete in mente: sono un amico, benevolo e intenzionato ad aggregarsi a voi per il viaggio». 3 Gli strateghi si

consultarono e decisero di rispondere così, per bocca di Chirisofo: «Abbiamo stabilito di attraversare la regione facendo

il minor danno possibile, se ci consentono di ritornare a casa; se invece ci sbarrano la strada, combatteremo fino in

fondo, con tutte le nostre forze». 4 Rispondendo, Mitradate si sforzava di illustrare che, contro il volere del re, ogni via

verso la salvezza era impraticabile. Dalle sue parole si capì che lo avevano mandato apposta. Tant'è vero che un parente

di Tissaferne era al suo séguito, per saggiarne la fedeltà. 5 Perciò gli strateghi valutarono che la soluzione migliore,

finché si rimaneva in territorio ostile, era la guerra, senza neppure accogliere gli araldi, che si avvicinavano ai soldati e

cercavano di corromperli. E con un locago almeno, Nicarco l'arcade, riuscirono nell'intento: abbandonò il campo di

notte con una ventina d'uomini.

6 Quindi terminarono il pranzo e varcarono il fiume Zapata, proseguendo la marcia incolonnati, tenendo al

centro gli animali da soma e il grosso dell'esercito. Non avevano percorso molta strada, quando ricomparve Mitradate,

con circa duecento cavalieri e più o meno quattrocento tra arcieri e frombolieri, estremamente agili e spediti. 7 Si

avvicinò ai Greci con fare amichevole, ma non appena furono a tiro, all'improvviso i suoi, sia i cavalieri sia i fanti,

cominciarono chi a saettare, chi a scagliar proiettili, ferendone molti. La retroguardia greca si trovò a mal partito e non

poté reagire. I Cretesi coi loro archi, infatti, avevano una gittata inferiore ai Persiani e per giunta, privi com'erano di

corazze, dovevano rimaner serrati all'interno degli opliti. I lanciatori di giavellotto, dal canto loro, non avevano una

gittata sufficiente per colpire i frombolieri avversari. 8 Di conseguenza Senofonte ebbe l'idea di sferrare un attacco. Gli

opliti e i peltasti che erano con lui nella retroguardia si lanciarono all'assalto: nell'incursione non catturarono alcun

nemico. 9 Del resto i Greci non disponevano di cavalieri; e, quanto ai fanti, non potevano raggiungere i fanti nemici in

un tratto breve, dato che questi fuggivano quando ancora la distanza era notevole, e non era possibile protrarre

l'inseguimento allontanandosi dal resto dell'esercito. 10 I cavalieri barbari, pur in fuga, subissavano i nostri di colpi: si

voltavano e scagliavano dardi dai cavalli. E lo spazio che coprivano nell'avanzata, i Greci dovevano poi ripercorrerlo in

ripiegamento, ma combattendo. 11 Insomma nell'intero arco della giornata non avanzarono per più di venticinque stadi.

A sera comunque raggiunsero dei villaggi.

Qui si diffuse nuovamente un profondo sconforto. Chirisofo e gli strateghi più anziani incolparono Senofonte

di aver lanciato l'attacco rompendo la falange: aveva corso gravi rischi e non era riuscito a infliggere perdite al nemico.

12 Senofonte ascoltò le critiche e ammise che erano fondate, del resto i fatti parlavano da sé. «Eppure», disse, «non

potevo che muovere all'assalto, perché avevo visto che si metteva male, se rimanevamo fermi: non riuscivamo neppure

a rispondere ai colpi. 13 Per quanto riguarda le fasi successive, allora sì», aggiunse, «avete ragione. Non siamo riusciti

a mettere in difficoltà gli avversari e la ritirata è stata durissima. 14 Ringraziamo gli dèi che i nemici non ci abbiano

attaccati in forze, ma solo con pochi uomini: così, senza nuocerci molto, ci hanno mostrato i nostri punti deboli. 15 Ora

gli avversari ci bersagliano di frecce e proiettili da una distanza che né i Cretesi né i lanciatori di giavellotto riescono a

coprire. In caso di nostro attacco, non possiamo protrarre per lungo spazio l'inseguimento, per non allontanarci

dall'esercito; in tratti brevi, neppure se si è veloci è possibile arrivare al corpo a corpo con chi si tiene a un tiro d'arco.

16 Se dunque contiamo di tenerli a distanza, in modo che non possano procurarci fastidi durante la marcia, ci

servono al più presto frombolieri e cavalleria. Mi è giunta voce che nel nostro esercito ci sono dei Rodi, che per la

maggior parte - dicono - sanno maneggiare le fionde e riescono a lanciare a una distanza doppia rispetto alle fionde

persiane. 17 Quest'ultime, caricate con pietre della grossezza di un pugno, hanno una gittata breve. I Rodi invece sanno

impiegare anche proiettili di piombo. 18 Basterebbe conoscere chi ha una fionda e, in cambio, dargli del denaro, come

pure a chi fosse disposto a costruirne altre; oppure escogitare una qualche esenzione per chi volesse servire tra le nostre

file come fromboliere: così forse potremmo trovare gente in grado di aiutarci. 19 E vedo dei cavalli nell'esercito, alcuni.25

miei, altri rimasti dalla scuderia di Clearco e molti ancora, presi al nemico e adibiti per il trasporto dei bagagli. Se

operassimo una scelta, caricassimo i bagagli su altri animali e li equipaggiassimo per poter tenere in sella dei cavalieri,

non escludo che possano, bene o male, rendere dura la vita al nemico in fuga». Anche questa proposta venne approvata.

20 Nella notte allestirono un corpo di circa duecento frombolieri, il giorno successivo furono esaminati e scelti una

cinquantina di cavalli e cavalieri. Vennero dotati di giubbe di pelle e di corazze. Ipparco fu nominato l'ateniese Licio,

figlio di Polistrato.

4

1 Quel giorno rimasero fermi. Il giorno dopo si alzarono prima del solito e ripresero la marcia: dovevano infatti

superare un greto e temevano di subire un attacco nemico durante il passaggio. 2 Quando ormai l'hanno oltrepassato,

ricompare Mitradate con mille cavalieri e all'incirca quattromila tra arcieri e frombolieri: tanti ne aveva chiesti a

Tissaferne - e ne prese poi il comando - dopo aver promesso che, se glieli avesse concessi, avrebbe piegato i Greci ai

suoi piedi: li guardava con disprezzo perché nello scontro precedente, pur disponendo di pochi effettivi, non aveva

riportato nessun danno, mentre era convinto di averne procurati molti agli avversari. 3 I Greci avevano già percorso

circa otto stadi dal momento in cui avevano lasciato alle proprie spalle il greto, quando anche Mitradate lo superò

insieme al suo contingente. Era stato dato l'ordine di attacco ai peltasti e agli opliti designati ed era stata data

disposizione ai cavalieri di lanciare la carica senza la minima esitazione, perché forze adeguate li avrebbero coperti alle

spalle. 4 Quando Mitradate era vicino e ormai raggiungibile dai proiettili e dalle frecce, squillò la tromba, segnale per i

Greci: sùbito chi aveva ricevuto l'ordine si precipitò in avanti e i cavalieri caricarono. I nemici non ressero e si volsero

in fuga verso il greto. 5 Nell'incursione i barbari persero molti fanti; quanto ai cavalieri, sul greto ne furono catturati

vivi circa diciotto. I soldati greci, di loro iniziativa, mutilarono in modo orrendo i cadaveri nella speranza che tale vista

incutesse al nemico grande paura.

6 Gli avversari, in rotta, si allontanarono. I Greci invece proseguirono indisturbati la marcia per il resto del

giorno fino al fiume Tigri. 7 Qui sorgeva, abbandonata, una grande città di nome Larissa. Anticamente la abitavano i

Medi. Lo spessore delle mura era venticinque piedi, l'altezza cento, il perimetro due parasanghe. Era stata costruita con

mattoni d'argilla. La base delle mura era di pietra: altezza venti piedi. 8 Il re dei Persiani, all'epoca in cui questi ultimi

cercavano di strappare ai Medi la supremazia, aveva stretto d'assedio la città, ma non c'era stato verso di espugnarla. Poi

una nube oscurò il sole e lo fece sparire finché gli abitanti non abbandonarono la città: così cadde. 9 Nei pressi sorge

una piramide di pietra, larghezza un pletro, altezza due. Su di essa molti barbari venuti dai villaggi vicini avevano

cercato scampo.

10 Quindi percorsero una tappa di sei parasanghe fino a una muraglia abbandonata, enorme, nelle vicinanze di

una città di nome Mespila, anticamente abitata dai Medi. La base, larga cinquanta piedi e alta cinquanta, era di pietra

levigata con inglobate conchiglie fossili. 11 Sopra avevano alzato un muro di mattoni, cinquanta piedi di larghezza per

cento di altezza, con un perimetro di sei parasanghe. Qui andò a rifugiarsi - si racconta - Media, moglie del re, al tempo

in cui i Medi persero la supremazia ad opera dei Persiani. 12 Il re persiano assediò la città, ma non riuscì a prenderla né

con un lungo assedio né con furiosi assalti. Poi Zeus con il tuono atterrì gli abitanti e così la città cadde.

13 Da qui percorsero quattro parasanghe in una tappa, nel corso della quale apparve Tissaferne. Aveva con sé i

suoi cavalieri, le forze di Oronta - il marito della figlia del re - nonché i barbari che avevano seguito la spedizione di

Ciro verso l'interno e le truppe che il fratello del re portava in appoggio al sovrano; inoltre guidava anche un

contingente fornitogli dal re, per cui l'esercito appariva davvero sterminato. 14 Quando fu vicino, schierò parte delle

truppe nelle retrovie, parte ne condusse lungo i fianchi, ma non osò un attacco né volle rischiare. Si limitò a trasmettere

l'ordine di scagliare proiettili e dardi. 15 Quando però i Rodi, disposti su file, cominciarono a scagliare a loro volta

proiettili e gli arcieri [sciti] dardi, senza fallire mai il bersaglio - non era facile mancare il colpo, neanche a farlo apposta

- allora Tissaferne in tutta fretta si portò fuori tiro, seguito da tutte le sue formazioni.

16 Per il resto della giornata i Greci continuarono a marciare, gli altri a seguirli. Ma ormai i barbari, con i loro

lanci a lunga distanza, non arrecavano più danni: i Rodi, con le loro fionde, disponevano di una gittata maggiore rispetto

agli arcieri persiani. 17 Gli archi persiani sono grandi, per cui le frecce raccolte risultavano preziose per i Cretesi, che

continuavano a usare i dardi nemici e si esercitavano a scagliarli lontano, mirando in alto. Nei villaggi vennero trovate

anche molte corde di nervo e del piombo, preziosi per i lanci. 18 Quel giorno, quando i Greci si erano accampati nei

villaggi che avevano trovato, i barbari si allontanarono, perché avevano la peggio nello scambio di colpi a distanza.

L'indomani i Greci rimasero sul posto in cerca di vettovaglie: c'era molto cibo nei villaggi. Il giorno dopo si misero in

marcia attraverso la pianura, con alle spalle Tissaferne, che insisteva con i lanci da lontano.

19 Nella circostanza i Greci ebbero modo di capire che il quadrato è uno schieramento deleterio, quando il

nemico incalza. Se infatti i fianchi del quadrato convergono, vuoi per una strozzatura della via o per un impedimento

costituito da una catena montuosa o per un ponte, gli opliti sono costretti a serrare le file e a marciare a fatica, ora

pressati, ora in disordine. Insomma, è difficile utilizzare uomini che non tengano il posto assegnato. 20 Nel caso in cui

le ali debbano dispiegarsi, chi prima era serrato tra le file finisce inevitabilmente per allargare le maglie dello

schieramento, il centro rimane vuoto e in tale situazione i soldati si perdono d'animo, quando i nemici tengono dietro. E

ogni volta che ci sia bisogno di attraversare un ponte o un altro passaggio obbligato, tutti corrono, vogliono passare per

primi: così offrono ai nemici una buona occasione per attaccare. 21 Quando gli strateghi capirono come stavano le.26

cose, formarono sei lochi di cento uomini e assegnarono locaghi, pentecosteri ed enomotarchi. Questi locaghi quando,

durante la marcia, facevano convergere le ali, per non intralciarle restavano in coda e allora sfilavano all'esterno delle

ali stesse. 22 Ogni volta che invece i fianchi del quadrato si allargavano, riempivano il centro, suddivisi per lochi se

l'intervallo era piuttosto breve, per pentecosti se era un po' più grande, per enomotie se assumeva proporzioni notevoli:

così il centro era di volta in volta al completo. 23 C'era necessità di superare un passaggio obbligato o un ponte? Non

subivano sbandamenti e i locaghi procedevano a turno. C'era bisogno di formare la falange? Scorrevano lungo i fianchi

e prendevano la testa. Con tale assetto di marcia percorsero quattro tappe.

24 Il quinto giorno, mentre erano in cammino, avvistarono una reggia e, nei pressi, molti villaggi. La strada che

lì conduceva passava attraverso alti colli, digradanti dal monte ai cui piedi sorgeva il villaggio. Nel vedere i colli i Greci

gioirono, naturalmente, inseguiti com'erano dalla cavalleria nemica. 25 Proseguendo la marcia, salirono dalla pianura

sul primo colle e poi discesero, per salire sul secondo. Qui sopraggiunsero i barbari, che dall'alto presero a lanciare

verso il pendio un nugolo di colpi, proiettili, frecce, incitando a colpi di sferza i tiratori. 26 Ferirono molti ed ebbero la

meglio sui gimneti greci, costringendoli a rinserrarsi all'interno degli opliti: per tutta la giornata anche i frombolieri e gli

arcieri risultarono del tutto inservibili, rimanendo intricati nel grosso dell'esercito. 27 Ma quando i Greci, nella morsa

nemica, tentarono un contrattacco, giunsero sulla cima a stento, gravati com'erano di armi, mentre i nemici balzarono

giù rapidamente. 28 E ancora, quando ripiegavano verso il resto dell'esercito, andavano incontro allo stesso

inconveniente. L'identica manovra si ripeté sul secondo colle, per cui a partire dal terzo decisero di non muovere i

soldati prima che dal fianco destro del quadrato non avessero distaccato un gruppo di peltasti in direzione del monte. 29

Quando i peltasti si trovarono al di sopra dei nemici che incalzavano, questi ultimi non assalirono più i Greci in discesa,

per timore di rimaner tagliati fuori e accerchiati. 30 Procedettero così per il resto della giornata, gli uni lungo la strada

sui colli, gli altri parallelamente sul monte, finché giunsero ai villaggi. Predisposero otto medici, tanti erano i feriti.

31 Vi rimasero tre giorni sia per curare i feriti sia perché c'erano vettovaglie in abbondanza: farina, vino, molto

orzo ammucchiato per i cavalli, tutti viveri che erano stati ammassati lì per il satrapo della regione. Il quarto giorno

scendono in pianura. 32 Ma quando Tissaferne con le sue truppe li raggiunse, la necessità fu maestra: i Greci si

attendarono nel primo villaggio che scorsero e non accettarono più di combattere in marcia. Del resto c'erano molti

uomini che non potevano prender parte a uno scontro: chi era ferito, chi trasportava in barella i feriti e chi, infine,

teneva le armi dei barellieri. 33 Una volta piantate le tende, i barbari ripresero i tentativi di lancio a lunga distanza

avvicinandosi progressivamente al villaggio, ma a quel punto i Greci avevano un netto vantaggio: difendersi con sortite

da un villaggio non aveva niente a che vedere col tener testa agli assalti nemici mentre si era in marcia.

34 Era ormai sera, ossia il momento in cui gli avversari dovevano allontanarsi: i barbari non si accampavano

mai a meno di sessanta stadi dall'esercito greco, per timore di un'incursione notturna. 35 Di notte l'esercito persiano è

inefficiente. Legano infatti a dei ceppi i cavalli, ma quasi sempre legano loro anche le zampe, in modo da evitare che

fuggano, una volta liberati; in caso di allarme, il soldato persiano deve sellare il cavallo, mettergli il morso, vestire la

corazza e salire in groppa, tutte operazioni complicate, di notte e in mezzo alla confusione. Ecco il motivo per cui

mettevano le tende a grande distanza dai Greci.

36 Non appena i Greci capirono che gli avversari si apprestavano al rientro e che l'ordine era già stato

trasmesso, l'araldo gridò - e anche i nemici lo sentirono - di preparare i bagagli. Allora, per un certo lasso di tempo, i

barbari sospesero la partenza, ma, quando si fece tardi, s'incamminarono. Giudicavano pericoloso mettersi in cammino

e rientrare al campo di notte. 37 I Greci, quando videro con sicurezza che gli avversari ripiegavano, si misero a loro

volta in marcia, aggiogarono le bestie e percorsero circa sessanta stadi. La distanza tra i due schieramenti era così

grande, che i nemici non furono avvistati né il secondo né il terzo giorno. Solo il quarto i barbari, che si erano spinti in

avanti nel corso della notte, presero il controllo di una altura sulla destra, lungo la strada che i Greci dovevano

percorrere. Si trattava di una punta del monte, dai cui piedi si poteva scendere in pianura.

38 Chirisofo, quando vede la punta già occupata, chiama Senofonte dalla retroguardia e lo invita a prendere

con sé i peltasti e a condurli in testa. 39 Ma Senofonte non guidò i peltasti: aveva visto comparire Tissaferne e il suo

esercito al completo. Spronò il cavallo, si spinse in avanti da solo e chiese a Chirisofo: «Che c'è?». L'altro di rimando:

«Lo puoi vedere tu stesso. Ci hanno preceduti, il colle che sovrasta la discesa è nelle loro mani. L'unico modo per

passare è di spazzarli via. Piuttosto, perché non hai portato qui i peltasti?». 40 Senofonte risponde che non gli era

sembrato il caso di lasciar sguarnita la retroguardia, perché avevano avvistato il nemico. «Comunque è il momento»,

proseguì Chirisofo, «di stabilire un piano per sloggiare quella gente dal colle».

41 Allora Senofonte osserva la cima del monte sovrastante il suo esercito e la via che da lì portava al colle in

mano nemica. Dice: «La soluzione migliore, Chirisofo, è di guadagnare al più presto la vetta; se la prendiamo, i barbari

appostati al di sopra della via non potranno tenere la posizione. Se vuoi, rimani pure con l'esercito, sono pronto io a

muovermi; se preferisci andare tu, va' pure, aspetto io qua». 42 «Lascio a te la scelta», rispose Chirisofo. Senofonte

disse che era più giovane e perciò sceglieva di andare. Lo prega di assegnargli però una squadra composta da uomini

della testa: era cosa troppo lunga prelevare un gruppo dalle retrovie. 43 Chirisofo gli concede i peltasti della testa e li

rimpiazza con quelli schierati al centro del quadrato. Diede ordine di seguire Senofonte anche ai trecento soldati scelti

che aveva con sé sulla testa del quadrato.

44 Da qui mossero con la massima velocità. Gli avversari sul colle intesero che la manovra mirava a

raggiungere la cima e sùbito si misero anch'essi in movimento, a gara, verso la sommità del monte. 45 Allora alte grida

si levarono dall'esercito greco per incitare i loro, ma anche dalle truppe di Tissaferne salivano urla di incoraggiamento.

46 Senofonte andava su e giù a cavallo, incitando i suoi: «Uomini, dovete rendervi conto che ora gareggiate per la.27

Grecia, per i figli e le mogli: ancora un po' di sofferenza e in futuro marceremo senza dover più combattere». 47 Ma

Soterida di Sicione ribatté: «Non siamo mica alla pari, Senofonte. Tu ti sposti a cavallo, io sono a pezzi, a furia di

trascinare lo scudo». 48 A tali parole Senofonte balzò giù, lo trasse fuori dalle file, gli strappò lo scudo di mano e prese

a marciare più velocemente che poteva, ma aveva ancora addosso la corazza da cavaliere. A chi era in testa ordinava di

proseguire la marcia, a chi era in coda di superarlo, visto che si trascinava a stento. 49 Allora gli altri soldati coprono

Soterida di percosse, pietre, insulti, finché non lo costringono a riprendere lo scudo e la marcia. Senofonte risalì e

avanzò a cavallo finché la strada lo consentì; quando il terreno divenne troppo accidentato, smontò e procedette

velocemente a piedi. Arrivarono in vetta prima dei nemici.

5

1 Allora i barbari volsero le spalle e fuggirono, ciascuno dove poté. I Greci invece tennero il controllo della

cima. Tissaferne, Arieo e i loro uomini presero un'altra strada e si allontanarono. I soldati di Chirisofo scesero nella

piana e si accamparono in un villaggio pieno di beni d'ogni sorta. Nella pianura lungo il fiume Tigri c'erano anche altri

villaggi con abbondanti ricchezze. 2 Quando era ormai sera, all'improvviso nella piana comparvero i nemici e

massacrarono alcuni Greci che si erano sparpagliati per far razzia: in effetti, era stato catturato molto bestiame al

pascolo mentre attraversava il guado del fiume. 3 Allora Tissaferne e i suoi cominciarono a dar fuoco ai villaggi.

Alcuni Greci piombarono nella disperazione, perché si rendevano conto che non avrebbero più avuto modo di trovare

vettovaglie, se gli avversari appiccavano incendi. 4 Chirisofo e i suoi rientrarono dalle azioni di soccorso; Senofonte,

sceso dalle alture, passò a cavallo lungo le file e, quando incontrò i soldati [greci] che erano corsi in aiuto degli altri,

esclamò: 5 «Vedete, o Greci, che i nemici lasciano il paese, ormai nostro? Al momento di stipulare la tregua avevano

preteso una clausola, che non incendiassimo le terre del re: adesso sono proprio loro a dar fuoco, come se fosse

territorio nemico. Ma se in un posto o nell'altro hanno messo dei viveri da parte, vedranno anche noi puntare in quella

direzione. 6 Su, Chirisofo», proseguì, «mi sembra il caso di difendere il paese da chi semina incendi, come se fosse

terra nostra». Chirisofo ribatté: «No, non sono d'accordo. Anzi, diamole fuoco anche noi: smetteranno più presto».

7 Rientrati alle tende gli strateghi e i locaghi si riunirono mentre gli altri si presero cura delle vettovaglie.

Grandi erano le perplessità. Su un lato si levavano monti altissimi, sull'altro scorreva un fiume così profondo, che non

lasciava neppure spuntare la cima delle lance, quando si scandagliava il fondo. 8 Tra l'incertezza dei partecipanti

all'assemblea, si fece avanti un Rodio e disse: «Sono pronto, uomini, a trasbordarvi in gruppi di quattromila opliti, se mi

darete tutto l'occorrente e un talento come compenso». 9 Gli chiesero allora che cosa gli occorresse: «Duemila otri»,

rispose. «Vedo un gran numero di pecore, capre, buoi, asini. Se li scuoiamo e ne gonfiamo le pelli, vi garantiranno una

facile traversata. 10 Mi serviranno anche le cinghie che usate per legare il bestiame: con esse unirò gli otri tra loro,

ormeggiandone ciascuno con una pietra che lascerò cadere nell'acqua a mo' di àncora. Poi porterò la fila sull'altra

sponda legandola su entrambe le rive, getterò fascine sopra gli otri e vi aggiungerò anche del terriccio. 11 Non andrete

a fondo, ve ne accorgerete sùbito: ogni otre potrà reggere due uomini. Le fascine e il terriccio, poi, serviranno a non

scivolare». 12 Agli strateghi, che avevano udito le sue parole, la trovata parve ingegnosa in sé, ma irrealizzabile dal

punto di vista pratico. Sulla sponda opposta stazionavano molti cavalieri, pronti a ostacolare il guado: sarebbero sùbito

intervenuti, impedendo già ai primi l'operazione.

13 Allora il giorno successivo ritornano indietro [o verso Babilonia] in direzione dei villaggi che erano stati

risparmiati dalle fiamme: durante lo spostamento incendiavano i paesi da cui si allontanavano. I nemici non li

incalzavano, limitandosi a osservarli, quasi che si domandassero increduli dove mai si stessero dirigendo i Greci e che

cosa avessero in mente. 14 Insomma, mentre i soldati erano in cerca di viveri, gli strateghi si riunirono nuovamente e,

radunati i prigionieri, li interrogarono sulle caratteristiche di tutto il territorio circostante, zona per zona. 15 I prigionieri

risposero che, verso mezzogiorno, si stendeva la regione di Babilonia e della Media, da cui venivano; la strada verso

aurora portava a Susa ed Ecbatana, dove si diceva che il re passasse l'estate; se si varcava il fiume, verso tramonto, si

andava in direzione della Lidia e della Ionia; la via che passava per i monti, rivolta verso l'Orsa, portava nelle terre dei

Carduchi. 16 Questi ultimi - sostenevano - abitavano sui monti, gente bellicosa, che non riconosceva l'autorità del re.

Anzi, in passato il sovrano aveva inviato contro di loro una spedizione di centoventimila uomini: nessuno aveva fatto

ritorno, tanto era impervio il territorio. Quando invece avevano stipulato una tregua col satrapo della regione, si erano

sviluppati i contatti reciproci fra i due popoli. 17 Apprese tali notizie, gli strateghi tennero da parte i prigionieri che

asserivano di conoscere questa o quella via, ma non lasciarono trapelar niente sulle loro intenzioni circa la direzione da

tenere. Giudicarono comunque inevitabile puntare, attraverso le montagne, verso le terre dei Carduchi: una volta

superate, sarebbero giunti - a detta dei prigionieri - in Armenia, la regione governata da Oronta, grande e prospera. Da

qui, sostenevano, era facile prendere qualsiasi direzione si volesse. 18 Quindi celebrarono un sacrificio, per partire

quando paresse il momento più opportuno: era nato infatti il timore che nel valicare i monti gli avversari li prevenissero.

Dopo cena diramarono l'ordine che tutti preparassero i bagagli e si riposassero, pronti a incolonnarsi al segnale.

LIBRO IV.28

1

1 [Quanto accadde durante la marcia verso l'interno fino al momento della battaglia, le successive vicende nel

corso della tregua stretta tra il re e i Greci al séguito di Ciro, tutti gli atti di ostilità cui il re e Tissaferne, violando gli

accordi, diedero vita contro i Greci che erano costantemente seguiti dall'esercito persiano, si trova tutto esposto nel

racconto precedente. 2 Dopo che i Greci giunsero in un punto in cui era assolutamente impossibile guadare il Tigri per

via della sua profondità e larghezza e non si trovava un passaggio, tanto più che i monti dei Carduchi, a picco,

sovrastavano il fiume, gli strateghi decisero di aprirsi il passo tra le montagne. 3 Avevano infatti saputo dai prigionieri

che, varcati i monti dei Carduchi, sarebbero entrati in Armenia, dove, se lo volevano, avrebbero potuto attraversare il

fiume Tigri alle sorgenti oppure, in caso contrario, aggirarlo. E si diceva che le fonti dell'Eufrate non fossero distanti dal

Tigri, come in effetti è. 4 Penetrano nelle terre dei Carduchi nel modo seguente: cercano sia di passare inosservati, sia

di prevenire il nemico, prima che riuscisse a prendere il controllo delle alture.]

5 Si era intorno all'ultimo turno di guardia, la notte era quasi trascorsa e rimaneva giusto il tempo per

attraversare la pianura nelle tenebre, quand'ecco che tra le file greche passa l'ordine di alzarsi in piedi e mettersi in

marcia: arrivano al monte allo spuntar del giorno. 6 Nella circostanza Chirisofo guidò l'esercito, alla testa delle sue

truppe e di tutti i gimneti. Chiudeva la colonna Senofonte con gli opliti della retroguardia, senza nessun gimneta, perché

non sembrava che ci fossero pericoli in vista, a meno di un attacco alle spalle durante la salita. 7 Chirisofo raggiunse la

cima senza aver avvistato alcun nemico. Quindi faceva da guida seguito man mano dai gruppi che valicavano il monte

puntando verso i villaggi delle valli e delle gole, lungo le pendici montane. 8 Allora i Carduchi, con mogli e figli,

abbandonarono le loro case e si rifugiarono sulle montagne. C'era a disposizione una gran quantità di viveri, nelle case

si trovava ogni tipo di utensili in rame, ma i Greci non ne portarono via nemmeno uno, come pure non diedero la caccia

ai fuggiaschi, ma risparmiarono oggetti e persone, nell'eventualità che i Carduchi si disponessero a concedere via libera

come in un paese amico, tanto più che avevano un nemico comune, il re. 9 Per quanto riguardava i viveri però, chi ne

trovava li prendeva: ma era per causa di forza maggiore. I Carduchi, comunque, non diedero ascolto agli appelli e non

manifestarono alcun segno d'amicizia. 10 Le ultime schiere dei Greci scendevano dalle alture verso i villaggi, ormai tra

le tenebre - a causa della via stretta, la salita e la discesa avevano richiesto una giornata intera di marcia -. Solo allora un

gruppo di Carduchi, riunitosi, attaccò la retroguardia greca e con pietre e dardi riuscì a uccidere alcuni dei nostri e a

ferirne altri. Erano pochi: l'esercito greco era piombato inatteso su di loro. 11 A dire il vero, se nell'occasione si fossero

radunati in numero più consistente, il grosso dell'esercito greco avrebbe corso il serio pericolo di un massacro. Per

quella notte alloggiarono così nei villaggi. I Carduchi accesero molti fuochi tutt'attorno, sui monti, tenendosi in

reciproco contatto visivo.

12 Sul far del giorno gli strateghi e i locaghi greci si riunirono e decisero di proseguire la marcia con il minimo

indispensabile di bestie da soma, le più robuste, abbandonando le altre. Quanti poi, catturati da poco, erano diventati

schiavi, dovevano essere lasciati liberi. 13 La presenza di una massa di capi di bestiame e schiavi rallentava la marcia

e, tra l'altro, molti erano i soldati che, adibiti alla sorveglianza, non potevano prender parte agli scontri. Inoltre

bisognava procurarsi il doppio di viveri e trasportarli, tanti erano gli uomini. Comunicarono all'esercito la decisione

tramite gli araldi. 14 Poi, fatta colazione, ripresero il cammino. Gli strateghi si appostarono in una strettoia della strada:

se scovavano qualcuno che non si era sbarazzato di tutti gli oggetti prescritti, li requisivano. Tutti avevano rispettato

l'ordine, tranne chi cercava di tener nascosto o un fanciullo di cui si era invaghito o una donna di particolare avvenenza.

Per quel giorno proseguirono così, a momenti combattendo, a momenti anche riprendendo fiato.

15 L'indomani si abbatté una violenta bufera, eppure bisognava andare, a ogni costo: i viveri non bastavano

più. Chirisofo era in testa, Senofonte in retroguardia. 16 I nemici attaccarono con veemenza in una zona impervia e si

fecero sotto con dardi e proiettili, tanto che i Greci, costretti a contrattaccare e poi a ritirarsi, dovettero rallentare il

passo. Più di una volta Senofonte mandò all'avanguardia l'ordine di fermarsi, quando il nemico premeva con impeto. 17

Di solito, quando riceveva il messaggio di Senofonte, Chirisofo si fermava, ma non quella volta: anzi, accelerò il passo

e trasmise l'ordine di tenergli dietro. Era successo qualcosa, chiaramente, ma non c'era il tempo di raggiungere la testa

della colonna per verificare quale fosse la causa di tanta fretta. Così la marcia della retroguardia assunse i toni della

fuga. 18 Nella circostanza perse la vita un valoroso, lo spartano Leonimo, colpito da una freccia che gli aveva

trapassato scudo e corazza, penetrandogli nel costato. Con lui morì anche Basia l'arcade, con il capo trafitto da un dardo.

19 Quando giunsero al punto in cui si doveva far tappa, senza frapporre un attimo d'indugio Senofonte

raggiunse Chirisofo e lo accusò: non li aveva aspettati, li aveva costretti a combattere fuggendo. «E adesso due nobili

soldati sono morti, senza che potessimo né raccogliere i loro corpi né seppellirli». 20 Chirisofo risponde: «Alza gli

occhi verso i monti, guarda come sono impervi. C'è una sola strada - la vedi - in forte pendio. Puoi notare quanti nemici

la presidino: ne hanno preso il controllo e sorvegliano lo sbocco. 21 Ecco perché correvo e non ti ho aspettato: speravo

di precederli, di arrivare prima che s'impadronissero del valico. Le nostre guide sostengono che non c'è altra strada». 22

Senofonte replica: «Ma io ho due prigionieri. Siccome i nemici ci procuravano dei fastidi, abbiamo teso loro

un'imboscata, che ci ha permesso anche di tirare il fiato: alcuni li abbiamo ammazzati, ma abbiamo cercato di catturarne

altri vivi, proprio per avere delle guide che conoscessero bene la regione».

23 E sùbito vennero condotti i due prigionieri: li interrogarono separatamente, chiedendo se conoscessero una

via diversa da quella che si vedeva. Uno dei due continuava a dire di no, nonostante le mille minacce. Dal momento che

non gli si cavava niente di bocca, venne sgozzato sotto gli occhi dell'altro. 24 Quest'ultimo spiegò che, se il compagno

si era ostinato a dire di non saper nulla, era per un motivo ben preciso: si dava il caso che sua figlia fosse andata in.29

moglie a uno della zona. E proseguiva sostenendo che lui stesso li avrebbe guidati per un sentiero che anche le bestie da

soma potevano percorrere. 25 Quando gli domandarono se c'erano punti che ostacolavano il cammino, rispose che

l'unico era la vetta: se non ne avessero preso il controllo per primi, il passaggio sarebbe diventato impossibile.

26 Allora si decise di convocare i locaghi sia dei peltasti sia degli opliti, per illustrare loro la situazione e

chiedere se c'era qualcuno pronto a dimostrarsi valoroso, a offrirsi come volontario per l'impresa. 27 Tra gli opliti si

fanno avanti Aristonimo di Metidrio [arcade] e Agasia di Stinfalo [arcade], mentre Callimaco di Parrasia [arcade lui

pure] scende in lizza con i due, dichiarandosi disposto a partire alla testa dei volontari di tutto l'esercito. «So», disse,

«che molti giovani mi seguiranno, se sarò io alla guida». 28 Quindi domandano se anche qualche tassiarco dei gimneti

avesse intenzione di unirsi a loro. Si fa avanti Aristea di Chio, che in diversi casi si era coperto di gloria in missioni

analoghe.

2

1 Era pomeriggio avanzato. Ai volontari i capi ordinarono di mangiare e di mettersi in cammino. Dopo aver

consegnato loro la guida in catene, si mettono d'accordo: se prendevano la cima, dovevano tenere la zona sotto

sorveglianza per la notte e, all'alba, dare il segnale con la tromba: poi si sarebbero lanciati dall'alto contro i nemici che

controllavano il passo, mentre il resto dell'esercito avrebbe portato loro soccorso, salendo con la massima rapidità. 2

Presi gli accordi, si misero in marcia, in tutto circa duemila uomini. Diluviava. Senofonte alla testa della retroguardia si

diresse verso il passo, in modo che il nemico rivolgesse l'attenzione su questa strada e non notasse la manovra di

accerchiamento. 3 Quando i Greci giunsero a un luogo scosceso che la retroguardia doveva superare per procedere

nella salita, i barbari cominciarono a rotolare giù massi, grandi o piccoli che fossero, ma in quantità tale che avrebbe

riempito, ogni volta, un carro. I macigni spinti verso il basso rovinavano contro le rocce, provocando una gragnuola di

sassi, che parevano scagliati da fionde: non c'era la benché minima possibilità di avvicinarsi all'imboccatura della

strada. 4 Alcuni locaghi, visto che di lì non si poteva passare, cercarono un'altra via. Protrassero i tentativi fino al calar

delle tenebre, poi, quando pensarono di potersi allontanare inosservati, rientrarono al campo per la cena: alcuni di loro,

ossia i soldati della retroguardia, non avevano nemmeno consumato il pranzo. Comunque i nemici per tutta la notte non

smisero un attimo di rovesciar giù pietre: prova ne era il fragore.

5 Il gruppo che ha con sé la guida, aggira le truppe nemiche e piomba sulle sentinelle sedute attorno al fuoco:

ne uccisero alcune, ne costrinsero alla fuga altre e lì si installarono i Greci, convinti che la sommità fosse sotto il loro

controllo. 6 Invece non la controllavano. Sopra di loro si elevava un poggio, sul quale correva un sentiero, stretto, che

restava in mano alle sentinelle nemiche. E da qui partiva una via che conduceva alle postazioni avversarie lungo la

strada aperta. 7 Trascorsero lì la notte. Quando spuntò il giorno, in silenzio e in formazione da battaglia mossero contro

gli avversari: c'era nebbia, per cui i nemici non si accorsero del loro arrivo. Quando i due schieramenti furono l'uno in

vista dell'altro, la tromba diede il segnale e i Greci, levando il grido di guerra, puntarono contro gli avversari, che non

ressero all'assalto, ma abbandonarono la strada e fuggirono subendo poche perdite, perché erano armati alla leggera. 8

Chirisofo e i suoi, non appena udirono il suono della tromba, risalirono sùbito per la strada aperta. Gli altri strateghi

seguirono sentieri mai battuti, ciascuno imboccando la prima via che capitava. S'inerpicavano come potevano, tirandosi

su l'un l'altro con l'aiuto delle lance. 9 Furono i primi a ricongiungersi con le truppe che avevano occupato la

postazione.

Senofonte con metà della retroguardia ripercorre la strada seguita dal gruppo con la guida, infatti era la via più

facilmente percorribile dalle bestie da soma. Schierò l'altra metà dietro la colonna degli animali. 10 Durante la marcia

càpitano sotto un colle sovrastante la via, che era nelle mani dei nemici. Non c'erano alternative: o annientarli o rimaner

tagliati fuori dal resto dell'esercito greco. Avrebbero seguito le orme degli altri, se non fosse stato per le bestie da soma,

che non potevano passare da nessun'altra strada, se non di lì. 11 Allora si esortano a vicenda e, con i lochi schierati in

colonne, si lanciano verso la cima del colle, ma non l'accerchiano totalmente, per lasciare al nemico uno scampo, se

voleva fuggire. 12 Finché i Greci procedettero in salita, ciascuno scegliendo il percorso che il terreno consentiva, i

barbari li coprirono con un nugolo di frecce e sassi, ma poi non aspettarono che i nostri si facessero sotto, anzi

evacuarono la zona e si diedero alla fuga. I Greci, quando avevano già superato il primo colle, ne videro un altro,

presidiato dal nemico: decisero un nuovo attacco. 13 Senofonte valutò che, se avessero lasciato sguarnito il colle già

nelle loro mani, i nemici lo avrebbero preso per la seconda volta per poi assalire la colonna degli animali che transitava

lì sotto - si snodavano in fila lunghissima, perché la strada era stretta - perciò lasciò sul primo colle i locaghi Cefisodoro

figlio di Cefisofonte ateniese, Arcagora figlio di Anfidemo ateniese e Arcagora esule argivo. Dal canto suo, con gli altri

mosse verso il secondo colle. Sfruttando la stessa tattica, lo presero.

14 Rimaneva ancora un terzo poggio, molto più scosceso: si trattava proprio del rialzo sovrastante il posto di

guardia di cui i volontari greci si erano impadroniti di notte, quando i nemici erano attorno al fuoco. 15 Non appena i

Greci sono a ridosso, i barbari abbandonano il poggio senza colpo ferire, tra lo stupore di tutti. C'era il sospetto che

avessero sgombrato il campo per timore di essere accerchiati e di rimanere indietro assediati. I nemici invece, scrutando

dall'alto, avevano notato l'arrivo della retroguardia ed erano partiti in massa all'attacco. 16 Senofonte con i più giovani

raggiunse la cima e ordinò agli altri di rallentare l'andatura, per consentire il ricongiungimento delle colonne più

arretrate. Trasmise anche l'ordine di procedere lungo la via finché non fossero giunti alla spianata, dove potevano

deporre le armi e sostare..30

17 A quel punto sopraggiunge Arcagora l'esule argivo e dice che erano stati scalzati dal colle e che avevano

perso la vita Cefisodoro, Anficrate e chi non era stato lesto a riunirsi alla nostra retroguardia balzando giù dalla rupe.

18 Forti del successo, i barbari si attestarono su un altro colle, dirimpetto al poggio. Senofonte, mediante un interprete,

entrò con loro in trattative per concludere una tregua e chiese la restituzione dei cadaveri. 19 I nemici dissero che li

avrebbero consegnati, a patto che i Greci non dessero fuoco alle case. Senofonte accettò le condizioni. Il patteggiamento

si svolse proprio in concomitanza con l'appressarsi del resto dell'esercito; intanto confluirono lì tutti i nemici che erano

in zona. 20 Quando i Greci cominciarono la discesa dal poggio verso i compagni, nel punto in cui questi ultimi avevano

deposto le armi, i nemici li aggredirono in massa, strepitando: non appena raggiunsero la vetta del poggio da cui

Senofonte era partito, iniziarono a precipitar giù massi. Un soldato si ruppe una gamba, lo scudiero di Senofonte se la

svignò portando con sé lo scudo. 21 Un oplita, Euriloco di Lusi [arcade], corse in aiuto di Senofonte e parò lo scudo a

protezione di entrambi, coprendo la ritirata. Anche gli altri ripiegarono presso le truppe schierate.

22 Quindi l'esercito greco si ricostituì al completo e prese alloggio nella zona, in diverse case, belle e stracolme

di viveri: c'era vino in quantità, conservato in cisterne dalle pareti intonacate. 23 Senofonte e Chirisofo riuscirono a

ottenere la riconsegna dei cadaveri e restituirono la guida. Ai morti, nel limite del possibile, resero ogni onoranza

funebre, com'è consuetudine per i valorosi.

24 Il giorno successivo proseguirono senza guida. I nemici ripresero le ostilità e, dovunque ci fosse una

strozzatura della strada, precedevano i nostri e la occupavano, impedendo il passaggio. 25 Quando la testa dell'esercito

rimaneva bloccata, Senofonte partiva dalla retroguardia, saliva verso le cime dei monti e poi, da una posizione più

elevata rispetto al nemico, riusciva a forzare lo sbarramento e ad aprire il passo. 26 Ogni volta che era la coda invece a

subire l'attacco, Chirisofo deviava la sua marcia e, cercando di rimaner più in alto del nemico, spezzava lo sbarramento

che ostacolava il passaggio della retroguardia: di volta in volta l'avanguardia e la retroguardia correvano in aiuto l'una

dell'altra, sempre preoccupandosi reciprocamente della sorte dei compagni.

27 Non solo durante la salita, ma anche nella discesa i barbari misero più volte i Greci alle strette: erano gente

agile, tanto che riuscivano a fuggire anche se voltavano le spalle a brevissima distanza. Del resto non portavano che

arco e fionda. 28 Erano tra l'altro valentissimi arcieri, dotati di un arco di tre braccia circa, mentre i dardi superavano le

due braccia di lunghezza. Ogni volta che scoccavano una freccia, tendevano la corda poggiando il piede sinistro sulla

parte inferiore dell'arco: trapassavano scudi e corazze. I Greci, quando riuscivano a recuperare le loro frecce, le

riutilizzavano come giavellotti, applicandovi una cinghia. In queste regioni si rivelò particolarmente preziosa l'opera dei

Cretesi, capeggiati da Stratocle cretese.

3

1 Per quel giorno alloggiarono nei villaggi sovrastanti la pianura del Centrite, un fiume largo all'incirca due

pletri, che segna il confine tra l'Armenia e la regione dei Carduchi. Qui i Greci ripresero fiato, felici di vedere una

pianura: il fiume distava sei o sette stadi dai monti dei Carduchi. 2 Allora si accamparono con grande gioia, perché

avevano i viveri e perché molti dei travagli vissuti erano ormai solo un ricordo. Per sette giorni interi - tanto era durata

la marcia nelle terre dei Carduchi - non avevano cessato di combattere e i mali sofferti superavano tutte quante le pene

patite per colpa del re e di Tissaferne. Ma era acqua passata e dormirono sereni.

3 Sul far del giorno, in un punto della riva opposta scorgono dei cavalieri in armi, intenzionati a impedire il

guado. In posizione più elevata rispetto ai cavalieri c'erano i fanti, schierati sulle alture per sbarrare il passaggio in

Armenia. 4 Si trattava di Armeni, Mardi e Caldei, mercenari al servizio di Oronta e Artuca. I Caldei avevano fama di

gente libera e gagliarda. Come armamento avevano lunghi scudi di vimini e lance. 5 Le alture su cui erano stati

dislocati i mercenari, distavano tre o quattro pletri dal fiume. A vista d'occhio c'era una sola via che conduceva in alto:

sembrava scavata appositamente dalla mano dell'uomo. I Greci si prepararono a varcare il fiume in quel punto. 6

Iniziata la manovra, non appena l'acqua superò il livello dei pettorali, il letto del fiume si rivelò disseminato di pietre

grandi e scivolose. Tra l'altro non si potevano tenere le armi nell'acqua, perché la corrente le strappava via; se qualcuno

invece le sollevava sopra la testa, si esponeva al tiro di frecce o proiettili d'altro genere. Tornarono indietro e posero le

tende lì, lungo il fiume. 7 Ma videro che, proprio nel luogo in cui si erano fermati la notte precedente, si erano adesso

raccolti molti Carduchi in armi. Allora serpeggiò profonda sfiducia tra i Greci: vedono la difficoltà di passare il fiume,

vedono i nemici che si apprestavano a impedire l'attraversamento e vedono alle spalle i Carduchi pronti a incalzare chi

tenti il guado.

8 Per quel giorno e quella notte rimasero fermi, senza saper che fare. Senofonte ebbe un sogno: gli sembrò di

essere in catene, ma i vincoli si allentavano da sé, al punto che, libero, poteva dirigersi dovunque volesse. Sul far

dell'alba, Senofonte raggiunge Chirisofo e, raccontandogli il sogno, gli spiega di nutrire fondate speranze in una

soluzione positiva. 9 Chirisofo ne fu felice e, alle prime luci dell'alba, tutti gli strateghi presenziarono a un sacrificio:

gli auspici si rivelarono immediatamente favorevoli, fin dalla prima vittima. Al termine, dopo aver lasciato il luogo

della cerimonia, gli strateghi e i locaghi trasmisero alla truppa l'ordine di fare colazione.

10 Proprio durante il rancio corrono incontro a Senofonte due giovani: tutti sapevano che era possibile

avvicinarsi a lui e parlargli anche durante la colazione o il pranzo oppure svegliarlo nel sonno, se si trattava di questioni

militari. 11 I due dissero che, mentre se ne andavano in giro a raccogliere legna da ardere, avevano scorto sull'altra

sponda, tra le rocce digradanti fino al fiume, un vecchio, una donna e delle ragazze che deponevano qualcosa in un.31

anfratto, forse sacchi pieni di vesti. 12 Di fronte a tale scena, avevano pensato che la traversata non comportasse rischi:

la zona antistante la loro, sull'altra riva, non consentiva infatti l'accesso ai cavalieri nemici. Si erano spogliati

completamente, tenendo con sé i pugnali, decisi alla traversata a nuoto. Ma una volta entrati in acqua, erano riusciti a

varcare il fiume senza neppure bagnarsi i genitali. Giunti sulla sponda opposta, avevano preso le vesti ed erano tornati

indietro.

13 Sùbito Senofonte offrì personalmente una libagione agli dèi e ordinò di mescere vino ai due giovani e di

chiedere un felice esito dell'impresa pregando le divinità che gli avevano inviato il sogno e indicato il guado. Dopo

condusse sùbito da Chirisofo i due giovani, che esposero anche a lui l'accaduto. Pure Chirisofo, non appena udì le loro

parole, libò agli dèi. 14 Quindi al resto dell'esercito ordinò di preparare i bagagli; insieme convocarono gli strateghi per

prendere una decisione: bisognava attraversare il fiume in tutta sicurezza, piegare la resistenza delle truppe nemiche sul

fronte e coprirsi le spalle per non subire perdite. 15 Deliberarono che Chirisofo tenesse la testa e passasse sull'altra riva

con una metà dell'esercito; l'altra metà sarebbe rimasta al di qua del fiume con Senofonte, perché prima dovevano

transitare i bagagli e il grosso dell'esercito.

16 Quando tutto era a posto, si misero in marcia. Li guidavano i due giovani, tenendo il fiume sulla sinistra. Lo

spazio da coprire fino al guado era di circa quattro stadi. 17 Mentre procedevano, sulla riva opposta li seguivano,

parallelamente, gli squadroni della cavalleria nemica. Non appena giunsero al guado, dirimpetto alle rocce, posero a

terra le armi e per primo Chirisofo stesso si cinse il capo con una corona, si svestì, impugnò le armi e diede ordine ai

locaghi di schierarsi in colonna, parte alla sua sinistra, parte alla sua destra. 18 Gli indovini sgozzarono le vittime

proprio nelle acque del fiume: i nemici cominciarono a scaricare una gragnuola di dardi e proiettili, ma non erano

ancora a tiro. 19 Quando le vittime diedero auspici favorevoli, tutti i soldati intonarono il peana e levarono il grido di

guerra. Anche le donne lanciarono un urlo altissimo, tutte quante: c'erano molte prostitute al séguito dell'esercito.

20 Chirisofo avanzò e pure i suoi. Senofonte prese con sé le truppe della retroguardia più agili e cominciò a

marciare a ritroso di gran carriera, verso la strada in corrispondenza con lo sbocco che portava ai monti dell'Armenia:

fingeva di voler varcare lì il fiume per chiudere in una morsa i cavalieri avversari che stazionavano lungo la riva. 21 I

nemici, vedendo che non solo Chirisofo e i suoi passavano senza intoppi le acque, ma che pure Senofonte e i suoi

tornavano indietro di corsa, nel timore di essere tagliati fuori, fuggono a briglia sciolta, dando l'impressione di puntare

verso la strada che conduceva alle alture. Quando poi giungono sulla strada, piegano in alto verso il monte. 22 Licio, il

comandante della cavalleria, ed Eschine, il capo dei peltasti di Chirisofo, non appena videro gli avversari battere

precipitosamente in ritirata, li inseguirono: i soldati cominciarono a gridare che non li lasciassero indietro, che si doveva

scalare il monte tutti insieme. 23 Chirisofo dal canto suo, portato a termine il guado, non inseguì i cavalieri, ma puntò

immediatamente verso le alture sovrastanti il fiume, dove si erano attestati i nemici. Questi ultimi, scorgendo i propri

cavalieri in fuga e gli opliti greci avanzare, abbandonano le postazioni nella zona sovrastante il fiume.

24 Senofonte, quando si avvede che sull'altra riva le cose vanno per il meglio, raggiunge per la via più breve le

truppe che stavano ancora varcando il fiume. Ormai i Carduchi erano in vista: scendevano verso la pianura preparandosi

ad attaccare la retroguardia. 25 E mentre Chirisofo teneva il controllo delle alture, Licio con pochi uomini tentò un

inseguimento e si impadronì dei bagagli che erano stati abbandonati: ricche vesti e boccali. 26 Le salmerie dei Greci e

il grosso delle truppe avevano già superato la metà del percorso, quando Senofonte, con un dietro-front, spianò le armi

contro i Carduchi. Ai locaghi trasmise l'ordine di dividere ciascuno il proprio loco in enomotie e di portare poi le

squadre sulla linea di battaglia, tenendo la sinistra: i locaghi e gli enomotarchi dovevano muovere verso i Carduchi, la

retroguardia attestarsi vicino al fiume. 27 I Carduchi, non appena videro le truppe della coda staccate dal grosso e

ormai apparentemente ridotte a pochi effettivi, accelerarono il passo intonando certe loro canzoni. Chirisofo, una volta

consolidata la propria postazione, invia a Senofonte i peltasti, i frombolieri e gli arcieri, con l'ordine di obbedire in tutto

e per tutto a Senofonte.

28 Non appena li vede passare il fiume, Senofonte manda un messo con l'ordine di rimaner lì, sulla riva, senza

proceder oltre: quando avessero visto la retroguardia dare il via al guado, dovevano scendere in acqua, faccia al nemico,

a destra e a sinistra, fingendo di attraversare il fiume, i giavellottisti pronti al lancio e gli arcieri con le frecce incoccate,

ma non dovevano spingersi troppo avanti nel fiume. 29 Ai suoi invece passò l'ordine di intonare il peana e di correre

contro i nemici, non appena i loro proiettili avessero raggiunto le nostre file e gli scudi cominciato a risuonare. Poi,

quando gli avversari avessero voltato le spalle e il trombettiere, dal fiume, suonato la carica, dovevano piegare a destra,

a partire dall'ultima linea, correndo tutti e oltrepassando il fiume con la massima velocità, ciascuno al proprio posto, per

non intralciarsi a vicenda: la palma del migliore sarebbe toccata a chi per primo avesse raggiunto l'altra sponda.

30 I Carduchi videro che i Greci erano ormai rimasti in pochi - perché molti dei soldati che avevano ricevuto

l'ordine di restare sul posto si erano invece mossi per proteggere chi le bestie da soma, chi i bagagli, chi le prostitute - li

aggredirono allora con fiduciosa baldanza, cominciando il lancio di frecce e proiettili. 31 Ma i Greci levarono il peana

e puntarono contro di loro, di corsa. I nemici non ressero: erano armati come richiede una guerra di montagna, dove

sono rapidi gli attacchi e repentine le fughe, ma non erano in grado di sostenere un corpo a corpo. 32 A quel punto il

trombettiere diede il segnale: i nemici fuggirono ancor più a gambe levate, i Greci invece presero la direzione opposta,

attraverso il fiume a tutta velocità. 33 Alcuni dei nemici si accorsero della manovra e si precipitarono indietro, verso il

fiume: con i loro dardi riuscirono a ferire pochi dei nostri. La maggior parte dei Carduchi però, quando i Greci erano già

sull'altra sponda, si potevano scorgere ancora in fuga. 34 Le truppe greche che dovevano sbarrare il passo al nemico

diedero prova di coraggio: si spinsero più in là del dovuto e ripiegarono solo dopo il passaggio dei soldati di Senofonte:

anche alcuni di loro rimasero feriti..32

4

1 Quando ebbero varcato il fiume, verso mezzogiorno formarono di nuovo le linee e percorsero tutta quanta la

pianura dell'Armenia e i suoi dolci colli per non meno di cinque parasanghe: le guerre con i Carduchi infatti impedivano

il sorgere di villaggi nei pressi del fiume. 2 Il paese in cui giunsero era grande e ospitava la reggia del satrapo, con la

maggior parte delle case sormontate da torri. Vi si trovavano viveri in abbondanza.

3 Da qui, in due tappe, proseguivano per dieci parasanghe fino ad attraversare le sorgenti del Tigri.

Poi, in tre tappe, avanzavano per quindici parasanghe fino al Teleboa, un fiume bello, ma non grande. Nella

zona circostante sorgevano parecchi villaggi. 4 La regione aveva nome di Armenia occidentale. Il governatore era

Tiribazo, che era anche amico del re, al punto che, in sua presenza, nessun altro poteva aiutare il sovrano a montare a

cavallo. 5 Tiribazo si fece loro incontro, accompagnato da alcuni cavalieri. Mandò avanti un interprete e disse che

voleva un colloquio con i capi. Gli strateghi decisero di ascoltarlo. Si spinsero fino a una distanza tale da poterlo udire e

gli domandarono che cosa volesse. 6 Una tregua, rispose Tiribazo, alle seguenti condizioni: lui non avrebbe procurato

fastidi ai Greci, loro non avrebbero incendiato le case, ma potevano prendere tutti i viveri necessari. Gli strateghi

accolsero la proposta e concordarono la tregua alle suddette condizioni.

7 Da qui, in tre tappe, percorsero nella pianura quindici parasanghe. Tiribazo con le sue truppe continuò a

seguirli da presso, a una decina di stadi di distanza. Giunsero alla sua reggia e ai villaggi tutt'attorno, pieni di viveri

d'ogni genere. 8 I Greci si accamparono. Di notte scese una fitta nevicata, per cui all'alba si decise di alloggiare i vari

reparti, con il rispettivo stratego, villaggio per villaggio: non si scorgeva infatti nessun nemico all'orizzonte e ci si

riteneva al sicuro per via dell'alta coltre di neve. 9 Lì avevano [viveri,] beni di ogni sorta: bestiame, farina, vini

invecchiati dal profumo inebriante, uva passa, legumi d'ogni genere. Ma alcuni soldati, allontanatisi alla spicciolata

dall'accampamento, riferirono di aver scorto molti fuochi sfavillare nella notte. 10 Gli strateghi allora giudicarono che

non fosse sicuro rimaner acquartierati separatamente, ma che fosse meglio raccogliere di nuovo l'esercito. Si procedette

dunque all'operazione: il cielo sembrava volgere al sereno. 11 Ma nel corso della notte scese nella zona una nevicata

senza fine, tanto da coprire le armi e gli uomini che giacevano sdraiati. Nel manto di neve rimasero intricate anche le

bestie da soma. I soldati esitavano fortemente a levarsi in piedi: sui corpi distesi la neve caduta, se non si era già sciolta,

infondeva calore. 12 Allora Senofonte, nudo, trovò il coraggio di alzarsi e cominciò a spaccar legna. Ben presto uno si

levò in piedi, poi un altro ancora, che gli tolse di mano la scure e continuò il lavoro. A quel punto si alzarono anche gli

altri, accesero il fuoco e si unsero d'olio. 13 Lì avevano infatti trovato unguenti in quantità, che venivano impiegati al

posto dell'olio d'oliva: grasso di maiale, olio di sesamo, di mandorle amare o di terebinto. Trovarono anche essenze

profumate, tratte dalle stesse sostanze.

14 Dopo di che, si decise di alloggiare nuovamente divisi [nei villaggi,] nelle case. Allora i soldati, tra grida di

gioia, si precipitarono alle abitazioni e sui viveri: chi prima, al momento di lasciare le case, le aveva incendiate, spinto

dalla propria insensatezza, la pagò cara, perché fu costretto ad accontentarsi di un alloggio scomodo. 15 Di notte,

quindi, mandarono alcuni uomini, guidati da Democrate di Temno, a perlustrare i monti, dove i soldati allontanatisi dal

campo avevano detto di aver avvistato i fuochi. Egli infatti già in passato era parso sempre attendibile: se diceva che

c'era una cosa, c'era; se diceva che non c'era, non c'era. 16 Al suo ritorno disse di non aver visto nessun fuoco, ma

condusse con sé un prigioniero che portava un arco persiano, una faretra e un'ascia di foggia uguale a quelle delle

Amazzoni. 17 Gli chiesero di dove fosse; rispose che era persiano e che si era spinto lontano dal campo di Tiribazo in

cerca di viveri. Gli domandarono quale fosse la consistenza del loro esercito e a quale scopo l'avessero radunato. 18

Rispose che Tiribazo aveva con sé i propri effettivi e truppe mercenarie, Calibi e Taochil: si teneva pronto per un

agguato ai Greci durante il valico del monte. C'era un passaggio obbligato tra le gole montane: avrebbe teso lì la

trappola.

19 Udite le sue parole, gli strateghi decisero di radunare l'esercito. Lasciarono sùbito delle sentinelle e posero

Sofeneto di Stinfalo a capo delle truppe che restavano al campo, poi s'incamminarono, tenendo come guida il

prigioniero. 20 Quand'ebbero valicato i monti, i peltasti si spinsero in avanti e avvistarono il campo nemico: non

attesero gli opliti, ma corsero verso l'accampamento nemico tra le grida. 21 I barbari, non appena udirono i clamori,

non rimasero sul posto, ma si diedero alla fuga: tuttavia i peltasti ne uccisero alcuni e catturarono una ventina di cavalli,

la tenda di Tiribazo, dove trovarono divani con i piedi d'argento, calici e dei servi che dicevano di essere fornai e

coppieri. 22 Quando seppero dell'accaduto, gli strateghi degli opliti decisero di rientrare al campo per la via più breve,

nel timore di un attacco contro il contingente là rimasto. Sùbito richiamarono con la tromba le truppe e si allontanarono.

Giunsero al campo in giornata.

5

1 Il giorno successivo si decise di scegliere la via che consentiva la marcia più rapida, prima che l'esercito

nemico si raccogliesse di nuovo e prendesse il controllo dei passi montani. Prepararono i bagagli e si inoltrarono

immediatamente nel fitto manto di neve, con molte guide. Quel giorno stesso valicarono la cima dove Tiribazo voleva

tendere l'agguato e lì posero le tende..33

2 Da qui, in tre tappe, avanzarono di quindici parasanghe in una zona disabitata fino all'Eufrate. Oltrepassarono

il fiume bagnandosi all'altezza dell'ombelico. Si diceva che le sorgenti non fossero lontane.

3 Quindi procedono nella neve alta, in pianura, per cinque parasanghe in tre tappe. L'ultima fu dura: un vento

di tramontana soffiava contrario, bruciando completamente la vegetazione e intirizzendo gli uomini. 4 Un indovino

allora suggerì di immolare vittime in onore del vento, e così fecero: tutti ebbero modo di constatare che l'intensità delle

raffiche scemò. La neve era alta un'orgia: molti animali e schiavi persero la vita e anche una trentina di soldati. 5

Passarono la notte a bruciar legna: nella zona in cui avevano fatto tappa ce n'era molta, ma chi giungeva per ultimo non

ne aveva più a disposizione. I primi arrivati, attorno ai falò, impedivano ai ritardatari di accostarsi al fuoco, se non in

cambio di grano o di qualsiasi altro genere commestibile. 6 Allora barattarono quel poco che ciascuno aveva. Dove

veniva acceso il fuoco, la neve si scioglieva e si formavano buche profonde fino alla superficie del terreno: così era

possibile misurare l'altezza della neve.

7 L'indomani, per l'intera giornata, marciarono nella neve e molti caddero in preda alla bulimia. Senofonte, che

era in retroguardia, si imbatteva nella gente crollata a terra, ma non riusciva a capire la causa del loro male. 8 Poi un

soldato, esperto di cose del genere, gli disse che erano chiari segni di bulimia e che bastava mandar giù un boccone per

rimettersi in sesto. Allora Senofonte controllò le salmerie una a una, nella speranza di trovare qualcosa di commestibile,

poi distribuì o diede da distribuire cibo agli affamati, incaricandone chi aveva ancora la forza di correre su e giù lungo

la colonna dell'esercito. 9 E appena mettevano qualcosa sotto i denti, i soldati si rialzavano e riprendevano la marcia.

Durante il cammino, Chirisofo giunse a un villaggio sul calar delle tenebre e capitò davanti ad alcune donne e

fanciulle del luogo, che andavano ad attingere acqua a una fonte, fuori le mura. 10 Le donne chiesero chi fossero.

L'interprete disse, in persiano, che erano truppe del re, inviate al satrapo. Le donne allora risposero che non era lì, ma a

circa una parasanga di distanza. I soldati, vista l'ora tarda, si dirigono tutti insieme dal capo del villaggio dentro le mura,

accompagnati dalle portatrici d'acqua.

11 Chirisofo si accampò qui con la parte dell'esercito che riuscì ad arrivare. Le rimanenti truppe che non furono

in grado di coprire la distanza, trascorsero la notte a digiuno e senza fuoco. Nella circostanza alcuni soldati morirono.

12 Alcuni gruppi di nemici, radunatisi, seguivano i Greci, depredavano il bestiame che non ce la faceva più, per il cui

possesso si azzuffavano tra di loro. Furono abbandonati al loro destino i soldati rimasti abbacinati dal riverbero della

neve e chi aveva le dita dei piedi incancrenite dal gelo. 13 Per gli occhi c'era un rimedio contro il bagliore della neve,

se si proseguiva la marcia bendandoli con stoffa nera. Per i piedi invece bisognava muoversi, non stare mai fermi e,

prima di addormentarsi, slacciare i calzari. 14 Se infatti si dormiva senza slegarli, i lacci penetravano nella carne e i

calzari si gelavano tutt'attorno al piede. Si trattava di calzature di pelle di bue, scuoiata di recente e non conciata, cui i

soldati erano ricorsi dopo essersi sbarazzati dei vecchi calzari.

15 Nella morsa di tali sciagure, alcuni soldati restarono indietro: quando videro una zona scura, senza tracce di

neve, congetturarono che si fosse sciolta - come in effetti era accaduto - per via di una sorgente calda, che era nelle

vicinanze ed esalava vapori nella valle. Piegarono in quella direzione, si sedettero e si rifiutarono di proseguire. 16

Senofonte con la retroguardia, come se ne accorse, cominciò a pregarli in ogni modo e maniera di non rimaner staccati

dal grosso dell'esercito, spiegando che una gran moltitudine di nemici si era radunata ed era sulle loro tracce; alla fine

giunse anche a rimproverarli aspramente. Per tutta risposta dicevano che li uccidesse pure, ma non riuscivano più a

muovere un passo. 17 Allora gli sembrò che la soluzione migliore fosse di incutere timore ai nemici che li seguivano,

per impedire, se possibile, che aggredissero i nostri soldati sfiniti. Erano ormai scese le tenebre: gli avversari

continuavano ad avanzare, litigando a gran voce per strapparsi i beni l'un con l'altro. 18 Allora gli uomini più in forze

della retroguardia si gettarono correndo contro il nemico. I soldati rimasti a terra sfiniti, con tutto il fiato che ancora

avevano in corpo levarono altissimo un grido e batterono le lance contro gli scudi. I nemici, intimoriti, si precipitarono

verso valle in mezzo alla neve: non si sentiva più una voce, da nessuna parte.

19 Ai soldati debilitati, Senofonte e i suoi dissero che l'indomani qualcuno sarebbe tornato a prenderli. Non

avevano ancora percorso quattro stadi, che si imbatterono, lungo la strada, in un gruppo di soldati fermi nella neve, tutti

avvolti nei loro mantelli, senza neppure una sentinella. Cercarono di rialzarli, ma quelli risposero che gli altri reparti,

davanti, non avanzavano. 20 Senofonte procedette oltre e mandò in testa i più robusti tra i peltasti, con l'ordine di

controllare quale fosse l'ostacolo. I peltasti riferirono che tutto quanto l'esercito era parimenti fermo. 21 Allora

Senofonte e i suoi si accamparono sul posto, senza fuoco né cibo, dislocando tutte le sentinelle che fu possibile. Si era

sul far del giorno, quando Senofonte inviò i più giovani in soccorso dei compagni stremati, con il compito di rimetterli

in piedi e di costringerli a riprendere il cammino.

22 Nel frattempo, a controllare la situazione nelle retrovie, Chirisofo invia un gruppo di soldati che erano già al

villaggio. Gli uomini della retroguardia gioirono nel vederli: consegnarono loro i soldati sfiniti perché li

accompagnassero al campo e proseguirono la marcia. Non avevano ancora percorso venti stadi, che erano già alle porte

del villaggio in cui alloggiava Chirisofo. 23 Dopo essersi ricongiunti, pensarono che senza rischi le truppe potessero

accamparsi villaggio per villaggio. Chirisofo rimase sul posto, gli altri sorteggiarono i villaggi che da lì si vedevano e

ciascuno vi si diresse con i propri uomini. 24 Allora Policrate, un locago ateniese, chiese che lo si lasciasse partire

immediatamente: prese con sé le truppe armate alla leggera, si precipitò verso il villaggio toccato in sorte a Senofonte e

catturò tutti gli abitanti che vi si trovavano, compreso il capo, con diciassette cavalli allevati come tributo per il re,

nonché la figlia del capo, sposa da otto giorni: il marito era via, a caccia di lepri, per cui non fu fatto prigioniero nel

villaggio..34

25 Le case erano sotto terra. L'ingresso somigliava alla bocca di un pozzo, ma in basso erano spaziose.

L'entrata per gli animali era costituita da gallerie scavate, mentre le persone si calavano giù mediante scale. Nelle case

vivevano capre, pecore, buoi e volatili con i rispettivi piccoli. Tutti questi animali erano nutriti là dentro con erba secca.

26 C'erano anche grano, orzo, legumi, vino d'orzo in recipienti, sulla cui superficie galleggiavano chicchi d'orzo: vi

erano immerse delle canne, grandi e piccole, dal fusto privo di nodi. 27 Quando qualcuno aveva sete, bastava ne

prendesse una in bocca e succhiasse. Era vino purissimo, troppo forte se non lo si mescolava all'acqua, ma, se ci si

faceva la bocca, era una bevanda gradevole.

28 Senofonte invitò come commensale il capo del villaggio e gli fece coraggio, garantendogli che non lo

avrebbero privato dei figli e che, al momento della partenza, gli avrebbero riempito di nuovo la casa di viveri, se si

fosse comportato bene con l'esercito, facendo da guida fino al loro arrivo a un altro popolo. 29 Il capo del villaggio

promise di sì e, in segno di amicizia, indicò il punto in cui aveva sotterrato del vino. Per la notte si attendarono in ordine

sparso e tutti i soldati dormirono tra beni a profusione, sorvegliando a vista il capo del villaggio e pure i suoi figli.

30 Allo spuntar del giorno, Senofonte prese con sé il capo e lo portò da Chirisofo. In qualsiasi villaggio

passasse, ispezionava i soldati, trovandoli ovunque ben pasciuti e con il morale alto: non lasciavano mai andar via

Senofonte e i suoi senza aver offerto loro il pranzo. 31 E non c'era volta che, alla stessa mensa, non imbandissero carne

di agnello, capretto, maiale, vitello, pollo, con pani di grano o d'orzo a volontà. 32 Ogni volta che si voleva brindare in

onore di qualcuno, in segno d'amicizia, lo si trascinava al cratere, sul quale bisognava curvarsi e bere lappando, come i

buoi. Al capo del villaggio concessero di portar via quel che voleva, ma lui non accettò nulla, se non un privilegio: dove

vedeva un suo parente, di volta in volta lo prendeva con sé. 33 Giunti che furono da Chirisofo, trovarono che anche gli

uomini lì attendati si erano cinti il capo con corone di fieno secco: li servivano giovinetti armeni, abbigliati in foggia

barbarica, ai quali i soldati impartivano ordini a gesti, come con i sordomuti.

34 Dopo essersi salutati con affetto, Chirisofo e Senofonte, mediante un interprete che parlava persiano,

interrogarono insieme il capo del villaggio, chiedendo che paese fosse. «L'Armenia», rispose. Domandarono allora per

chi allevassero i cavalli che avevano visto. Disse che erano per i tributi al re. E proseguì spiegando che le terre

confinanti erano dei Calibi, mostrando dove fosse la strada. 35 Allora Senofonte lo riportò indietro alla sua gente.

Anche il cavallo che aveva preso in precedenza, lo consegnò al capo del villaggio perché lo sacrificasse dopo averlo

rimesso in forze: Senofonte aveva saputo che l'animale era consacrato al Sole e temeva che morisse, sfiancato com'era

dal viaggio. Prese dei puledri, consegnandone agli altri strateghi e locaghi, uno a testa. 36 I cavalli della zona erano più

piccoli di quelli persiani, ma molto più focosi. Poi il capo del villaggio insegna a fasciare con dei sacchetti gli zoccoli

dei cavalli e degli animali da soma, quando li guidano nella neve: senza quelli infatti, le bestie affondavano fino al

ventre.

6

1 L'ottavo giorno, Senofonte consegna a Chirisofo il capo del villaggio come guida, lasciando a casa tutti i

familiari [del capo], tranne il figlio, appena entrato nella pubertà. Affida il ragazzo alla custodia di Epistene di Anfipoli,

assicurando al capo del villaggio che, se voleva tornare a casa con suo figlio, gli bastava svolgere bene il compito di

guida. Nella sua casa ammassarono quanti più viveri fu possibile; poi aggiogarono le bestie e ripresero il viaggio. 2 In

testa, tra la neve, procedeva il capo, libero da catene. Si era già nel corso della terza tappa, quando Chirisofo montò su

tutte le furie perché non li aveva ancora portati in qualche villaggio. Ma l'altro rispose che nella zona non ce n'erano.

Allora Chirisofo lo malmenò, ma non lo fece incatenare. 3 Perciò il capo del villaggio durante la notte fuggì,

abbandonando il figlio. Nel corso di tutto il viaggio, l'unico motivo di screzio tra Chirisofo e Senofonte fu proprio

questo: il maltrattamento della guida e la trascuratezza nel sorvegliarla. Epistene comunque si innamorò del ragazzo, lo

portò con sé in Grecia, dove lo tenne sempre al suo fianco come la persona a lui più fedele.

4 Dopo percorsero sette tappe per cinque parasanghe al giorno fin oltre il Fasi, un fiume largo un pletro.

5 Poi, in due tappe, proseguirono per dieci parasanghe. Sul valico che portava alla pianura, la via era sbarrata

da Calibi, Taochi e Fasiani. 6 Chirisofo, non appena intravide i nemici in cima al passo, si fermò a una distanza di circa

trenta stadi, per non avvicinarsi in colonna agli avversari. A tutti i locaghi trasmise l'ordine di portare in avanti i

rispettivi reparti per formare la falange. 7 Quando giunse la retroguardia, chiamò a rapporto strateghi e locaghi e disse:

«I nemici, come vedete, tengono sotto controllo i passi del monte: è il momento di decidere il piano migliore per lo

scontro. 8 Il mio parere è di dar disposizione alla truppa di pranzare, mentre noi decidiamo se sia meglio tentare di

superare il valico oggi o domani». 9 «Io invece», proseguì Cleanore, «penso che ci convenga sbrigarci col rancio, per

poi impugnare le armi e muovere con tutte le nostre forze contro di loro. Se lasceremo passare la giornata senza

muovere un dito, i nemici, che ora ci tengono d'occhio, prenderanno animo e così, naturalmente, con la convinzione di

potercela fare, chiameranno rinforzi più numerosi».

10 Dopo di lui intervenne Senofonte: «Ecco come la penso. Se lo scontro è inevitabile, dobbiamo prepararci a

lottare con tutte le nostre forze; se invece vogliamo valicare il monte con il minimo di complicazioni, allora mi pare che

si tratti di studiare un piano per ridurre al minimo non solo i danni, ma anche le perdite di vite umane. 11 Il monte che

vediamo si estende per sessanta stadi o più; non si vede gente spiare le nostre mosse, se non lungo la strada. Meglio

sarebbe se cercassimo di passare inosservati e di impossessarci con destrezza, se possibile, di qualche punto del monte

lasciato sguarnito, precedendoli e portandoglielo via da sotto il naso. È meglio che avventarsi contro postazioni.35

fortificate e truppe che ci aspettano al varco. 12 Scalare un erto pendio senza combattere è molto più semplice che

marciare in pianura, se la destra e la sinistra brulicano di nemici. E gli ostacoli che ci stanno davanti ai piedi è più facile

vederli di notte se non si combatte che di giorno in battaglia. Percorrere un terreno accidentato senza combattere è più

agevole che avanzare in una via piana quando i proiettili ti sibilano intorno al capo. 13 Un colpo di destrezza, poi, non

mi sembra impossibile, dato che possiamo muoverci di notte per non essere visti e distanziarci tanto da non farci notare.

Son convinto che, se simulassimo un attacco da un lato, potremmo trovare il monte ancor più sguarnito: i nemici

rimarrebbero sul posto, compatti.

14 Ma cosa potrei aggiungere io sulla destrezza? Mi è giunto alle orecchie, Chirisofo, che voi Spartani, quanti

appartenete alla classe dei Pari, fin da bambini vi esercitate al furto e non è motivo di vergogna, ma di vanto, rubare ciò

che la legge non vieta. 15 E per abituarvi ad agire con la massima abilità e a passare inosservati, la vostra legge, se siete

sorpresi con le mani nel sacco, prevede la frusta. Adesso è il momento di darci un saggio di quello che hai imparato da

bambino e di fare in modo che non ci sorprendano mentre ci impossessiamo del monte, così non prenderemo delle

frustate!».

16 «A dire il vero», replicò Chirisofo, «anche a me è giunta voce che gli Ateniesi sono tremendi nell'arte di

rubare il denaro pubblico, anche se tremenda è pure la pena per il ladro. E primi tra tutti lo sono i potenti, se è vero che

da voi i più potenti sono stimati degni del comando. Perciò è venuto anche per te il momento di darci un saggio di

quello che tu hai imparato da bambino».

17 «Sono pronto a muovermi», ribatté Senofonte, «con la retroguardia, dopo il rancio, per prendere il controllo

del monte. Ho anche delle guide: in un'imboscata infatti i gimneti hanno catturato dei predoni che ci seguivano. Da loro

ho saputo che il monte non è impraticabile, anzi vi pascolano capre e buoi. Una volta che riusciremo a prendere un

punto del monte, potranno passare anche le bestie da soma. 18 Tra l'altro, mi aspetto che i nemici non tengano più le

loro posizioni, quando ci vedranno sulle cime, in condizioni di parità: neanche adesso sono disposti ad attaccarci

dall'alto e a scendere dove ora siamo». 19 Chirisofo ancora: «Perché devi andare tu e lasciar sguarnita la retroguardia?

Manda piuttosto qualcun altro, a meno che non si offrano dei volontari».

20 Allora si fanno avanti Aristonimo di Metidrio con degli opliti, Aristea il Chio e Nicomaco dell'Eta, entrambi

con dei gimneti. L'accordo era che, una volta preso il controllo delle alture, avrebbero acceso molti fuochi. 21 Quindi,

accordatisi, cenarono. Dopo, Chirisofo condusse avanti l'esercito al completo per una decina di stadi in direzione del

nemico, per dare proprio l'impressione di voler proseguire per quella via.

22 Quando avevano terminato la cena e la notte era scesa, il gruppo incaricato della missione si allontanò e

s'impadronì del monte, mentre gli altri rimasero dove si trovavano. I nemici, non appena si accorsero che il monte era

stato occupato, rimasero svegli per tutta la notte e continuarono ad accendere un gran numero di falò. 23 Quando fu

giorno, Chirisofo offrì un sacrificio e guidò l'esercito lungo la strada, mentre le truppe che avevano preso il monte li

seguono lungo il crinale. 24 Il grosso dei nemici tenne la posizione sul valico, una parte affrontò i Greci che

avanzavano sulla cima. Prima che gli eserciti vengano a contatto, si scontrano i due gruppi sul crinale. Vincono i Greci

e si lanciano all'inseguimento. 25 A quel punto anche i peltasti, giù in pianura, corrono contro le truppe che li

affrontano, mentre Chirisofo tiene dietro a passo veloce con gli opliti. 26 Gli avversari che erano lungo la via, non

appena vedono che i loro, in alto, sono battuti, voltano le spalle: non molti persero la vita, ma lasciarono sul campo

un'infinità di scudi di vimini, che i Greci tranciarono con le loro spade, rendendoli inutilizzabili. 27 Quando giunsero in

cima al monte, offrirono sacrifici e innalzarono un trofeo. Poi ridiscesero in pianura, raggiungendo villaggi stracolmi di

beni d'ogni sorta.

7

1 Poi percorsero nelle terre dei Taochi trenta parasanghe in cinque tappe. Mancavano i rifornimenti, perché i

Taochi abitavano in rocche fortificate dove avevano ammassato tutti quanti i viveri. 2 A un certo punto i Greci

pervennero a una rocca, non vi era una città né case - lì si erano concentrati uomini, donne e animali in gran numero.

Chirisofo, appena giunto, si lancia all'assalto. Quando la prima linea cominciò ad accusare la fatica, ne subentrò un'altra

e poi un'altra ancora. Non c'era modo infatti di stringer d'assedio la rocca, perché era circondata da dirupi su tutti i lati.

3 Quando arrivò Senofonte con gli opliti e i peltasti della retroguardia, Chirisofo disse: «Capitate proprio al

momento giusto! Dobbiamo prendere la fortezza: l'esercito rimarrà senza vettovaglie, se non la espugneremo». 4 Allora

predisposero il piano insieme. Senofonte domandò quale fosse l'ostacolo che impediva l'accesso, Chirisofo rispose: «C'è

solo un passaggio, lo vedi. Ogni volta che si tenta di imboccarlo, i nemici rotolano giù massi da quella roccia là, in alto.

Ecco la fine di chi viene colpito. Guarda». E indicò degli uomini con le gambe e le costole fracassate. 5 «Ma se

esauriranno le pietre», interloquì Senofonte, «cos'altro ci impedirà di passare? Di fronte non vediamo che un pugno

d'uomini, di cui solo due o tre sono armati. 6 Quanto allo spazio da percorrere sotto il tiro nemico, come vedi anche tu,

si aggira sul pletro e mezzo. E all'incirca un pletro di strada è folto di grossi pini, a breve distanza l'uno dall'altro; se ci

si tiene al riparo dietro gli alberi, che danni si possono subire dalle pietre scagliate o fatte rotolare? Resta dunque più o

meno mezzo pletro, dove ci toccherà correre, quando la pioggia di massi si farà meno intensa». 7 «Ma», replicò

Chirisofo, «non appena cominceremo ad avvicinarci al bosco, ci rovesceranno addosso un torrente di pietre». «Proprio

così deve essere», rispose Senofonte, «le finiranno prima. Su, portiamoci in un punto che ci consenta di rimanere allo

scoperto solo per pochi passi, se ci è possibile, ma anche di ritirarci con facilità, se lo vogliamo»..36

8 Allora avanzano Chirisofo, Senofonte e Callimaco di Parrasia, un locago cui, quel giorno, spettava il turno di

comando sui locaghi della retroguardia. Gli altri locaghi rimasero al sicuro. Quindi s'inoltrarono nella macchia altri

soldati, una settantina, non in gruppo, ma uno alla volta, ciascuno procedendo con tutta la cautela possibile. 9 Agasia di

Stinfalo e Aristonimo di Metidrio, anch'essi locaghi della retroguardia, rimasero ai margini, fuori della boscaglia,

perché era pericoloso che più di un loco si tenesse al riparo degli alberi. 10 A questo punto Callimaco ha una trovata

ingegnosa: faceva due o tre passi di corsa a partire dall'albero sotto cui si riparava; quando i macigni venivano scaricati,

ripiegava senza la minima difficoltà. A ogni suo accenno di corsa i nemici sprecavano dieci carri di pietre o anche più.

11 Agasia allora, quando nota la manovra di Callimaco, sotto gli occhi di tutto quanto l'esercito, temendo di non metter

piede per primo nella rocca, non chiama né Aristonimo, che gli era vicino, né Euriloco di Lusi - erano compagni - né

alcun altro: parte da solo, superando tutti. 12 Callimaco, non appena lo vede passare accanto, lo afferra per lo scudo. In

quell'istante li sopravanza di corsa Aristonimo di Metidrio e, alle sue spalle, Euriloco di Lusi: era ormai una disputa,

una gara di valore da parte di tutti. Così, contendendosi l'un l'altro la palma, conquistano la fortezza. Da quando infatti

cominciarono a correre, non venne precipitato più nessun masso. 13 Lo spettacolo fu terribile: le donne gettavano dalla

rocca i figli e si buttavano a loro volta a capofitto, come pure gli uomini. Un locago, Enea di Stinfalo, scorge uno con

una bella veste, che corre per gettarsi nel precipizio: cerca di afferrarlo per impedirglielo. 14 Ma l'altro gli si avvinghia

ed entrambi piombano giù di rupe in rupe e muoiono. Qui vennero catturati davvero pochi nemici, ma molti buoi, asini

e pecore.

15 Quindi proseguirono attraverso le terre dei Calibi in sette tappe per cinquanta parasanghe. Di tutte le genti

attraverso i cui territori transitarono, furono proprio i Calibi a dimostrarsi i più coraggiosi, e in effetti con loro si

verificarono parecchi scontri. Indossavano corazze di lino lunghe fino all'addome e, al posto delle falde di cuoio,

portavano fitte corde intrecciate. 16 Avevano anche schinieri, elmi e, accanto alla cintura, un coltello lungo all'incirca

come il falcetto da guerra spartano, con il quale sgozzavano chi cadeva nelle loro mani, gli tagliavano la testa e

andavano in giro tenendola in mano, tra canti e balli, ogniqualvolta importava loro che il nemico vedesse. Avevano

anche una lancia di una quindicina di braccia, a una sola punta. 17 I Calibi si tenevano asserragliati in cittadelle, ma,

non appena i Greci passavano, si lanciavano immancabilmente all'inseguimento, armi in pugno. Abitavano in fortezze,

dove avevano ammassato i viveri: i Greci non poterono prendere niente nella regione, ma dovettero nutrirsi con il

bestiame catturato ai Taochi.

18 Quindi i Greci giunsero al fiume Arpaso, largo quattro pletri. Poi si spinsero nelle terre degli Sciteni per

venti parasanghe in quattro tappe attraverso la pianura fino a dei villaggi, dove rimasero tre giorni e si rifornirono di

viveri.

19 Poi percorsero quattro tappe per venti parasanghe fino a una città grande, prospera e popolosa, chiamata

Gimnià. Da qui il capo della regione manda ai Greci una guida, perché li conducesse attraverso territori ostili. 20

Appena giunta, la guida assicurò che in cinque giorni li avrebbe portati in una zona da cui potevano vedere il mare,

altrimenti lo ammazzassero pure. Mentre svolgeva la sua missione, la guida, una volta messo piede in terra nemica,

cominciò a incitare i Greci a seminare incendi e distruzioni nel paese: chiaramente, era venuto con un piano ben preciso,

non certo per benevolenza verso di loro.

21 Il quinto giorno pervennero poi a un monte di nome Teche. Non appena i primi giunsero in vetta e videro il

mare, levarono alte grida. 22 Nell'udirle, Senofonte e i suoi della retroguardia pensarono che la testa dell'esercito fosse

attaccata da altri nemici: alle spalle infatti erano seguiti dalla gente cui avevano incendiato il territorio. La retroguardia

ne aveva ammazzato alcuni e catturati altri in un agguato, impadronendosi di una ventina di scudi di vimini rivestiti di

pelle di bue non conciata.

23 Poiché le grida si facevano più intense e più vicine, i soldati, che man mano giungevano, correvano verso i

compagni che continuavano a urlare, e tanto più acuti salivano i clamori quanto più il numero s'ingrossava, per cui

Senofonte pensò che si trattasse di qualcosa di veramente grave. 24 Allora scese da cavallo, prese con sé Licio e i

cavalieri e corse a prestar soccorso, ma ben presto sentirono i soldati gridare: «Mare, mare». La voce rimbalzava di

bocca in bocca. Allora anche tutta la retroguardia si mise a correre, mentre pure le bestie da soma e i cavalli vennero

spinti al galoppo. 25 Quando furono tutti sulla cima, cominciarono ad abbracciarsi, strateghi e locaghi, tra le lacrime.

All'improvviso, chissà per esortazione di chi, i soldati portarono delle pietre e formarono un tumulo enorme. 26 Sopra

vi posero un gran numero di pelli di bue non conciate, bastoni, scudi di vimini catturati. Dal canto suo, la guida tagliò

gli scudi, invitando gli altri a seguire il suo esempio. 27 Dopo, i Greci lo congedarono con doni tratti dal bottino

comune: un cavallo, una coppa d'argento, un abito persiano e dieci darici: ma soprattutto chiese gli anelli e molti ne

ricevette dai soldati. Indicò ai Greci un villaggio dove accamparsi e la via che li avrebbe portati alle terre dei Macroni.

Poi, lasciata passare la sera, di notte si allontanò.

8

1 Da qui i Greci si spinsero nelle terre dei Macroni per dieci parasanghe in tre tappe. Il primo giorno giunsero a

un fiume che segnava il confine tra i Macroni e gli Sciteni. 2 In alto, sulla loro destra, si estendeva una zona quanto mai

impervia; sulla sinistra scorreva un altro fiume - che dovevano attraversare - nel quale si gettava il precedente corso

d'acqua. Le sue sponde erano folte di alberi, non grossi ma fitti. Non appena vi giunsero, i Greci cominciarono ad

abbatterli, per la smania di lasciarsi alle spalle quel luogo al più presto. 3 I Macroni, armati di scudi di vimini e lance,.37

con vesti di crine, erano schierati sulla riva opposta, si esortavano vicendevolmente e scagliavano pietre, che comunque

cadevano in acqua senza procurare danni ai Greci, perché non si era a distanza di tiro.

4 A quel punto si avvicinò a Senofonte un uomo che diceva di essere stato schiavo ad Atene e asseriva di

conoscere la lingua di quella gente. «Credo», proseguiva, «che si tratti della mia patria. Se non hai niente in contrario,

vorrei parlare con loro». «Certo che non ho nulla in contrario», rispose Senofonte, «parla pure e chiedi prima di tutto chi

sono». 5 Alla domanda risposero: «Macroni». «Chiedi allora», continuò Senofonte, «perché ci affrontano e che

vantaggio traggono dall'esserci nemici». 6 Replica: «Siete stati voi a invadere le nostre terre». Gli strateghi ordinarono

al soldato di spiegare che non avevano affatto intenzioni ostili: «Abbiamo combattuto contro il re, ce ne torniamo in

Grecia, vogliamo raggiungere il mare». 7 I Macroni domandarono se erano disposti a dar garanzie delle loro parole.

Ribatterono che erano pronti a darne e a riceverne. Allora i Macroni consegnano una lancia barbarica ai Greci, i Greci a

loro una lancia ellenica: per i Macroni lo scambio di lance rappresentava un impegno solenne. Gli uni e gli altri

invocarono gli dèi a testimoni.

8 Dopo lo scambio dei pegni di fede, sùbito i Macroni, unendosi ai Greci fianco a fianco, collaborarono

all'abbattimento degli alberi e aprirono una strada per consentir loro un varco. Misero a disposizione il mercato, per

quanto permettessero le loro scorte; poi li accompagnarono per tre giorni, finché non li lasciarono ai confini dei Colchi.

9 Sulla zona torreggiava un monte, dove erano schierati i Colchi. In un primo tempo i Greci opposero la falange, quasi

che fossero intenzionati a muovere verso il monte imponente ma accessibile, ma poi gli strateghi decisero di riunirsi per

scegliere la tattica di combattimento migliore.

10 Senofonte dunque propose di disfare la falange e proseguire il cammino formando colonne con i lochi. La

falange infatti era destinata a scompaginarsi sùbito, perché la marcia lungo il pendio si sarebbe rivelata in alcuni punti

impossibile, in altri spedita. Questo avrebbe sùbito disorientato i soldati quando, disposti in linea, avessero visto lo

schieramento disunirsi. 11 «Inoltre», proseguì, «se avanziamo con la falange disposta su diverse file, il fronte nemico

risulterà più ampio del nostro, per cui i Colchi potranno servirsi come meglio credono delle truppe eccedenti sulle ali.

Ma anche se la allineassimo su poche file, non sarebbe certo strano che la falange andasse in pezzi sotto l'urto dei

nemici e il nugolo di proiettili. Basta che la linea ceda in un punto e saranno dolori per tutta quanta la falange. 12

Insomma, sono dell'avviso di schierarci in colonne e di tener ben distanziati i lochi, coprendo un settore così largo da

permettere alle nostre truppe che sono alle estremità di trovarsi al di là delle ali nemiche. Così i nostri lochi alle

estremità saranno più larghi del fronte nemico; inoltre, se muoviamo incolonnati, le nostre truppe scelte saranno le

prime a venire alle mani e, tra l'altro, ogni locago guiderà i suoi scegliendo la via più agevole. 13 Quanto allo spazio

intermedio tra i reparti, i nemici non avranno buon gioco a incunearvisi, perché rimarranno chiusi dai lochi a sinistra e a

destra, né poi è semplice spezzare una formazione che avanza in colonna. Nel caso che uno dei lochi si trovi in

difficoltà, il reparto vicino correrà in aiuto. E se uno solo dei lochi raggiungerà la vetta, ecco che nessuno dei nemici

terrà più la propria posizione».

14 La proposta fu approvata e disposero i lochi in colonna. Senofonte si spostò dall'ala sinistra verso l'ala

destra e parlò ai soldati: «Uomini, i nemici che vedete rappresentano l'ultimo ostacolo. Se non fosse per loro, ci

troveremmo già nel paese che da tanto tempo agognamo. Questa gente qui, se ci riusciamo, dobbiamo mangiarcela

anche cruda».

15 Ciascun comandante prese il proprio posto e i lochi vennero incolonnati: i lochi di opliti assommavano a

un'ottantina, ciascuno composto da circa cento soldati. I peltasti e gli arcieri invece si divisero in tre reparti, ciascuno

intorno alle seicento unità, prendendo posizione uno all'esterno dell'ala sinistra, l'altro al di là dell'ala destra, il terzo al

centro. 16 Quindi gli strateghi trasmisero lungo la linea l'ordine di far voto agli dèi di un sacrificio: dopo la preghiera e

il peana, mossero. Chirisofo e Senofonte con i loro peltasti avanzarono tenendosi all'esterno del fronte nemico. 17 Gli

avversari, come li videro, presero a correre contro i Greci, parte contro l'ala destra, parte contro l'ala sinistra, spaccando

così la propria linea e lasciando al centro un gran vuoto. 18 I peltasti del contingente arcade, guidati da Eschine

d'Acarnania, pensarono che il nemico voltasse le spalle, per cui si misero a correre tra alte grida. Per primi occupano il

monte. Sùbito dietro veniva anche il reparto degli opliti arcadi, agli ordini di Cleanore d'Orcomeno. 19 I nemici, come

cominciarono a correre non si fermarono più, ma, sparsi, fuggirono.

I Greci, superata la vetta, si accamparono in molti villaggi che avevano viveri in abbondanza. 20 Per il resto

non si verificò nulla di singolare, se non in un caso: nella zona c'erano parecchi sciami d'api, e i soldati che ne

mangiavano il miele perdevano tutti la ragione, vomitavano, soffrivano di diarrea, non riuscivano a reggersi in piedi.

Chi lo aveva solo assaggiato, somigliava a un ubriaco fradicio; chi invece se ne era rimpinzato, sembrava pazzo o

addirittura in punto di morte. 21 Così molti giacevano a terra, quasi che l'esercito avesse subìto una sconfitta: grande

era lo scoramento. Ma il giorno successivo non era morto nessuno e, più o meno alla stessa ora, ripresero i sensi. Il terzo

o il quarto giorno erano già in piedi, come se si fosse trattato di un'intossicazione.

22 Da qui percorsero, in due tappe, sette parasanghe e giunsero al mare, a Trapezunte, una popolosa città greca

sul Ponto Eusino, colonia di Sinope nella terra dei Colchi. Vi rimasero una trentina di giorni, alloggiati nei villaggi dei

Colchi. 23 Da qui, con rapide puntate, razziavano la Colchide. La popolazione stessa di Trapezunte aprì il suo mercato

all'esercito e accolse i Greci con i doni ospitali: buoi, farina, vino. 24 I Greci ebbero contatti anche con i Colchi più

vicini, soprattutto con le genti che abitavano in pianura: anche da loro ricevettero buoi come segno di ospitalità.

25 Dopo di che, si prepararono a celebrare il sacrificio promesso: erano arrivati buoi in numero sufficiente per

una cerimonia di ringraziamento in onore di Zeus Salvatore, di Eracle che li aveva condotti in salvo e delle altre divinità

alle quali avevano fatto voto. Istituirono anche un agone ginnico sul monte su cui avevano piantato le tende. Per.38

preparare il campo di corsa e sovrintendere ai giochi scelsero Dracontio, uno spartiata, esule fin da ragazzo perché

aveva ucciso involontariamente un coetaneo con un colpo di falcetto.

26 Terminato il rito, consegnarono a Dracontio le pelli delle vittime e lo invitarono a guidare tutti alla pista

tracciata, lungo la quale si doveva svolgere la corsa. Ma Dracontio mostrò il luogo stesso in cui si trovavano. «Questo

colle», disse, «è perfetto per correre, qualsiasi direzione si voglia prendere». «Ma come si potrà gareggiare nella lotta»,

domandarono gli altri, «su un terreno così duro e pieno di sterpi?». Ribatte: «Peggio per chi cadrà». 27 I ragazzi - per la

maggior parte prigionieri - si cimentarono nella corsa sulla distanza di un stadio, sessanta Cretesi o più gareggiarono nel

dolico, altri preferirono la lotta, il pugilato, il pancrazio. Fu un bello spettacolo: molti infatti scesero in campo e,

siccome gli spettatori erano i compagni, sorse una grande emulazione. 28 Non mancò la corsa dei cavalli: bisognava

lanciarli al galoppo giù per la china, arrivare al mare e quindi ritornare fino all'altare. Durante la discesa molti non

fecero che ruzzolare; al ritorno invece, dato il pendio ripidissimo, i cavalli non riuscivano neppure a salire al passo, tra

grida, risate, incitamenti.

LIBRO V

1

1 [Le azioni che i Greci compirono durante la spedizione con Ciro e nel corso del viaggio fino alle coste del

Ponto Eusino, in che modo raggiunsero la città greca di Trapezunte e come, non appena messo piede in terra amica,

celebrarono i sacrifici di ringraziamento per la raggiunta salvezza, è tutto esposto nel racconto precedente.]

2 Quindi si riunirono per deliberare sulla strada che restava da percorrere. Si alzò per primo Leone di Turi e si

espresse così: «Soldati, sono stanco di preparare bagagli, di marciare, correre, e di tener le armi in spalla e stare in riga e

poi dei turni di guardia e di battaglie. Adesso che siamo arrivati al mare, voglio solo liberarmi di questi strapazzi,

starmene su una nave per il resto del viaggio, fino in Grecia, sdraiato sulla tolda come Odisseo». 3 Nell'udire le sue

parole, i soldati proruppero: «Ha ragione!». Un altro ripeté un discorso dello stesso tono, come pure tutti i soldati che

intervennero dopo di lui. 4 Quindi si levò Chirisofo e disse: «Uomini, ho un amico, Anassibio, che adesso è navarco.

Se mi manderete da lui, sono convinto di tornare con triremi e navi per il nostro trasporto. Visto che volete proseguire

per mare, aspettate fino al mio rientro. Sarò di nuovo qui tra breve». Allora i soldati, udite le sue parole, si rallegrarono

e votarono che Chirisofo salpasse al più presto.

5 Dopo di lui si alzò Senofonte e prese la parola: «Chirisofo dunque va in cerca di imbarcazioni, noi lo

aspetteremo. Voglio dunque spiegarvi che cosa ci conviene fare durante l'attesa. 6 Primo, dobbiamo rifornirci di

vettovaglie in terra nemica: il mercato che ci forniscono qui non è sufficiente e poi, quanto a denaro, noi, eccetto pochi,

non guazziamo nell'abbondanza. Siamo però in terra nemica, per cui c'è rischio che molti muoiano, se vi sposterete in

cerca di viveri senza precauzioni e sorveglianza. 7 A parer mio, se volete aver salva la vita, bisogna procedere alla

raccolta delle vettovaglie organizzando squadre di foraggiatori e non vagando a caso. Sarà compito nostro curare ogni

dettaglio». La proposta venne accolta.

«State ancora a sentire. 8 Alcuni si allontaneranno dal campo per depredare. Per noi è meglio, credo, che

chiunque voglia uscire ce lo comunichi e ci indichi la direzione che prende. Così avremo un quadro preciso di chi è

fuori e di chi è rimasto al campo, potremo prepararci in caso di necessità, sapremo dove dirigerci se la situazione

richiederà il nostro intervento e, se qualcuno dei più inesperti volesse tentare un attacco contro qualche zona, gli daremo

consigli, cercando di appurare la consistenza delle forze contro cui intende muovere». Anche questa proposta fu

approvata.

9 «Considerate ancora. I nemici hanno tutto il tempo di depredarci, come pure è normale che ci tendano

imboscate, perché ci siamo appropriati dei loro beni. E si tengono in agguato sulle alture. A mio avviso, bisogna

dislocare sentinelle intorno all'accampamento: se sorvegliamo a turno [divisi] e teniamo gli occhi aperti, per loro sarà

più complicato prenderci in trappola.

Tenete presente ancora un punto. 10 Se sapessimo per certo che Chirisofo porterà navi in numero sufficiente,

le parole che sto per dirvi sarebbero inutili. Ma, nell'incertezza, mi pare il caso di darci da fare per procurarci

imbarcazioni anche sul posto. Se infatti Chirisofo giungerà con le navi, grazie alle barche trovate qui navigheremo con

una flotta più numerosa. In caso contrario, useremo le imbarcazioni reperite in zona. 11 Vedo spesso delle navi da

carico costeggiare il litorale: potremmo chiedere ai Trapezunti le loro navi da guerra, catturare quelle navi da carico e

tenerle in rada sotto custodia, dopo aver tolto i timoni, finché non ne avremo in numero sufficiente per salpare. Così

forse non ci mancheranno i mezzi di trasporto di cui abbiamo bisogno». Anche questa mozione passò.

12 «Valutate», continuò, «se non sia giusto mantenere, a spese del fondo comune, gli equipaggi che rimarranno

a terra, per tutto il tempo che resteranno a nostra disposizione, pattuendo un prezzo per il nolo delle navi, in modo che il

profitto sia reciproco». Anche questo parere fu approvato.

13 «Se non riuscissimo a procurarci un numero adeguato di navi», soggiunse, «mi pare il caso di imporre alle

città del litorale di riparare le strade che, a quel che sentiamo, non sono facilmente transitabili. Obbediranno sia per

timore sia per vivo desiderio di liberarsi di noi»..39

14 Allora presero a gridare che non bisognava più mettersi in marcia. Senofonte, non appena comprese la loro

insensatezza, non mise neppure la proposta ai voti, ma convinse le città a riparare di loro iniziativa le strade, spiegando

che si sarebbero liberate di loro prima, se le vie fossero state transitabili. 15 Ricevettero anche una pentecontere dai

Trapezunti e la affidarono a Dessippo, un perieco lacone. Costui, tutt'altro che preoccupato di raccogliere nuove

imbarcazioni, prese la fuga e uscì dal Ponto, con la nave. Pagò comunque il prezzo della sua colpa, più tardi: quando era

in Tracia, invischiato in loschi traffici alla corte di Seute, venne ammazzato per mano di Nicandro il lacone. 16

Ricevettero anche una triacontere, cui fu preposto l'ateniese Policrate, che ricondusse all'accampamento tutte le navi che

gli riuscì di catturare. Se portavano un carico, veniva sbarcato e posto sotto sorveglianza perché rimanesse intatto; le

navi stesse poi venivano impiegate per veleggiare sotto costa. 17 In quell'arco di tempo, i Greci compirono ripetute

scorrerie, ora fruttuose, ora no. Cleeneto, che durante una sortita alla testa del suo e di un altro loco si era spinto contro

una postazione ben munita, trovò la morte insieme a molti dei suoi.

2

1 Visto che non c'era più la possibilità di rifornirsi di vettovaglie rientrando al campo prima che calassero le

tenebre, Senofonte, accompagnato da guide dei Trapezunti, condusse contro i Drili una metà dell'esercito e lasciò l'altra

metà di guardia all'accampamento. I Colchi infatti, poiché erano stati scacciati dalle loro case, si erano raccolti in gran

numero e avevano preso il controllo delle alture. 2 I Trapezunti non guidavano i Greci dove avrebbero potuto trovare i

viveri con facilità: erano terre amiche. Si premuravano di condurli, piuttosto, nella regione dei Drili - un popolo che li

vessava - attraverso zone montane e impervie, contro le genti più bellicose del Ponto.

3 Quando i Greci erano ormai nel cuore del paese, i Drili cominciarono a dar fuoco a tutte le roccaforti

giudicate espugnabili e a ritirarsi. Non rimaneva niente da razziare, tranne qualche maiale, bue o bestiame d'altro genere

che era scampato alle fiamme. C'era un solo baluardo, la loro metropoli: lì si erano asserragliati tutti. Attorno correva un

burrone fortemente scosceso, per cui l'accesso alla roccaforte risultava arduo. 4 I peltasti, che precedevano di cinque o

sei stadi gli opliti, dopo aver superato il burrone, videro un'infinità di armenti e di altre ricchezze e si precipitarono

contro la fortezza. Li seguiva anche un nutrito gruppo di dorifori, che si erano spinti in cerca di vettovaglie: così, già più

di duemila uomini avevano superato il burrone. 5 Poiché, nonostante gli assalti, non erano riusciti a espugnare la

fortezza (c'era un largo fossato lungo tutto il perimetro, una palizzata sul terrapieno e torri di legno a breve intervallo

l'una dall'altra), cercarono di ripiegare, ma i nemici li aggredirono. 6 Siccome non potevano correre durante la ritirata,

perché dalla fortezza fino al burrone dovevano scendere in fila per uno, mandarono un messo a Senofonte, che marciava

alla testa degli opliti. 7 Appena giunto, il messo spiegò a Senofonte che il forte era pieno di ricchezze d'ogni sorta: «Ma

non riusciamo a espugnarlo, è ben munito; neppure la ritirata è facile; i nemici ci attaccano con sortite e la discesa è

difficoltosa».

8 Allora Senofonte condusse gli opliti fino al burrone e ordinò loro di deporre le armi. Si recò di persona al di

là del burrone e, insieme ai locaghi, operò un sopralluogo, per vedere se fosse meglio ritirare i soldati che si trovavano

già oltre il burrone oppure condurre sull'altro versante anche gli opliti, nella convinzione che la fortezza potesse cadere.

9 Si valutò che una ritirata fosse possibile solo a prezzo di pesanti perdite; il forte invece, anche a giudizio dei locaghi,

fu considerato espugnabile. Senofonte aderì al loro parere, fidando nei responsi delle vittime sacrificate. Gli indovini

infatti avevano predetto battaglia, ma con felice epilogo. 10 Inviò i locaghi per far passare gli opliti al di qua del

burrone; dal canto suo, rimase sul posto e ordinò il ripiegamento di tutti quanti i peltasti, vietando tassativamente ogni

scontro col nemico. 11 Quando giunsero gli opliti, comandò a ciascun locago di schierare il proprio loco come meglio

credesse: si trovavano gomito a gomito proprio i locaghi che erano costantemente in lizza per la palma del valore. 12

Eseguirono l'ordine. Senofonte invece trasmise ai peltasti l'ordine di avanzare con i giavellotti in pugno, pronti a

scagliarli al segnale, mentre gli arcieri dovevano tener le frecce incoccate per saettare ai primi squilli di tromba e i

gimneti portare con sé i sacchetti pieni di pietre. A controllare i preparativi mandò persone adatte allo scopo.

13 Quando tutto era stato approntato e avevano ormai preso posizione i locaghi e i loro vicecomandanti e gli

altri che non si ritenevano da meno, i loro sguardi cominciarono a incrociarsi: per la conformazione del forte infatti lo

schieramento era a falce di luna. 14 Poi intonarono il peana, si udì lo squillo di tromba e, all'unisono, gli opliti levarono

il grido di guerra in onore di Enialio e scattarono. In un unico istante si abbatté sul nemico un nugolo di proiettili: lance,

frecce, pietre, la maggior parte delle quali scagliate a mano. Ci fu anche chi lanciò tizzoni infuocati. 15 La pioggia di

proiettili costrinse i nemici a evacuare palizzata e torri. Agasia di Stinfalo e Filosseno di Pellene posarono a terra le loro

armi e proseguirono l'avanzata, con indosso i soli chitoni. Si tiravano su l'un l'altro, mentre un terzo era già arrivato in

cima. La fortezza era caduta, si pensava.

16 I peltasti e i soldati armati alla leggera irruppero nella fortezza e fecero man bassa, ciascuno più che poteva.

Senofonte, fermo davanti alla porta delle mura, cercava di trattenere all'esterno il maggior numero di opliti: avevano

avvistato altri nemici su alcune alture, in posizione difficile da attaccare. 17 Non passò molto, che si levarono alte grida

dall'interno e cominciò un fuggi fuggi: c'era chi teneva stretto tra le mani il bottino raccolto, ma ben presto comparve

anche qualche ferito. Alle porte si creò gran ressa. Alle domande, chi si slanciava all'esterno rispondeva che dentro c'era

una rocca e una moltitudine di nemici, che con una sortita avevano aggredito i Greci entro le mura. 18 Allora Senofonte

ordinò a Tolmide l'araldo di proclamare che entrasse pure in città chi voleva darsi al saccheggio. A quel punto molti si

riversano dentro e la fiumana di gente travolge quelli che stavano scappando fuori; così costringono di nuovo i nemici a.40

rinserrarsi nella rocca. 19 Quanto si trovava all'esterno della rocca stessa venne depredato e i Greci lo portarono via.

Gli opliti sostarono deponendo a terra le armi, chi nei pressi dello steccato, chi lungo la via che portava all'ultimo

baluardo. 20 Senofonte e i locaghi valutarono se fosse possibile espugnarlo: in tal caso la salvezza sarebbe stata certa,

altrimenti la ritirata appariva oltremodo ostica. Dopo aver analizzato la situazione, giudicarono che la rocca fosse

assolutamente inattaccabile.

21 Allora cominciarono a preparare il ripiegamento. Ognuno iniziò a svellere i pali che aveva di fronte a sé. I

locaghi allontanarono gli infermi, i portatori di bagagli e il grosso degli opliti, lasciando sul posto solo i soldati su cui

ciascuno nutriva piena fiducia. 22 Una volta che i Greci diedero il via alla ritirata, un gran numero di nemici balzò

fuori, armati di scudi di vimini, lance, schinieri e elmi di foggia paflagonica; altri salirono sui tetti delle case situate sui

due lati della strada che conduceva alla rocca. 23 A quel punto rappresentavano una grave insidia anche le incursioni

verso le porte che davano l'accesso al baluardo: i nemici, infatti, gettavano dall'alto grosse travi di legno, per cui era

rischioso tanto rimanere fermi quanto muoversi. E la notte imminente era fonte di paura.

24 Mentre continuano a lottare non sapendo che partito prendere, ecco che un dio offre loro una via d'uscita.

Improvvisamente le fiamme cominciarono a divampare in una casa sul lato destro, perché qualcuno certamente - chissà

chi - le aveva dato fuoco. Non appena l'edificio si abbatté, i nemici fuggirono da tutte le case che sorgevano sulla destra.

25 Senofonte fece tesoro della lezione impartita dalla sorte e ordinò di incendiare anche le case sul lato sinistro, che

erano di legno, per cui il fuoco attecchì in un attimo. Perciò anche i nemici che erano sui tetti, da questo lato, presero la

fuga. 26 Gli unici fastidi venivano ormai dagli avversari schierati davanti all'ingresso ed era chiaro che, non appena i

Greci avessero dato inizio al ripiegamento e alla discesa, sarebbero piombati loro addosso. Allora, a chi si trovava fuori

tiro, Senofonte dirama l'ordine di portar legna nella zona compresa tra loro e i nemici. Quando fu raccolta in quantità

sufficiente, le diedero fuoco; bruciarono anche le case lungo la palizzata, per tener lì occupato il nemico. 27 Così, a

stento, si ritirarono dalla fortezza, creando uno sbarramento di fuoco tra loro e i nemici. Avvampò in preda alle fiamme

tutta la città, con case, torri, steccato e tutto il resto, salvo la rocca.

28 Il giorno successivo i Greci si allontanarono con i viveri. Siccome si nutrivano timori per la discesa verso

Trapezunte, dove la strada era in ripido pendio e stretta, predisposero una finta imboscata. 29 Un Misio - Misio di

stirpe e di nome - prese con sé dieci Cretesi e si appostò nella macchia: fingevano di voler passar inosservati agli occhi

del nemico, ma lasciavano balenare, a tratti, gli scudi, che erano di bronzo. 30 I nemici, scorgendo i bagliori, temevano

un'imboscata: intanto l'esercito greco procedeva nella discesa. Quando i Greci giudicarono di aver ormai un vantaggio

sufficiente, diedero al Misio il segnale di fuggire a gambe levate. Il Misio balzò fuori e scappò via, seguito dai suoi. 31

I Cretesi, urlando che li stavano raggiungendo, deviarono dalla strada per gettarsi a capofitto nella boscaglia, dove,

precipitando a ruzzoloni di pianoro in pianoro, riuscirono a mettersi in salvo. Il Misio invece continuò la fuga lungo la

strada, gridando aiuto. 32 Venne soccorso e tratto in salvo, benché ferito. I soccorritori ripiegarono passo a passo con la

fronte rivolta verso i nemici, sotto il loro tiro, mentre alcuni Cretesi rispondevano saettando. Così giunsero

all'accampamento, tutti sani e salvi.

3

1 Poiché Chirisofo non era ancora rientrato e navi non ce n'erano a sufficienza ed era venuta meno la

possibilità di vettovagliamento, si decise di partire. Imbarcarono gli infermi, gli uomini sopra i quarant'anni, i bambini,

le donne e tutti i bagagli non strettamente indispensabili. Salirono a bordo anche gli strateghi più anziani, Filesio e

Sofeneto, con l'incarico di dirigere le operazioni. Il resto dell'esercito si mise in cammino: la strada era ormai agibile. 2

Il terzo giorno di marcia giunsero a Cerasunte, città greca sul mare, colonia di Sinope nella Colchide. 3 Vi rimasero

dieci giorni, durante i quali procedettero alla rassegna e alla conta degli opliti: erano ottomilaseicento. Ecco quanti

erano sopravvissuti. Gli altri erano morti per mano nemica oppure assiderati e qualcuno di malattia.

4 Qui divisero il denaro ricavato dalla vendita dei prigionieri. La decima parte, riservata ad Apollo e Artemide

efesia, venne distribuita in parti uguali a ciascun stratego, che doveva custodirla per le divinità. La parte di Chirisofo fu

affidata a Neone di Asine. 5 Senofonte dunque fece preparare il dono votivo e lo consacrò al tesoro degli Ateniesi in

Delfi, dopo avervi fatto incidere il proprio nome e quello di Prosseno, morto insieme a Clearco: era infatti legato a lui

da vincoli di ospitalità. 6 Quanto alla parte spettante ad Artemide efesia, Senofonte, al momento della sua partenza

dall'Asia con Agesilao alla volta della Beozia, la lasciò a Megabizo, neocoro del tempio di Artemide, perché pensava

che nel viaggio imminente sarebbe andato incontro a molti pericoli. Incaricò Megabizo di restituirgli il denaro, se fosse

uscito illeso dal viaggio; se invece gli fosse capitato qualcosa, doveva offrire in dono votivo ad Artemide l'oggetto che

stimava più gradito alla dea.

7 Da quando Senofonte era in esilio, abitava a Scillunte, su un terreno concesso dagli Spartani [presso

Olimpia]; Megabizo, che si era recato a Olimpia per assistere ai giochi, va da lui e gli riconsegna la somma depositata.

Con tale denaro Senofonte compra una tenuta per la dea, nel luogo indicato da Apollo. 8 Si dava il caso che, attraverso

la tenuta, scorresse il fiume Selinunte. E anche in Efeso, accanto al tempio di Artemide, scorre un fiume chiamato

Selinunte. In entrambi i corsi d'acqua vivono pesci e molluschi. Nel terreno di Scillunte poi si trovano riserve di caccia,

con selvaggina d'ogni specie. 9 Con il denaro consacrato alla divinità, Senofonte costruì anche un altare e un tempio, e

per il tempo a venire, anno per anno, offrì in sacrificio alla dea la decima dei frutti della terra: tutti i concittadini, gli

uomini e le donne delle vicinanze partecipavano alla festa. A chi si attendava nella tenuta, la dea distribuiva farina,.41

pane, vino, leccornie, una porzione delle vittime sacrificate, provenienti dal pascolo consacrato alla dea, nonché

selvaggina cacciata. 10 In occasione della festa i figli di Senofonte e degli altri abitanti della città organizzavano una

battuta di caccia, cui si univa chiunque ne avesse piacere, anche gente adulta. Catturavano cinghiali, caprioli, cervi,

parte nel terreno consacrato, parte anche sulle falde del Foloe. 11 La tenuta si trova sulla strada che va da Sparta a

Olimpia, a circa venti stadi dal santuario di Zeus in Olimpia. Nel terreno consacrato si stende una piana e poi ci sono

colline fitte di alberi, dove possono trovar pascolo maiali, capre, buoi e pure cavalli, tanto che perfino le bestie da soma

lì condotte per la festa potevano mangiare a sazietà. 12 Tutt'attorno al tempio era stato piantato un bosco di alberi da

frutta di tutti i generi, che davano ottimi prodotti in ogni stagione. Il tempio somiglia, anche se in piccolo, al santuario di

Efeso, e anche la statua della dea è identica, salvo che è in legno di cipresso anziché in oro, come a Efeso. 13 E una

stele si erge accanto al tempio, con incisa l'iscrizione: IL LUOGO È CONSACRATO AD ARTEMIDE. CHI NE È

PROPRIETARIO E NE GODE I FRUTTI, DEVE OFFRIRE IN SACRIFICIO LA DECIMA OGNI ANNO. COL

RESTO SI PRENDA CURA DEL TEMPIO. SE NON SI OSSERVERÀ QUANTO PRESCRITTO, SARÀ LA DEA A

PROVVEDERE.

4

1 Da Cerasunte proseguì per mare chi già in precedenza aveva viaggiato su nave. Gli altri s'incamminarono via

terra. 2 Quando giungono ai confini dei Mossineci, alla gente del luogo inviano Timesiteo di Trapezunte, prosseno dei

Mossineci, per domandare se, al loro passaggio, li avrebbero considerati amici o nemici. I Mossineci, fidando nelle loro

fortezze, risposero che non avrebbero concesso via libera. 3 Allora Timesiteo spiega che i Mossineci erano un popolo

diviso da rivalità e che le genti del versante opposto erano nemiche di queste. Si decise di convocare gli altri Mossineci,

per saggiare un'eventuale disponibilità a stringere alleanza. Venne inviato Timesiteo, che ritornò insieme ai loro capi. 4

Una volta giunti, i capi dei Mossineci e gli strateghi greci si riunirono. Prese la parola Senofonte, con Timesiteo

interprete:

5 «Mossineci, è nostro desiderio tornare in Grecia sani e salvi, a piedi, perché non abbiamo navi. Ma ci

sbarrano il passo genti che, ci è giunta voce, sono vostre nemiche. 6 Se siete d'accordo, vi si presenta l'opportunità di

stringere un'alleanza con noi, di vendicarvi delle loro offese, se mai ne avete patite, e tenere d'ora in avanti i nemici

sotto il vostro tallone. 7 Se ci respingerete, pensate bene da dove vi potrà capitare, una seconda volta, un alleato così

potente». 8 Alle sue parole il capo dei Mossineci si dichiarò d'accordo e accettò l'alleanza. 9 «Su allora», proseguì

Senofonte, «che cosa possiamo fare per voi, una volta che saremo vostri alleati? E voi, come potrete darci una mano,

per aiutarci nell'attraversare la regione?». 10 Ecco la risposta: «Siamo in grado di attaccare alle spalle il paese del

nostro comune nemico e di inviarvi qui navi e uomini che vi appoggino nei combattimenti e vi indichino la via».

11 Quindi, scambiati i pegni di fedeltà, si allontanarono. Il giorno seguente erano di ritorno con trecento canoe,

ciascuna ricavata da un solo tronco, che portava tre uomini: da ognuna ne scesero due e presero posto nello

schieramento, armi a terra, mentre il terzo rimase a bordo. 12 Poi ciascuno si allontanò con la propria canoa. Gli uomini

rimasti a terra assunsero la formazione seguente: in fila per cento, gli uni di fronte agli altri, proprio come i cori che a

teatro si fronteggiano, dotati tutti di scudi di vimini rivestiti di pelli bianche di bue, a forma di foglia d'edera. Nella

destra impugnavano un giavellotto di circa sei cubiti, che in cima era a punta e in fondo terminava a mo' di sfera. 13

Avevano indosso chitoni corti che arrivavano quasi all'altezza delle ginocchia, di spessore simile ai sacchi di lino usati

per le coperte. Sul capo portavano elmi di cuoio di foggia paflagonica, con un pennacchio al centro, molto simili a tiare.

Erano dotati anche di asce di ferro. 14 A un certo punto uno di loro cominciò a intonare un canto, e tutti quanti gli altri

si misero in marcia, cantando a ritmo cadenzato. Dopo aver oltrepassato le file dei Greci e l'accampamento, si diressero

sùbito contro i nemici, puntando verso una fortezza che sembrava facilissima da conquistare. 15 Si trovava proprio di

fronte [alla città,] alla cosiddetta Metropoli, che sorgeva nel punto più elevato del paese dei Mossineci. La ragione del

conflitto tra le due fazioni dei Mossineci dipendeva proprio da questo forte: chi di volta in volta ne aveva il controllo,

era considerato signore di tutta la nazione. E i Mossineci loro alleati sostenevano che gli avversari lo tenevano contro

giustizia e, dopo essersi appropriati di un bene comune a tutto il popolo, adesso avevano il sopravvento.

16 Anche alcuni Greci si accodarono ai Mossineci - non dietro ordine degli strateghi - per darsi alle razzie. I

nemici, finché gli altri avanzavano, rimasero tranquilli, ma non appena li videro nei pressi della fortezza, con una sortita

li misero in rotta e massacrarono parecchi barbari e alcuni Greci che si erano uniti alla spedizione, protraendo

l'inseguimento finché non avvistarono gli altri Greci che correvano a dar manforte. 17 Allora cambiarono direzione e

tornarono indietro: tagliarono le teste dei cadaveri e le mostrarono ai Greci e ai propri nemici, danzando e intonando

canzoni con un certo loro ritmo. 18 I Greci montarono su tutte le furie, perché avevano reso i nemici più baldanzosi e

perché i loro compagni, che pure si erano uniti in gran numero ai Mossineci, avevano battuto in ritirata, fatto mai

verificatosi in precedenza nel corso della spedizione. 19 Senofonte convocò i Greci e disse: «Soldati, non lasciatevi

scoraggiare dall'accaduto. Sappiate infatti che è un male, ma al tempo stesso anche un bene. 20 Primo, adesso siete

sicuri che le guide che ci faranno strada sono davvero nemiche della gente che, giocoforza, è pure nostra avversaria.

Secondo, chi dei Greci ha trascurato di rispettare il nostro schieramento, convinto di poter ottenere, insieme ai barbari,

gli stessi risultati raggiunti con noi, ha avuto quel che merita: d'ora in avanti ci penserà due volte prima di abbandonare

le nostre file. 21 Dovete mettervi nella condizione di dare anche ai barbari nostri alleati l'idea di essere migliori di loro.42

e di dimostrare ai nemici che d'ora in avanti non combatteranno più con gli stessi uomini senza disciplina che hanno

affrontato in passato».

22 Così trascorsero la giornata. L'indomani celebrarono un sacrificio che diede responso favorevole. Quindi,

dopo aver fatto colazione, si schierarono incolonnati e disposero sulla sinistra i barbari con lo stesso assetto.

S'incamminarono, tenendo gli arcieri all'interno delle schiere [incolonnate], un po' arretrati rispetto alla linea degli

opliti. 23 Tra i nemici c'erano dei soldati armati alla leggera, che correvano verso il basso contro i Greci e li

tempestavano di pietre. Gli arcieri e i peltasti li costrinsero a ripiegare. Il resto dell'esercito greco procedeva al passo,

direttamente contro la fortezza da cui, il giorno prima, erano stati respinti i barbari e gli uomini al loro séguito: qui

infatti erano schierati frontalmente i nemici. 24 I barbari ressero all'urto dei peltasti e ingaggiarono un combattimento,

ma, non appena si fecero sotto gli opliti, volsero le spalle. I peltasti si lanciarono immediatamente all'inseguimento, su,

verso la città, mentre gli opliti tenevano dietro in ordine serrato. 25 Quando i Greci giunsero in cima, alle case della

Metropoli, i nemici, che si erano riorganizzati, ripresero a lottare, scagliavano giavellotti e, brandendo anche un altro

genere di picche, lunghe e grosse tanto che un uomo da solo avrebbe potuto reggerne una a stento, cercavano di evitare i

colpi nei corpo a corpo. 26 Ma poiché i Greci non demordevano, anzi si facevano sotto compatti, i barbari presero la

fuga e, a quel punto, tutti in massa abbandonarono la fortezza. Il loro re, che abitava nella torre di legno costruita nel

punto più alto della roccaforte, dove lo mantenevano a spese dello stato e lo proteggevano, non voleva venir fuori, come

pure il capo della fortezza conquistata in precedenza. Per cui vennero arsi vivi lì sul posto, divorati dal fuoco insieme

alle torri.

27 I Greci, durante il saccheggio, trovarono nelle case depositi di pane accatastato, che si passavano di padre in

figlio, secondo quanto sostenevano i Mossineci. C'era anche del grano nuovo, tenuto in disparte ancora in spighe: si

trattava per lo più di spelta. 28 Vennero scovati anche pezzi di delfino, conservati in anfore e sotto salamoia, nonché

vasi di grasso di delfino: i Mossineci lo impiegano come i Greci l'olio. 29 Nei solai c'era una gran quantità di noci,

piatte e senza alcuna fessura. Bollite o abbrustolite come pani, costituivano il loro piatto di base. Trovarono anche del

vino, che, se non veniva mescolato, aveva un sapore acidulo per via della sua asprezza, ma bastava mischiarlo con

acqua e diventava profumato e gradevole.

30 I Greci dunque pranzarono e ripresero ad avanzare, dopo aver consegnato la fortezza ai Mossineci che si

erano battuti al loro fianco. Quanto a tutte le altre piazzeforti in mano nemica, davanti alle quali transitarono, le meno

salde vennero abbandonate, in altre invece gli avversari si arresero spontaneamente. 31 La maggior parte delle fortezze

aveva la seguente struttura: le città distavano l'una dall'altra ottanta stadi, quale più, quale meno. Se si chiamavano con

forti grida, potevano udirsi da una città all'altra, tanto la zona era elevata e a forma di conca. 32 Quando, a forza di

marciare, giunsero in regioni amiche, furono mostrati loro i figli dei notabili della zona, bambini ingrassati e nutriti con

noci bollite: erano obesi, bianchissimi, poco ci mancava che fossero tanto larghi quanto alti, avevano le spalle e il torace

completamente tatuati con fiori variopinti. 33 Cercavano anche di accoppiarsi - lì davanti a tutti, perché da loro usa così

- con le prostitute al séguito dei Greci. Tutti, uomini e donne, hanno la pelle bianca. 34 Secondo i soldati che avevano

seguito la spedizione, si trattava del popolo più barbaro mai incontrato e più lontano dai costumi greci. In mezzo agli

altri, infatti, facevano ciò che gli altri uomini avrebbero fatto in privato, mentre quando erano soli si comportavano

come se fossero tra la gente, parlavano tra sé e sé, ridevano da soli, si fermavano dove capitava per ballare, come se

volessero esibirsi davanti ad altri.

5

1 Attraverso il paese, ora in regioni nemiche ora in terre amiche, i Greci coprirono otto tappe, fino a pervenire

nelle terre dei Calibi, gente poco numerosa e soggetta ai Mossineci che per la maggior parte traeva di che vivere dalla

lavorazione del ferro.

Da qui raggiunsero i Tibareni. 2 La loro regione era molto più pianeggiante; nella fascia costiera sorgevano

fortezze meno salde. Gli strateghi volevano attaccare le piazzeforti, perché l'esercito traesse guadagno dal bottino.

Perciò non accolsero i doni ospitali da parte dei Tibareni, ma invitarono i messi ad attendere le loro decisioni e

celebrarono un sacrificio. 3 Dopo che ebbero immolato molte vittime, alla fine gli indovini, concordi, diedero il

responso che gli dèi non approvavano assolutamente la guerra. Allora accolsero i doni ospitali e, dopo due giorni di

marcia in terra amica, giunsero a Cotiora, città greca e colonia di Sinope nella regione dei Tibareni.

4 [Fin qui l'esercito si era mosso a piedi. La distanza dal campo di battaglia presso Babilonia fino a Cotiora era

di seicentoventi parasanghe, ossia diciottomilaseicento stadi, percorsi in centoventidue tappe, per un totale di otto mesi.]

5 Lì rimasero quarantacinque giorni, durante i quali prima di tutto immolarono vittime in onore degli dèi,

fecero processioni divisi per ciascuna etnia greca e organizzarono giochi ginnici. 6 Quanto ai viveri, parte se li

procurarono in Paflagonia, parte li depredarono nei campi dei Cotioriti, che non aprivano i loro mercati e non

accoglievano dentro le mura neppure gli infermi.

7 Nel frattempo giungono da Sinope emissari, spaventati sia per la città di Cotiora - era infatti sotto la loro

giurisdizione e gli abitanti versavano ai Sinopei un tributo - sia per la regione, in quanto correva voce che fossero in

corso saccheggi. Arrivati al campo, esposero le loro ragioni; prese la parola Ecatonimo, che aveva fama di valente

oratore: 8 «Ci ha inviato in missione, soldati, la città di Sinope, innanzitutto per rivolgervi le nostre felicitazioni perché

voi, Greci, avete sconfitto dei barbari e poi per condividere la vostra gioia, ora che siete qui sani e salvi, dopo tante.43

terribili traversie, secondo almeno quanto abbiamo udito. 9 Noi, Greci al par vostro, presumiamo di non ricevere da

voi, altri Greci, danni, ma semmai vantaggi. Del resto in nessuna circostanza abbiamo manifestato ostilità nei vostri

confronti. 10 I Cotioriti sono nostri coloni e siamo stati noi a concedere loro queste terre, dopo averle strappate ai

barbari. È il motivo per cui ci versano il tributo fissato, al pari dei Cerasunti e dei Trapezunti. Quindi, il male che

arrecherete loro fate conto di arrecarlo alla città di Sinope. 11 Adesso sentiamo che alcuni di voi, penetrati in città con

la forza, alloggiano nelle case e che voi, sempre con la forza, non con la persuasione, prendete i prodotti della terra di

cui avete bisogno. 12 Non approviamo il vostro comportamento: se persisterete, ci troveremo costretti a stringere

alleanza con Corila, coi Paflagoni e con chiunque altro ce ne dia modo».

13 Senofonte si alzò e, a nome dei soldati, tenne un discorso: «Per quanto riguarda noi, o Sinopei, siamo giunti

fin qui lieti di aver portato in salvo la vita e le armi: non era possibile infatti darci alle razzie e, al tempo stesso,

combattere col nemico. 14 Ma poi siamo giunti a città greche: a Trapezunte - ci hanno aperto il mercato - abbiamo

ottenuto i viveri dietro pagamento e ci siamo premurati di contraccambiare agli onori e ai doni ospitali tributati

all'esercito. E se i Trapezunti avevano degli alleati tra i barbari, ci siamo guardati bene dal danneggiarli. Viceversa, sui

loro nemici, contro cui ci guidavano, abbiamo calato i nostri fendenti con tutta la forza che avevamo in corpo. 15

Chiedete loro come ci siamo comportati: sono ancora qui con noi le guide concesse dalla città di Trapezunte per ragioni

d'amicizia. 16 Ma ogni qualvolta siamo giunti in un posto in cui non ci veniva messo a disposizione il mercato, fosse

terra barbara o greca, ci siamo procurati i viveri non per prepotenza, ma per necessità. 17 I Carduchi, i Taochi, i Caldei,

che pure non erano sottomessi al re, ce li siamo resi nemici anche se incutevano davvero paura, e tutto perché eravamo

costretti a trovare vettovaglie, dato che non ci aprivano i mercati. 18 I Macroni invece, sebbene barbari, ci hanno aperto

il mercato, nei limiti delle loro possibilità. Li abbiamo considerati amici e da loro non abbiamo preso nulla con la forza.

19 Quanto ai Cotioriti, che definite vostri alleati, se hanno subìto estorsioni da parte nostra, la colpa è loro: non

si sono comportati con noi da amici, anzi ci hanno chiuso le porte in faccia, senza lasciarci entrare e senza neppure

aprirci un mercato all'esterno, scaricando poi la colpa del loro atteggiamento sul vostro armosta. 20 Quanto al fatto cui

hai accennato, cioè che i nostri con la forza sono entrati in città e si sono impossessati delle abitazioni, abbiamo ritenuto

giusto che gli infermi trovassero riparo sotto un tetto. E poiché persistevano nel tener sbarrate le porte, siamo penetrati

in un punto della cinta dove si apriva un varco, ma senza commettere atti di violenza. Poi nelle case alloggiano solo i

malati, che si sostentano a proprie spese. Abbiamo posto sentinelle alle porte, perché i nostri infermi non dipendano dal

vostro armosta, ma da noi, così possiamo portarli via quando vogliamo. 21 Noi altri, come vedete, siamo attendati

all'aperto, in bell'ordine, pronti a ricambiare chi volesse accordarci i suoi benefici, come pure a difenderci da chi

intendesse nuocerci.

22 Quanto alla tua minaccia di stringere alleanza, se mai vi piacesse, con Corila e coi Paflagoni contro di noi,

siamo disposti a combattere, se necessario, contro entrambi: abbiamo già affrontato genti ben più numerose di voi. 23

A meno che salti a noi in mente di farci amici i Paflagoni. Ci è giunta voce che hanno messo gli occhi sulla vostra città

e sulle piazzeforti lungo la costa. Ci sforzeremo di conquistare la loro amicizia, garantendo il nostro appoggio per

aiutarli a raggiungere i loro obiettivi».

24 A quel punto si vide con chiarezza che gli altri membri della delegazione erano irritati con Ecatonimo per

quello che ha detto. Uno di loro si fece avanti e spiegò che si erano recati lì non per una dichiarazione di guerra, ma per

manifestare la loro amicizia. «Se verrete alla città di Sinope, vi accoglieremo con doni ospitali. Per ora daremo ordine

alla gente del luogo di offrirvi quanto possono: vediamo infatti che tutte le vostre parole corrispondono a verità». 25

Quindi i Cotioriti inviarono i doni ospitali, mentre gli strateghi greci ospitarono gli emissari di Sinope. Discussero

insieme a lungo e amabilmente e tra le altre cose s'informarono come potessero aiutarsi reciprocamente a proposito del

viaggio che restava da compiere.

6

1 La giornata si concluse così. L'indomani gli strateghi radunarono i soldati. Si conviene di convocare gli

emissari di Sinope per prendere una decisione sul resto del viaggio. Se si doveva compiere il cammino via terra,

pensavano che i Sinopei fossero preziosi, perché conoscevano bene la Paflagonia. Se invece bisognava proseguire per

mare, il loro aiuto pareva addirittura indispensabile: erano ritenuti i soli in grado di fornire imbarcazioni sufficienti per

l'esercito. 2 Convocarono dunque gli emissari e si consultarono con loro: credevano giusto che i Sinopei, in quanto

greci, avessero in primo luogo l'obbligo di accogliere benevolmente altri Greci, di essere ben disposti nei loro confronti

e di consigliarli per il meglio.

3 Ecatonimo si alzò sùbito in piedi e si giustificò per le sue precedenti parole, riguardo a una possibile alleanza

coi Paflagoni: non voleva certo intendere che avrebbero mosso guerra ai Greci, ma che, pur avendo la possibilità di

stringere amicizia coi barbari, avrebbero accordato la loro preferenza ai Greci. 4 E poiché lo sollecitavano a esprimere

il proprio consiglio, invocò gli dèi e disse: «Se riuscissi a suggerire la proposta che mi pare migliore, anche a me

verrebbe tanta prosperità; in caso contrario, tante disgrazie. Mi pare proprio che sia il momento, come suol dirsi, di dare

un sacro consiglio. Se infatti dimostrerò di aver avanzato una buona proposta, saranno in molti a lodarmi; ma nel caso

che la mia proposta si riveli cattiva, sarete in molti a maledirmi. 5 Se vi muoverete per mare, son sicuro che saremo noi

di Sinope ad avere i fastidi maggiori, perché ci toccherà fornirvi le navi; se invece vi sposterete via terra, sarete voi a.44

dover combattere. 6 Ciò nonostante, non posso tacere quel che so, perché conosco bene la regione dei Paflagoni e la

loro potenza. Il paese ha due caratteristiche: splendide pianure e monti altissimi.

7 Prima di tutto, so che penetrare nel territorio è possibile solo per un passaggio obbligato: l'unica via è

attraverso due catene montuose, a picco sulla strada. Mantenendo il controllo delle alture, basterebbe un pugno d'uomini

per avere la meglio: finché i monti sono in mano nemica, neppure tutti gli uomini del mondo riuscirebbero ad aprirsi un

varco. Sono anche disposto a mostrarvi la zona di cui parlo, se volete inviare qualcuno al mio fianco.

8 Poi so che hanno pianure e una cavalleria che i barbari stessi reputano superiore alla cavalleria regia al

completo. Anche di recente non hanno risposto a una convocazione del re, perché il loro comandante si ritiene superiore

a tutti.

9 Ammettiamo pure che riusciate a prendere il controllo delle montagne, o con un colpo di mano o passando

inosservati; ammettiamo che poi abbiate la meglio negli scontri in pianura contro i loro cavalieri e fanti - più di

centoventimila uomini: arriverete comunque ai fiumi, primo tra tutti al Termodonte, largo tre pletri, che - ne sono

convinto - è difficile da guadare, specie quando una massa di nemici aspetta di fronte e un altro stuolo incalza alle

spalle. Il secondo è l'Iris, anch'esso di tre pletri. Il terzo è l'Alis, largo non meno di due stadi, un fiume che non potreste

passare senza imbarcazioni. E chi ci sarà a procurarvele? Lo stesso vale anche per il Partenio, che non è guadabile:

comunque sia, per arrivarci dovete prima superare l'Alis.

10 Insomma ritengo la vostra marcia non tanto dura, quanto assolutamente impossibile. Se invece viaggerete

per nave, potrete veleggiare sotto costa da qui fino a Sinope e poi da Sinope fino a Eraclea, da dove non c'è difficoltà a

proseguire né per terra né per mare: a Eraclea infatti non mancano di certo le navi».

11 Quando ebbe finito, alcuni sospettarono che le parole di Ecatonimo fossero dettate dalla sua amicizia per

Corila, di cui era prosseno. Altri invece pensarono addirittura che avesse proposto un consiglio del genere con il

miraggio di una ricompensa. Non mancò chi ebbe l'impressione che il suo discorso puntasse a distogliere i Greci dal

marciare nella regione dei Sinopei, per il timore che provocassero danni. Comunque i Greci votarono per il viaggio via

mare. 12 Dopo di che, prese la parola Senofonte: «Abitanti di Sinope, i nostri uomini hanno scelto, per il viaggio, la

soluzione che suggerite. Ma ecco i termini della questione: se ci saranno navi sufficienti per imbarcarci tutti, dal primo

all'ultimo, salperemo; ma se a certi toccherà restar qui e agli altri partire, nessuno di noi metterà piede sulle navi. 13

Abbiamo ben chiaro un punto, che, dovunque manterremo una posizione di forza, potremo anche salvarci e procurarci i

viveri; se invece ci lasceremo trovare in condizioni di inferiorità rispetto al nemico, è chiaro che finiremo schiavi».

Allora gli emissari li invitarono a mandare un'ambasceria. 14 Callimaco arcade, Aristone ateniese e Samola acheo

vennero incaricati e partirono.

15 Frattanto Senofonte, vedendo quanto grande era il numero di soldati greci - opliti, peltasti, arcieri,

frombolieri e cavalieri, tutti ormai addestratissimi grazie alla lunga pratica -, e questo nel Ponto, dove con modeste

risorse non sarebbe stato certo possibile riunire una forza militare così ingente, stimava che fosse un'impresa gloriosa

acquisire per la Grecia nuove terre e darle maggior potenza fondando una città. 16 Gli pareva che potesse diventare una

città potente, tenendo conto della moltitudine sia dei soldati greci sia delle genti stanziate nei dintorni del Ponto. A tale

scopo, ancor prima di farne parola ai soldati, celebrò un sacrificio, invitando Silano di Ambracia, l'indovino di Ciro. 17

Ma Silano, nel timore che il progetto si realizzasse e l'esercito si stabilisse da qualche parte, lì nel Ponto, sparge voce tra

la truppa che Senofonte vuole trattenere lì le truppe, fondare una città e pensa solo a procurarsi fama e potenza. 18 Dal

canto suo, Silano non voleva altro che rientrare al più presto in Grecia: aveva ancora in tasca i tremila darici ricevuti da

Ciro quando, in un sacrificio per Ciro stesso, era riuscito a fare un'esatta previsione circa i dieci successivi giorni.

19 Tra i soldati, non appena si diffuse la notizia, si manifestarono umori contrastanti: alcuni erano d'accordo di

restare nel Ponto, ma molti no. Timasione di Dardano e Torace il beotasi rivolsero ad alcuni mercanti di Sinope ed

Eraclea, lì presenti, spiegando che, se non procuravano del denaro all'esercito per comprare i viveri e salpare, c'era il

rischio che quella massa di soldati si fermasse nel Ponto. «Ecco», proseguivano, «il piano di Senofonte. Ci spinge, non

appena arrivano le navi, a rivolgere ai soldati un discorso del genere: 20 "Uomini, ora come ora capiamo che non sapete

che partito prendere sia per i rifornimenti necessari alla traversata, sia per non tornare a mani vuote. Se siete d'accordo,

possiamo scegliere una regione del Ponto, qui attorno, abitata, dove preferite, lasciando ciascuno libero di ritornare in

patria o di rimanere. Ecco, avete le navi, per cui potete piombare all'improvviso dove volete"».

21 Udite tali parole, i mercanti riferirono nelle loro città. Ad accompagnarli, Timasione inviò Eurimaco di

Dardano e Torace il beota per confermare le loro parole. I Sinopei e gli Eracleoti, appresa la notizia, mandano emissari

a Timasione e, dietro compenso in denaro, lo pregano di farsi interprete dei loro interessi per spingere l'esercito a levare

le ancore. 22 Timasione, accolto con gioia l'invito, prende la parola nell'assemblea dei soldati: «Non bisogna nemmeno

pensare di fermarci qui, soldati, né alcuna cosa deve starci a cuore più della Grecia. Ho sentito dire che qualcuno offre

sacrifici per un progetto del genere, e senza neppure mettervi al corrente. 23 Se salperete, vi prometto la paga mensile

di un cizicenoa testa, a decorrere dalla luna nuova. Vi guiderò nella Troade, la mia patria, da cui sono esule. Sarà la mia

città ad accogliervi: mi riceveranno di buon grado. 24 Vi farò poi da guida in terre da cui potrete trarre grandi

ricchezze. Sono pratico dell'Eolide, della Frigia, della Troade e di tutto quanto il dominio di Farnabazo, un po' perché

sono nativo di quei luoghi, un po' perché nella zona ho partecipato a una spedizione con Clearco e Dercillida».

25 Poi Torace [il beota], che non smetteva di rivaleggiare con Senofonte per il comando, si alzò e disse che, se

avessero lasciato il Ponto, sarebbero pervenuti nella regione del Chersoneso, rigogliosa e ricca: se proprio qualcuno lo

voleva, poteva insediarsi lì; chi non voleva, avrebbe proseguito per la patria. Era ridicolo mettersi a cercare nei paesi

barbari, quando in Grecia avevano a disposizione tante terre estese e fertili. 26 «Finché non sarete giunti là», soggiunse,.45

«anch'io vi prometto la stessa paga di Timasione». Parlava così perché era al corrente delle promesse fatte dagli abitanti

di Eracla e di Sinope a Timasione, perché convincesse i Greci a prendere il largo. 27 Nel frattempo Senofonte

manteneva il silenzio.

Si alzarono gli achei Filesio e Licone: dicevano che era inaccettabile che in privato Senofonte cercasse di

persuaderli a fermarsi e celebrasse sacrifici in tal senso [senza farne partecipe l'esercito], mentre in pubblico non

spendeva una parola sull'argomento. 28 A quel punto Senofonte si trovò costretto a intervenire:

«Soldati, io sì, sacrifico, come vedete, quante più vittime mi è possibile, nell'interesse vostro e nel mio, perché

grazie alle mie parole, ai miei pensieri, alle mie azioni il successo e il prestigio possa arridere a voi e a me. Anche

adesso ho celebrato un sacrificio con uno scopo ben preciso, per vedere se fosse opportuno cominciare a esporvi e

attuare i miei intendimenti oppure se fosse meglio non mettere neppure mano all'impresa. 29 Silano, l'indovino, mi ha

fornito l'indicazione principale, e cioè che i responsi delle vittime erano favorevoli: del resto sapeva che non sono uno

sprovveduto, perché partecipo ogni volta ai riti divinatori. Ma mi ha anche detto che nelle vittime era apparso il segno

di un inganno, di un'insidia tramata ai miei danni, e certo, perché sapeva che proprio lui si preparava a calunniarmi ai

vostri occhi. Ha sparso infatti la voce che mi riproponevo di realizzare il mio disegno senza neppure persuadervi. 30

Ma io, se vi vedessi in situazione critica, cercherei di escogitare per voi il modo di impadronirvi di una città: da qui, chi

di voi lo avesse voluto, avrebbe potuto partirsene sùbito; chi no, avrebbe avuto modo di andar via dopo aver raccolto

mezzi sufficienti per portare un aiuto ai suoi familiari. 31 Ma poiché vedo che gli abitanti di Eraclea e di Sinope vi

mandano le navi per salpare, tanto più che qualcuno vi promette il soldo a partire dalla luna nuova, l'idea migliore mi

pare di trarci in salvo dove ci faccia comodo, tanto più che ci pagano solo per mettere al sicuro la nostra vita! Desisto

dalle mie precedenti intenzioni e, a chi mi aveva avvicinato per garantirmi il suo appoggio, dico che è meglio desistere.

32 Questo so: finché riuscirete a restare tutti uniti come adesso, sono convinto che manterrete il rispetto di tutti

e avrete i viveri. Essere più forti significa anche prendere i beni dei più deboli. Ma se vi dividerete e la vostra forza

risulterà frazionata, non riuscirete neppure a trovare di che sfamarvi né avrete modo di andarvene nella massima

sicurezza. 33 Sono del vostro stesso avviso, bisogna ritornare in Grecia. Anzi, se qualcuno fosse sorpreso a disertare

prima che tutto l'esercito sia ormai al sicuro, penso che lo si debba processare come malfattore. Chi è d'accordo, alzi la

mano». La alzarono tutti quanti.

34 Silano cominciò a sbraitare, farfugliando che era giusto lasciar partire chi lo voleva. I soldati non

tollerarono le sue parole, ma presero a minacciarlo: se l'avessero sorpreso che se ne andava, l'avrebbe pagata cara.

35 Allora, quando gli abitanti di Eraclea vengono a sapere che si era deciso di salpare e che proprio Senofonte

aveva avanzato la proposta, inviarono le navi, ma quanto al denaro promesso a Timasione e Torace non mantennero la

parola [circa il pagamento del soldo]. 36 Allora i due che avevano promesso il soldo rimasero turbati, temendo la

reazione dell'esercito. Prendono con sé gli altri strateghi che avevano reso partecipi delle loro passate azioni - tutti,

tranne Neone di Asine, che faceva le veci di Chirisofo, non ancora rientrato - e si recano da Senofonte, spiegandogli che

avevano cambiato idea e pensavano, adesso che avevano le navi, di far rotta verso il Fasi e di insediarsi nel paese dei

Fasiani. 37 Su di loro regnava un nipote di Eeta. Senofonte replicò che non avrebbe detto nulla del genere ai soldati:

«Se volete, radunateli voi ed esponete la vostra proposta». A quel punto Timasione di Dardano espresse il parere che era

inopportuna un'assemblea, sostenendo che ciascuno doveva cercare innanzitutto di convincere i propri locaghi. Si

separarono e cominciarono l'opera di persuasione.

7

1 I soldati vennero a sapere lo scompiglio che stava succedendo. Neone sparge voce che Senofonte, dopo aver

convinto gli altri strateghi, ha in mente di ingannare le truppe e di ricondurle indietro, verso il Fasi. 2 Alle sue parole i

soldati se l'ebbero a male, cominciarono a formare crocchi e c'era davvero da temere che ripetessero gesti come quelli

contro gli araldi dei Colchi e gli agoranomi. [Chi di loro non era riuscito a gettarsi in mare, era finito lapidato.] 3

Quando intuì come stavano le cose, Senofonte pensò bene di convocare al più presto l'assemblea e di non dar adito a

riunioni spontanee: ordinò all'araldo di proclamare l'adunata. 4 I soldati, non appena udirono l'araldo, accorsero con

grande prontezza. Allora Senofonte, pur senza accusare gli strateghi di averlo avvicinato, si espresse così:

5 «Soldati, mi è giunto alle orecchie che qualcuno mi calunnia andando in giro a dire che io, con l'inganno,

medito di portarvi verso il Fasi. Ascoltatemi, in nome degli dèi: se mi riterrete colpevole, non bisogna che mi lasciate

partire di qui prima di avermi fatto scontare la giusta pena; ma se verrà alla luce che i colpevoli sono gli stessi individui

che mi calunniano, allora trattateli come meritano. 6 Voi», proseguì, «sapete benissimo dove sorge il sole e dove cala e

sapete pure che, se uno intende dirigersi in Grecia, deve far vela verso tramonto, mentre se vuole navigare verso le terre

dei barbari, gli tocca andare dalla parte opposta, verso aurora. E chi sarebbe capace di farvi credere che il sole sorge

dove tramonta e che tramonta dove sorge? 7 Senza ombra di dubbio sapete, poi, che borea porta le navi fuori dal Ponto,

verso la Grecia, mentre noto le sospinge all'interno, in direzione del Fasi, per cui, secondo il detto: quando soffia borea,

è il momento buono per veleggiare verso la Grecia. È mai possibile che uno riesca a irretirvi al punto da farvi imbarcare

quando soffia noto? 8 Poniamo il caso che io vi ordini di salire sulle navi quando c'è bonaccia. Navigherò pur sempre su

una sola imbarcazione, mentre voi sarete su cento, come minimo, o no? Come potrei allora costringervi, con la forza o

con un sotterfugio, a seguire la mia rotta, contro il vostro volere? 9 Ma ammettiamo pure che, da me ingannati e

ammaliati, approdiate al Fasi. Sbarchiamo a terra: ben vi accorgerete di non essere in Grecia! E allora io, l'ingannatore,.46

sarò solo e voi, gli ingannati, sarete quasi diecimila, tutti armati. Con un piano del genere, come potrebbe un uomo

attirarsi peggio di così la vostra vendetta?

10 Non sono altro che chiacchiere di gente stupida e invidiosa di me, perché godo della vostra stima. Eppure

non hanno ragione di invidiarmi: a chi di loro impedisco di parlare, se ha da proporre un consiglio utile? A chi di

combattere, se vuole, per il vostro vantaggio e per il proprio? A chi di vegliare per la tutela della vostra sicurezza? E

allora? Quando scegliete i capi, sono di intralcio per qualcuno? Bene, mi faccio da parte, comandino pure altri, a patto

che diano chiara prova di agire per il vostro bene. 11 Per quanto riguarda me, sull'argomento ho già speso parole a

sufficienza: se tra voi c'è chi ritiene che io abbia raggirato o lui in prima persona oppure altri, parli, lo dimostri. 12 Nel

caso invece che ne abbiate abbastanza, non sciogliete l'assemblea prima di aver ascoltato quale marciume vedo

diffondersi nell'esercito. Se la cosa dovesse aver seguito e venire a determinarsi secondo la tendenza che ora mostra, è

giunto per noi il momento di prendere una decisione sul nostro stesso conto, per non apparire come gente spregevole e

ignobile sia agli occhi degli dèi che degli uomini, amici e nemici».

13 Alle sue parole i soldati si domandarono con stupore a che cosa alludesse e lo invitarono insistentemente a

spiegarsi. Allora Senofonte riprese: «Sapete che tra i monti sorgono piazzeforti dei barbari, alleati di Cerasunte; da tali

fortezze alcuni di loro sono scesi fin qui per venderci animali da sacrificio e altri loro prodotti. Mi risulta che anche

qualcuno di voi si sia recato nella piazzaforte più vicina per fare compere e poi sia rientrato al campo. 14 Non appena

Cleareto il locago viene a sapere che questa fortezza era piccola e priva di sorveglianza perché ci consideravano amici,

di notte muove contro i barbari per depredarli, senza farne cenno a nessuno di noi. 15 Aveva concepito il piano, nel

caso che gli fosse riuscito di prendere la fortezza, di non far più ritorno all'esercito, ma, caricato l'eventuale bottino,

meditava di imbarcarsi su una nave con cui i suoi compagni navigavano sotto costa, per poi prendere il largo e lasciare

il Ponto. Il suo disegno era stato accolto dai suoi compagni della nave, stando a quanto adesso sento. 16 Chiamati a sé

tutti gli uomini che gli riuscì di convincere, puntò contro la piazzaforte. Ma la luce del giorno lo sorprende ancora in

marcia, per cui la gente della fortezza si raduna e, colpendo dall'alto delle salde postazioni con una gragnuola di

proiettili, uccide Cleareto stesso e parecchi altri, mentre pochi riescono a ripiegare su Cerasunte. 17 Il fatto accadde lo

stesso giorno in cui ci siamo messi in marcia per venire fin qui. E a Cerasunte rimanevano anche alcuni che si dovevano

imbarcare ma non avevano ancora preso il largo.

Dopo di che, stando al racconto dei Cerasuntini, si presentano tre anziani che venivano dalla fortezza e

chiedevano di essere ammessi alla nostra assemblea. 18 Poiché non ci avevano trovati, ai Cerasuntini domandarono che

cosa ci fosse saltato in mente di attaccarli. Di fronte all'assicurazione che l'episodio non dipendeva da una delibera

dell'esercito, i tre, rinfrancati, si prepararono a salpare, per comunicarci l'accaduto e invitarci a recuperare i nostri morti

per la sepoltura. 19 Il caso però volle che a Cerasunte si trovassero ancora i Greci che erano scampati al massacro sotto

la fortezza. Intuendo dove volessero andare i barbari, ebbero l'ardire di bersagliarli di pietre e di esortare gli altri a

seguire il loro esempio. E così i tre finirono lapidati, e dire che erano in ambasceria.

20 Dopo l'accaduto, si presentano i Cerasuntini e ci informano della faccenda: noi strateghi, nell'udire le loro

parole, ci irritiamo per il misfatto e cominciamo a discutere con loro su come seppellire i Greci morti. 21 Ce ne

stavamo seduti fuori dell'accampamento, quando d'un tratto sentiamo un gran baccano: "Colpisci, colpisci. Tira, tira". E

sùbito vediamo una massa di gente correre contro di noi con in mano delle pietre, mentre altri le raccoglievano strada

facendo. 22 I Cerasuntini, visto quanto era accaduto nella loro città, in preda al pànico fuggono verso le navi. E c'era,

per Zeus, anche qualcuno di noi atterrito. 23 Io invece mi sono fatto incontro e ho chiesto che cosa stesse succedendo.

C'era chi non ne sapeva niente, ma comunque le pietre, in mano, le aveva. Poi capita uno che era al corrente: gli

agoranomi, dice, stanno vessando gravemente l'esercito. 24 Nello stesso istante qualcuno, vedendo l'agoranomo

Zelarco dirigersi verso il mare, lanciò un urlo: gli altri, non appena lo udirono, si gettarono su di lui, come se avessero

avvistato un cinghiale o un cervo. 25 I Cerasuntini, quando li vedono muovere nella loro direzione, ritenendo senz'altro

di essere il bersaglio, se la danno a gambe e si gettano in mare. Anche alcuni di noi seguono il loro esempio, e chi non

sapeva nuotare è morto annegato. 26 Potete immaginarveli, i Cerasuntini? Non ci avevano fatto niente, ma hanno avuto

paura che avessimo preso la rabbia, come i cani.

Se dunque si ripeteranno casi del genere, guardate che ne sarà del nostro esercito. 27 Voi non sarete più

padroni né di dichiarar guerra a chi vogliate né di porvi termine, ma il primo venuto potrà guidare, di propria iniziativa,

l'esercito contro chi più gli piaccia. Se vi si presenteranno emissari per chiedere pace o che altro, chiunque potrà

ucciderli e impedirvi di ascoltare i discorsi di chi vi si rivolge. 28 Poi tutti i comandanti scelti da voi non saranno tenuti

in nessun conto; basta che qualcuno si elegga da solo stratego o che gli salti in mente di gridare "Tira, tira", e sarà

capace di ammazzare chiunque di voi voglia, un capo o un soldato semplice, senza neppure processo, se ci sarà gente

che gli presterà orecchio, come è accaduto anche ora. 29 Che cosa abbiano combinato per voi questi strateghi, che si

sono autonominati, potete vederlo. Se davvero si era macchiato nei vostri confronti, l'agoranomo Zelarco non ha pagato

la sua colpa, perché ha levato le ancore e preso il largo; ma se non era colpevole, fugge dall'esercito per timore di

morire innocente e senza processo. 30 Coloro che hanno lapidato gli emissari hanno fatto sì, che adesso, unici tra i

Greci, non potete entrare a Cerasunte senza correre rischi, a meno che non ricorriate alla forza. E i morti, che prima i

loro stessi uccisori vi invitavano a seppellire, adesso non potreste più recuperarli in completa sicurezza, neppure se vi

recaste là col caduceoin mano. Chi sarà infatti disposto ad assumersi il compito di araldo dopo aver ucciso gli araldi

altrui? Comunque abbiamo pregato i Cerasuntini di provvedere alla sepoltura. 31 Se vi sta bene così, date apertamente

il vostro avallo, in modo che, dovendo ripetersi fatti del genere, ciascuno possa stare personalmente in guardia e cercare

di piantare la tenda in posizione ben munita e soprelevata. 32 Se al contrario vi sembra che tali comportamenti si.47

addicano alle bestie feroci e non agli uomini, studiate un rimedio per porvi fine; altrimenti, per Zeus, con che coraggio

potremo sacrificare agli dèi, se commettiamo atti empi? O come potremo mai affrontare il nemico, se ci scanniamo tra

noi? 33 Quale città ci accoglierà in amicizia, vedendo che tra noi regna l'illegalità? Chi avrà il coraggio di aprirci il

mercato, se ci mostreremo macchiati di misfatti così gravi? Là dove pensiamo di ottenere l'approvazione di tutti, chi

sarà disposto a lodarci, se ci comporteremo così? Saremmo noi stessi a bollare come malfattore chi agisce così, ne son

sicuro».

34 Allora tutti saltarono su: gli istigatori di simili azioni dovevano pagare e per il futuro non bisognava più

tollerare iniziative illegali; chi si fosse fatto promotore di gesti del genere, andava messo a morte; gli strateghi dovevano

essere incaricati di istituire processi contro tutti i colpevoli e bisognava rispondere in giudizio per qualsiasi colpa

commessa a partire dal giorno della morte di Ciro. Come giudici vennero nominati i locaghi. 35 Su suggerimento di

Senofonte e per concorde approvazione degli indovini, si decise di purificare l'esercito. E la purificazione venne

eseguita.

8

1 Si decise che anche gli strateghi dovessero render ragione del loro precedente comportamento. Filesio e

Santicle furono condannati a un'ammenda di venti mineper negligente controllo delle merci sulle navi da carico loro

affidate. Sofeneto invece dovette pagare dieci mine, perché, dopo essere stato eletto, *** aveva svolto il compito con

trascuratezza.

Alcuni chiamarono in causa Senofonte, asserendo di essere stati da lui percossi, e presentarono l'accusa di

abuso di potere. 2 Al suo primo accusatore, Senofonte chiese di spiegare in quale circostanza lo avesse colpito. L'altro

rispose: «Quando eravamo morti di freddo e c'era una tormenta di neve». 3 Senofonte continuò: «Se davvero durante la

tempesta di cui parli, quando il pane ci era venuto a mancare, mentre del vino non se ne sentiva neppure l'odore, sfiniti

dalle tante fatiche e coi nemici alle calcagna, se dunque in un tale frangente sono arrivato a tanto, devo proprio

ammettere che sono più prepotente degli asini, che, come dice la gente, quando si tratta di prepotenza non sono mai

stanchi. 4 Comunque spiegami», proseguì Senofonte, «per quale motivo ti ho percosso. Ti ho forse chiesto un oggetto

e, siccome non me lo hai dato, ho alzato le mani? Oppure ti ho domandato di restituirmi qualcosa? Sono sceso in lizza

per dei ragazzi? O forse avevo bevuto ed ero ubriaco fradicio?». 5 L'altro rispose di no e Senofonte passò a

domandargli se era un oplita. Disse di no. Allora se era un peltasta: nemmeno. «Spingevo un mulo per ordine dei miei

compagni, ma sono di condizione libera». 6 Allora Senofonte lo riconobbe e gli chiese: «Non sei quello che trasportava

un infermo?». «Sì, per Zeus», ribatté, «mi ci avevi costretto tu! E hai gettato a terra i bagagli dei miei compagni». 7

«Quanto all'aver gettato via i bagagli», disse Senofonte, «ecco come si sono svolte le cose: li ho affidati ad altri per il

trasporto, con l'ordine di riconsegnarmeli; quando me li hanno ridati, te li ho restituiti, intatti, dal primo all'ultimo, non

appena mi hai riportato il malato. Ma ascoltate questa storia», disse, «ne vale la pena.

8 Un uomo era rimasto indietro, perché non ce la faceva più a muovere un passo. Di lui sapevo solo che era

uno dei nostri. Allora ti ho costretto a trasportarlo, per non lasciarlo morire: avevamo i nemici alle spalle, mi pare, e tu

eri d'accordo. 9 Allora», proseguì Senofonte, «dopo averti mandato in avanti, mentre procedevo con la retroguardia ti

ho ritrovato che stavi scavando una fossa per seppellire quell'uomo, per cui mi sono avvicinato e, fermandomi accanto,

ti ho coperto di elogi. 10 Ma mentre eravamo lì, l'uomo piegò una gamba e i presenti cominciarono a gridare "È vivo!".

E tu: "Affari suoi. Io non lo porto più". È stato a quel punto che ti ho colpito, sì, dici il vero; ma ho avuto l'impressione

che tu lo sapessi, che era vivo». 11 «E allora?», ribatté l'altro. «Quando te l'ho riportato, non era morto lo stesso?».

«Anche noi», sbottò Senofonte, «moriremo tutti; ma è un buon motivo per dover essere sepolti vivi?».

12 Allora tutti cominciarono a urlare che gliene aveva date poche. Senofonte invitò gli altri a spiegare, caso per

caso, perché li aveva percossi. 13 Siccome nessuno si alzava, continuò così: «Uomini, ammetto di aver usato le

maniere forti con qualcuno, per la sua indisciplina, in particolare con la gente che pensava solo a salvarsi grazie a voi,

che procedevate nei ranghi e combattevate quando la situazione lo richiedeva, mentre loro non domandavano altro che

rompere le righe e correre in avanti, per far bottino e prendere anche la vostra parte. Se tutti ci fossimo comportati così,

non se ne sarebbe salvato neppure uno di noi. 14 Senz'altro ho percosso e costretto a riprendere il cammino chi tendeva

a cedere e non voleva rialzarsi, ma si consegnava nelle mani del nemico. Quando la tempesta di neve si era fatta più

intensa, anch'io, un giorno, mentre aspettavo dei compagni che preparavano i bagagli, sono rimasto seduto per

parecchio tempo e poi mi sono accorto che faticavo a rialzarmi e a distendere le gambe. 15 Prendendo esempio dalla

mia esperienza, quindi, ogni volta che vedevo qualcuno a terra, indolente, lo spingevo a riprendere la marcia: il

movimento e la virilità d'animo producevano un certo calore e scioltezza per le membra, mentre il rimaner seduti e

fermi mi accorgevo che contribuivano a raffreddare il sangue e a mandare in cancrena le dita dei piedi, male di cui

hanno sofferto molti, lo sapete anche voi. 16 E forse qualcun altro, che rimaneva indietro per riposarsi, ostacolando

così la marcia a voi dell'avanguardia e a noi delle retrovie, le ha buscate da me, ma perché non si buscasse una lancia

nemica! 17 Adesso però che sono sani e salvi, possono pretendere la mia punizione, se mai hanno subìto da me qualche

torto. Se però fossero caduti in mano nemica, che pene avrebbero patito? E quale punizione avrebbero preteso come

risarcimento?

18 Il mio ragionamento», aggiunse, «è semplice. Se ho punito qualcuno a fin di bene, merito di subire la stessa

pena che i genitori pagano ai figli e i maestri ai loro allievi. Anche i medici cauterizzano e amputano, a fin di bene. 19.48

Se ritenete che io abbia agito così per arroganza, allora fateci caso: adesso, grazie agli dèi, mi sento più sicuro di prima,

sono più spavaldo di prima e bevo molto più vino, eppure non picchio nessuno, perché vi vedo in una situazione

tranquilla. 20 Ma quando c'è tempesta e il mare diventa grosso, non vi accorgete che, al minimo cenno, il nostromo si

infuria con i marinai di prua e il timoniere con quelli di poppa? Sono momenti in cui basta il benché minimo errore, e

tutto va a catafascio. 21 Ma anche voi avete sanzionato che facevo bene a colpirli: eravate lì presenti infatti, con in

pugno le armi e non i sassolini per il voto, per cui avreste potuto soccorrerli, se volevate. Ma, per Zeus, non siete accorsi

né in loro aiuto né avete collaborato con me a punire chi non rispettava la disciplina. 22 Perciò, dando mano libera ai

delinquenti, non avete fatto altro che concedere loro licenza di abusare.

Se volete prestare attenzione, vi accorgerete senz'altro che chi in passato era il più codardo ora è il più

arrogante. 23 Boisco ad esempio, il pugile tessalo, prima si batteva per non portare lo scudo, dandosi malato, ma adesso

mi giungono voci che ha già spogliato dei beni molti Cotioriti. 24 Se dunque avrete senno, farete il contrario di quello

che si fa con i cani: se sono aggressivi, li si lega di giorno e li si scioglie di notte. Per cui Boisco, se avrete buon senso,

lo terrete in catene di notte e lo libererete di giorno.

25 Però mi meraviglio che, se mi sono creato antipatie con qualcuno di voi, ve le teniate a mente e non le

passiate sotto silenzio, mentre se a qualcuno ho portato soccorso nel gelo invernale, se l'ho protetto dal nemico, se l'ho

aiutato a trovare un rimedio quando era stremato o in difficoltà, non c'è nessuno che se ne ricordi. E se ho elogiato

qualcuno per il suo operato o, per quanto potessi, reso onore a un valoroso, nemmeno di questo vi ricordate. 26 Eppure

è bello, giusto, santo e dolce rammentare il bene più che il male».

Allora si alzarono in piedi e il loro pensiero corse al passato. E finì che tutto si accomodò.

LIBRO VI

1

1 In séguito, finché rimasero a Cotiora, i Greci trovarono di che sostentarsi o coi viveri comprati al mercato o

saccheggiando i campi della Paflagonia. Ma anche i Paflagoni derubavano a più non posso quelli dei nostri che si

staccavano dai gruppi; di notte, poi, attaccavano chi aveva piantato le tende lontano dal grosso. Di conseguenza ne

derivò un'aspra ostilità reciproca.

2 Corila, che all'epoca era capo della Paflagonia, manda ai Greci degli emissari con cavalli e splendide vesti,

per annunciare che era pronto a non sferrare attacchi ai Greci, a patto di non subirne. 3 Gli strateghi risposero che a

questo proposito si sarebbero consultati con l'esercito. Intanto accolsero in modo ospitale gli emissari, li invitarono a

banchetto e con loro anche chi, tra i soldati, era giudicato più degno.

4 Dopo aver sacrificato buoi catturati al nemico e altre vittime, offrirono un abbondante banchetto, ma furono

costretti a mangiar sdraiati su pagliericci e a bere da coppe di corno che avevano trovato nella zona. 5 Quando le

libagioni ebbero avuto luogo e il peana fu intonato, per primi si alzarono i Traci, che, armi in pugno, danzarono al suono

del flauto, spiccando salti altissimi, con grande leggerezza e mulinando le spade. Alla fine un danzatore colpì un altro e

a tutti sembrò che l'avesse ucciso: cadde davvero con grande arte. 6 I Paflagoni lanciarono un urlo. Il primo, dopo aver

spogliato delle armi il secondo, si allontanò modulando la canzone di Sitalce. Gli altri Traci raccolsero il caduto e lo

portarono via come se fosse morto: invece non si era fatto niente.

7 Poi fu il turno degli Eniani e dei Magneti, che danzarono in armi la cosiddetta carpea. 8 Ha la seguente

caratteristica: uno dei danzatori, deposte a terra le armi, semina e ara con una coppia di buoi, voltandosi spesso

all'indietro come in preda al timore. Dopo arriva il brigante: appena lo scorge, il contadino impugna le armi, gli si para

dinnanzi e lo affronta, a difesa della coppia di buoi. I due danzatori eseguirono ogni gesto a tempo, seguendo il suono

del flauto. Alla fine il brigante legò l'altro e condusse via i buoi. Ma, a volte, è il contadino ad aver la meglio sul

brigante: allora lo aggioga coi buoi e lo trascina con le mani legate dietro la schiena.

9 Successivamente si esibì un Misio, con due scudi leggeri, uno per mano. Danzava mimando un

combattimento: ora fingeva di tener testa a due nemici, ora di usare gli scudi contro un solo avversario, girava

vorticosamente su se stesso e piroettava, sempre stringendo gli scudi: uno spettacolo! 10 In ultimo ballò la persica,

battendo tra loro gli scudi, si piegava sulle gambe e si rialzava, sempre a tempo di flauto.

11 Dopo di lui [subentrando] i Mantinei e altri arcadi si alzarono e, adorni delle armi più belle, avanzarono a

passo cadenzato, al ritmo dell'enoplio scandito dai flauti. Intonarono il peana e danzarono come nelle processioni verso

i templi degli dèi.

A tale vista i Paflagoni giudicarono singolare che tutte le danze fossero eseguite in armi. 12 Allora il Misio,

vedendo che erano rimasti colpiti, porta in scena una danzatrice, col consenso di un Arcade che l'aveva acquistata: la

abbiglia con le vesti più splendide e le dà uno scudo leggero. La donna ballò la pirrica con agilità straordinaria. 13

Allora ci fu un applauso scrosciante, e i Paflagoni chiesero se anche le donne combattessero al fianco dei Greci.

Risposero che erano state proprio le donne a costringere il re a fuggire dal loro accampamento. La notte si concluse

così.

14 Il giorno successivo gli emissari vennero condotti al cospetto dell'esercito. I soldati decisero di non attaccare

i Paflagoni, a patto di non essere attaccati. Dopo di che, gli emissari se ne andarono. I Greci, quando giudicarono che il.49

numero delle navi era sufficiente, salirono a bordo e navigarono un giorno e una notte con vento favorevole, tenendo la

Paflagonia sulla sinistra. 15 L'indomani giungono a Sinope e ormeggiano ad Armene, il porto di Sinope. I Sinopei

abitano in Paflagonia e sono coloni dei Milesi. Gli abitanti inviano ai Greci tremila medimni di farina d'orzo e

millecinquecento anfore di vino come doni ospitali.

Giunse qui anche Chirisofo con una triremi. 16 I soldati si aspettavano che portasse qualcosa per loro, ma non

aveva nulla. In compenso notificò che sia il navarco Anassibio sia tutti gli altri li elogiavano e che Anassibio aveva

promesso che, se lasciavano il Ponto, garantiva loro una paga. 17 Qui, in Armene, i soldati rimasero cinque giorni.

Man mano che sentivano di avvicinarsi a casa, s'insinuava in loro, più che in passato, il desiderio sì di ritornare

in patria, ma non a mani vuote. 18 Pensarono allora che, se avessero nominato un comandante unico, costui avrebbe

potuto impiegare l'esercito tanto di giorno come di notte, molto meglio che un gruppo di capi. Se si trattava di una

manovra per sfuggire all'attenzione nemica, era più facile mantenere il segreto. Se si doveva agire con tempestività,

avrebbero subito meno ritardi, perché non c'era bisogno di consultarsi, bastava eseguire le decisioni di quell'uno. Per il

passato invece gli strateghi avevano sempre rispettato il parere della maggioranza.

19 Nel corso di tali considerazioni si rivolsero a Senofonte. I locaghi si recarono da lui per comunicargli come

la pensava l'esercito: ciascuno di loro, nel manifestargli il proprio favore, cercava di convincerlo ad assumere l'incarico.

20 Senofonte da un lato era incline ad accettare, perché riteneva che, così, il suo prestigio sarebbe aumentato e la sua

notorietà cresciuta agli occhi degli amici e in patria, se gli capitava di procurare all'esercito qualche vantaggio. 21

Riflessioni di tal genere lo spingevano a desiderare il comando con pieni poteri. Ma, d'altro lato, ogni qual volta il

pensiero gli correva al fatto che è oscuro il destino che pende sul capo di ogni uomo e che, pertanto, c'era il rischio di

perdere anche la fama precedentemente acquisita, non sapeva che fare.

22 Incerto sulla decisione da prendere, pensò bene di interrogare gli dèi. Presentate due vittime, le sacrificò a

Zeus re, che era appunto la divinità cui doveva rivolgersi, secondo il vaticinio di Delfi. Era convinto che proprio da

Zeus re venisse il sogno apparsogli al tempo in cui, per la prima volta, condivise le responsabilità per la guida

dell'esercito. 23 E si ricordava anche dell'aquila che, al momento della sua partenza da Efeso per unirsi alla spedizione

di Ciro, aveva emesso uno strido, da destra, posandosi però a terra. L'indovino che lo accompagnava gli aveva detto che

era un segno portentoso, non riguardante la sua vita privata, un presagio foriero di gloria, ma anche di sventura, dal

momento che, per lo più, gli altri uccelli attaccano l'aquila quando si posa a terra. Comunque, il presagio non riguardava

il lato economico, perché l'aquila di solito si procura il cibo in volo. 24 Così, quando Senofonte celebrò il sacrificio, il

dio manifestò con chiarezza che non doveva né aspirare al comando né accettarlo in caso di elezione. E così fu.

25 L'esercito si radunò e tutti proposero di eleggere un solo capo. Presa la decisione, avanzarono il nome di

Senofonte. Quando era ormai chiaro che lo avrebbero eletto, se si fosse passati alla votazione, si alzò e disse:

26 «Soldati, sono un uomo e, come tale, l'onore che mi concedete mi lusinga: vi ringrazio e prego gli dèi che

mi permettano di procurarvi qualche beneficio. Quanto al fatto che scegliate me come capo, quando è presente tra noi

uno Spartano, non mi pare per voi una mossa vantaggiosa, perché, in caso di bisogno, vi sarà più difficile ottenere

l'aiuto di Sparta. Anche per me, poi, credo che la situazione non sarebbe del tutto tranquilla. 27 Ho davanti agli occhi

quel che è capitato alla mia patria: gli Spartani non hanno allentato la morsa prima di costringere tutta la città a

riconoscere la loro egemonia. 28 È bastato accettarla, e sùbito lo scontro è cessato, hanno tolto l'assedio. Guardando a

quegli avvenimenti, se qui dessi l'impressione di far vacillare il prestigio spartano, temo che ben presto sarei ricondotto

alla ragione. 29 Per quanto riguarda la vostra considerazione che dovrebbero verificarsi meno sedizioni quando alla

guida fosse un unico capo invece di molti, sappiate bene che, eleggendo un altro, non mi sorprenderete a ribellarmi: chi

in guerra si rivolta contro il proprio comandante, secondo me non fa che rivoltarsi contro la propria speranza di

salvezza. Qualora invece sceglieste me, non mi meraviglierei se trovaste qualcuno pieno di rancore nei confronti vostri

e nei miei».

30 Ma dopo le sue parole, furono ancora di più quelli che si levano a dire che doveva accettare il comando.

Agasia di Stinfalo dichiarò che la situazione, se stava in quei termini, era ridicola: «Gli Spartani allora monteranno su

tutte le furie anche se, a un banchetto, non verrà eletto re della festa uno Spartano? Se le cose stanno così, non possiamo

neppure rivestire la carica di locaghi, a quanto pare, perché siamo Arcadi». Allora tutti presero a vociare, dando ragione

ad Agasia.

31 Senofonte, poiché si rendeva conto che le sue precedenti parole non erano bastate, si fece avanti: «Bene, o

uomini, non voglio tenervi all'oscuro di niente: vi giuro su tutti gli dèi e le dee che non appena mi sono reso conto delle

vostre intenzioni ho celebrato un sacrificio per sapere se fosse nel vostro interesse affidarmi questa carica e nel mio

accettarla. Gli dèi, attraverso le vittime, in modo così chiaro che anche un profano non avrebbe nutrito dubbi, mi hanno

indicato che dovevo rifiutare il comando assoluto».

32 Così scelgono Chirisofo, che, appena eletto, prese la parola: «Uomini, tenete per certo che neppure io mi

sarei ribellato, se aveste scelto un altro. A Senofonte comunque, non eleggendolo, avete fatto un favore. Fino a poco fa

Dessippo non perdeva occasione per calunniarlo agli occhi di Anassibio con ogni mezzo, nonostante i miei tentativi per

zittirlo. Dessippo voleva sostenere che Senofonte avrebbe preferito dividere il comando dell'esercito di Clearco con

Timasione, nativo di Dardano, piuttosto che con me, che sono lacone. 33 Ma siccome avete eletto me», proseguì

Chirisofo, «cercherò io pure, per quanto mi sarà possibile, di procurarvi vantaggi. Preparatevi alla partenza per domani,

se c'è tempo buono. La rotta sarà per Eraclea: dobbiamo tutti quanti cercare di gettar là le ancore. Quanto al resto, una

volta che saremo sul posto, decideremo»..50

2

1 Da qui il giorno successivo salparono col favore del vento e proseguirono lungo il litorale per due giorni.

Navigando sotto costa, [ebbero modo di vedere il promontorio di Giasone, dove si narra che sia stata ormeggiata la nave

Argo, nonché le foci di vari fiumi, prima il Termodonte, poi l'Iris, l'Alis e quindi il Partenio; una volta superato

quest'ultimo,] giunsero a Eraclea, città greca, colonia dei Megaresi nel territorio dei Mariandini. 2 Gettarono le ancore

nei pressi del Chersoneso Acherusiade, dove si racconta che Eracle sia sceso agli Inferi per catturare il cane Cerbero,

proprio nel punto in cui ancor oggi, come prova della sua discesa, additano una voragine profonda più di due stadi. 3

Qui gli abitanti di Eraclea inviano ai Greci i doni ospitali: tremila medimni di farina d'orzo, duemila anfore di vino,

venti buoi e cento pecore. Attraverso la pianura scorre un fiume di nome Lico, largo circa due pletri.

4 I soldati si riunirono e cominciarono a discutere sul resto del viaggio, se fosse meglio uscire dal Ponto per

terra o per mare. Si levò in piedi l'acheo Licone e disse: «Uomini, mi meraviglio dei nostri strateghi, non tentano

nemmeno di procurarci i viveri: i doni ospitali non basteranno all'esercito nemmeno per tre giorni. E non c'è modo di

trovare viveri durante il viaggio. 5 Perciò propongo di chiedere alla gente di Eraclea non meno di tremila ciziceni».

«Non meno di diecimila», fece eco un altro. «Dobbiamo scegliere degli emissari», proseguì Licone, «e mandarli sùbito

in città, mentre rimaniamo qui. Aspettiamo la risposta degli abitanti di Eraclea e poi ci regoleremo di conseguenza». 6

Allora come emissario proposero prima di tutto Chirisofo, perché lo avevano eletto comandante in capo. Ci fu anche chi

avanzò il nome di Senofonte. Ma sia Chirisofo sia Senofonte rifiutarono con decisione: erano entrambi dell'avviso che

non si dovesse costringere una città greca, e per di più alleata, a consegnare qualcosa contro la propria volontà. 7

Poiché i due si erano mostrati riluttanti, inviano Licone l'acheo, Callimaco di Parrasia e Agasia di Stinfalo, che, giunti

là, esposero le decisioni dell'esercito. Licone però, almeno a detta loro, aggiunse anche delle minacce, nel caso che non

li avessero accontentati. 8 Allora gli abitanti di Eraclea dissero che ci avrebbero pensato. Raccolsero sùbito i beni dalle

campagne, allestirono un mercato entro le mura e, quando apparvero uomini armati sulla cinta di mura, avevano già

chiuso le porte.

9 A quel punto i responsabili di questa situazione accusarono gli strateghi di voler mandare a monte la

faccenda. Gli Arcadi e gli Achei si riunirono: li capeggiavano in particolare Callimaco di Parrasia e Licone l'acheo. 10

Secondo loro era vergognoso che sui Peloponnesiaci comandassero uno Spartano e un Ateniese che si era unito

all'esercito senza truppe al suo séguito; a loro toccavano le fatiche, agli altri i guadagni, senza contare che la salvezza

era frutto del loro sudore; tutto stava sulle spalle degli Arcadi e degli Achei, il resto dell'esercito non contava niente - e,

a onor del vero, Arcadi e Achei rappresentavano più della metà delle truppe. 11 Perciò, se avevano ancora un briciolo

di buon senso, dovevano far gruppo a sé ed eleggere strateghi, proseguire il viaggio per conto proprio e cercare di trarre

qualche vantaggio. 12 Le proposte furono approvate. Tutti gli Arcadi e gli Achei al séguito di Chirisofo e Senofonte

abbandonarono i loro comandanti, costituirono gruppo autonomo ed elessero dieci strateghi. Votarono che costoro

avrebbero rispettato il volere della maggioranza. Il comando assoluto di Chirisofo dunque si dissolse a sei o sette giorni

di distanza dalla sua elezione.

13 Senofonte comunque voleva proseguire insieme a loro: il viaggio, ne era convinto, sarebbe stato più sicuro

così, che non andando ciascuno per la propria strada. Neone però lo persuase a unirsi a lui, perché aveva sentito dalla

bocca di Chirisofo che Cleandro, l'armosta di Bisanzio, aveva assicurato che li avrebbe raggiunti al porto di Calpe con

delle triremi. 14 Così non avrebbero dovuto dividere con nessuno le triremi, ma solo loro e i rispettivi soldati si

sarebbero imbarcati: questo suggeriva Chirisofo, vuoi perché amareggiato dagli eventi, vuoi per il rancore maturato nei

confronti dell'esercito, gli concede di agire a suo piacimento. 15 Senofonte si preparò comunque ad abbandonare

l'esercito e a levar le ancore; ma nel celebrare un sacrificio a Eracle perché gli fosse di guida, quando chiese se fosse

preferibile e più conveniente per lui seguire i soldati rimasti al suo fianco oppure staccarsene, il dio, attraverso le

vittime, gli indicò di restare unito alla spedizione. 16 Così l'esercito si divise in tre tronconi: gli Arcadi e gli Achei con

più di quattromila uomini, tutti opliti; al séguito di Chirisofo circa millequattrocento opliti e più o meno settecento

peltasti, cioè i Traci di Clearco; agli ordini di Senofonte circa millesettecento opliti e grosso modo trecento peltasti.

L'unico ad avere un contingente di cavalleria era Senofonte, con una quarantina di unità.

17 Gli Arcadi riuscirono a procurarsi delle imbarcazioni dagli abitanti di Eraclea e furono i primi a sciogliere

gli ormeggi, per piombare all'improvviso sui Bitini e far man bassa. Sbarcano al porto di Calpe, che è all'incirca al

centro della costa della Tracia. 18 Chirisofo, lasciata la città di Eraclea, s'incamminò sùbito nell'interno, ma non appena

penetrò in Tracia, proseguì la marcia lungo la costa: era già malato. 19 Senofonte viaggiò per mare e sbarcò ai confini

tra la Tracia e la regione di Eraclea, per proseguire la marcia nell'entroterra.

3

1 [In che modo dunque il comando assoluto di Chirisofo si dissolse e l'esercito greco si spezzò, è detto nelle

parti sopra riportate.] 2 Ecco cosa fece ciascun gruppo. Gli Arcadi, non appena scendono al porto di Calpe, di notte, si

dirigono verso i primi villaggi, a circa trenta stadi dal mare. Quando spuntò la luce, ogni stratego condusse il proprio

loco contro un villaggio: se il villaggio pareva piuttosto grande, due strateghi accorpavano i loro contingenti e

muovevano all'assalto. 3 Stabilirono anche un colle sul quale poi avrebbero dovuto ritrovarsi tutti. Piombando sui.51

nemici all'improvviso, riuscirono a rendere schiava molta gente e a catturare parecchio bestiame. 4 Ma i Traci fuggiti

andavano raccogliendosi: armati alla leggera com'erano, sgusciavano addirittura via dalle mani degli opliti greci, che

avevano armi troppo pesanti per rincorrerli. Una volta che si furono radunati, attaccarono prima il loco di Smicrete, uno

stratego arcade, che si stava ormai ritirando verso il luogo convenuto, con ingente bottino. 5 Per un tratto i Greci

continuarono la marcia combattendo, ma al momento di superare un burrone fuggirono di qua e di là. I nemici uccisero

lo stesso Smicrete e tutti gli altri. Di un altro loco, quello di Egesandro, uno dei dieci strateghi, non rimasero che otto

uomini, tra i quali Egesandro stesso.

6 Gli altri lochi si riunirono, alcuni con difficoltà, altri senza. I Traci, dopo la buona sorte dei primi assalti,

cominciarono a chiamarsi reciprocamente a raccolta e circondarono in forze i Greci durante la notte. Allo spuntar del

giorno avevano accerchiato il colle su cui i Greci si erano accampati. C'erano parecchi cavalieri e peltasti, e

continuavano a confluire nemici: si sentivano tanto sicuri da poter assalire perfino gli opliti. 7 I Greci infatti non

avevano né arcieri né lanciatori di giavellotto né cavalieri; i nemici invece si facevano sotto, di corsa o al galoppo,

scagliando i loro proiettili. E a ogni assalto dei Greci ripiegavano con facilità, mentre altri dei loro, su diversi fronti,

contrattaccavano. 8 Perciò, in un campo c'erano molti feriti, nell'altro nemmeno uno. Insomma i Greci non poterono

spostarsi da lì, anzi, alla fine i Traci riuscirono anche a tagliarli fuori dai rifornimenti d'acqua. 9 Quando la situazione

era ormai disperata, cominciarono a trattare per una tregua. C'era accordo su ogni punto, ma non sugli ostaggi, che i

Traci si rifiutarono di consegnare, nonostante le richieste dei Greci: fu questo l'ostacolo che mandò all'aria tutto. Tale

era la situazione degli Arcadi.

10 Chirisofo, con una marcia tranquilla lungo la costa giunge al porto di Calpe.

Quanto al contingente di Senofonte, che proseguiva il cammino nell'entroterra, i suoi cavalieri mandati in

avanscoperta s'imbatterono in alcuni vecchi che camminavano verso di loro. Quando furono condotti al suo cospetto,

Senofonte domandò loro se avessero per caso notizie di un altro esercito, greco per la precisione. 11 I vecchi

illustrarono tutto l'accaduto, dicendo che attualmente i Greci erano stretti d'assedio su un colle, mentre i Traci, in gran

numero, li avevano circondati. Allora Senofonte diede disposizione di tenere sotto stretta sorveglianza quegli uomini,

che potevano servire da guide in caso di necessità. Predispose le sentinelle, convocò le truppe e tenne un discorso:

12 «Soldati, molti degli Arcadi sono caduti e i superstiti sono stretti d'assedio su un colle. Sono convinto che,

se anch'essi moriranno, neppure per noi ci sarà salvezza, perché i nemici sono tanti e sicuri di sé. 13 La cosa migliore

per noi è di correre in loro aiuto al più presto: se sono ancora vivi, combatteremo al loro fianco e non rimarremo soli, ad

affrontare soli anche i pericoli. 16 Da qui siamo tagliati fuori da ogni ritirata. La via del ritorno verso Eraclea, infatti, è

lunga, come pure lunga è la strada per Crisopoli. E poi il nemico ci sta addosso. Brevissimo è invece il tratto per il porto

di Calpe, dove, secondo i nostri calcoli, dovrebbe trovarsi Chirisofo, se si è salvato. Là però non avremo imbarcazioni

con cui partire e, se rimarremo sul posto, i viveri non ci basteranno neppure per un giorno. 17 Se gli Arcadi ora

assediati verranno distrutti e ci toccherà affrontare i rischi delle battaglie con il solo contingente di Chirisofo, per noi

sarà durissima. È più semplice salvare gli Arcadi, concentrare le nostre forze e raggiungere la salvezza, tutti insieme.

Ma bisogna mettersi in marcia preparati all'idea che, adesso, o si muore gloriosamente o si compie una fulgida impresa,

salvando tanti Greci. 18 Forse a dirigere così gli eventi è la divinità, che vuole umiliare i vanagloriosi perché troppo

superbi e concedere più alti onori a noi, che ci regoliamo in base al volere divino. Su, seguite i vostri capi e rimanete

ben attenti, per poter eseguire ogni ordine. 14 Adesso avanzeremo finché non ci sembrerà giunto il momento del

pranzo. Ma nel corso della marcia, Timasione rimarrà in avanscoperta con i cavalieri, senza perderci di vista ed

esplorando la zona antistante l'esercito: dobbiamo evitare ogni sorpresa».

19 Detto ciò, prese la testa dell'esercito. 15 Scelse, tra i gimneti, i soldati più agili e li inviò sulle pendici e le

cime dei monti, con l'incarico di segnalare se avessero avvistato qualcosa. Diede loro l'ordine di incendiare tutto il

materiale combustibile che avessero trovato sulla loro strada. 19 I cavalieri, alla spicciolata, ma sempre entro i limiti di

sicurezza, cominciarono ad appiccare il fuoco. Allo stesso modo i peltasti, che procedevano di pari passo sulle alture,

bruciavano tutto ciò che vedevano d'infiammabile, e pure l'esercito, se s'imbatteva in qualcosa che era stato tralasciato.

Pertanto tutta la regione sembrava avvampare e l'impressione era che l'esercito fosse numeroso. 20 Quando venne il

momento, i Greci si mossero e posero le tende su un colle. Vedevano i fuochi dei nemici, da cui distavano circa

quaranta stadi. Dal canto loro, accendevano quanti più falò potevano. 21 Sùbito dopo aver cenato, velocemente fu

trasmesso l'ordine di spegnere tutti i fuochi. Per la notte dislocarono sentinelle e dormirono: sul far del giorno rivolsero

una preghiera agli dèi e, schierati a battaglia, ripresero a marciare più in fretta che potevano. 22 Timasione e i cavalieri,

in avanscoperta con le guide, senza neppure accorgersene, si trovarono in cima al colle dove i Greci erano stati stretti

d'assedio. Qui non vedono nessun esercito né amico né nemico, [e avvisano Senofonte e le truppe], ma solo delle

vecchie e dei vecchi, pochi capi di bestiame e buoi abbandonati. 23 Dopo il primo momento di stupore per quanto era

accaduto, vennero a sapere dalla gente rimasta lì che i Traci si erano allontanati al calar della sera e poi anche i Greci,

dicevano, erano andati via: dove, però, non lo sapevano.

24 Sapute queste cose Senofonte e i suoi, dopo il rancio, prepararono i bagagli e si incamminarono, con

l'intenzione di raggiungere al più presto gli altri al porto di Calpe. Ma mentre erano in marcia, videro le orme degli

Arcadi e degli Achei lungo la via [che portava a Calpe]. Quando si ricongiunsero, i due gruppi si scorsero

reciprocamente con grande gioia e si salutarono come fratelli. 25 Gli Arcadi chiesero ai soldati di Senofonte perché

avessero spento i fuochi: «In un primo tempo», spiegarono gli Arcadi, «non vedendo più i fuochi, credevamo che

avreste attaccato i nemici nel corso della notte. La stessa convinzione devono averla avuta i nemici, che, per paura di un

attacco, se ne sono andati. Sono partiti, infatti, sùbito dopo. 26 Ma siccome non arrivavate e il tempo passava, abbiamo.52

pensato che vi avessero messi al corrente della nostra situazione e che, spaventati, aveste battuto in ritirata verso il

mare. E la cosa migliore ci era sembrata di non perdere il contatto con voi. Ecco come siamo arrivati qui».

4

1 Per quel giorno si stabilirono lì, sulla spiaggia presso il porto. La zona che prende il nome di porto di Calpe è

nella Tracia asiatica, regione che si estende dall'imboccatura del Ponto fino ad Eraclea, sulla destra per chi naviga verso

il Ponto. 2 Con una triremi, da Bisanzio a Eraclea si impiega una giornata intera di navigazione. In questo tratto di

costa non sorge nessuna città né alleata dei Greci né di fondazione greca, ma vi abitano i Traci Bitini. Si racconta che i

Bitini infliggano torture terribili ai Greci catturati, che capitano lì o per naufragio o per qualsiasi altra ragione. 3 Il

porto di Calpe sorge proprio a pari distanza, navigando sia da Eraclea sia da Bisanzio: un promontorio si protende nel

mare, formato nella parte terminale da una scogliera a precipizio, alta non meno di venti orgie nel punto meno elevato.

L'istmo che lo congiunge alla terraferma è largo all'incirca quattro pletri: la sua area è capace di ospitare diecimila

uomini. 4 Il porto, proprio ai piedi della scogliera, ha una spiaggia che guarda verso tramonto. Nella zona del

promontorio, proprio a un passo dal mare, sgorga una fonte ricca d'acqua dolce. C'è una vegetazione rigogliosa con

piante d'ogni specie e, sulla riva, moltissimi begli alberi che forniscono legname per navi. 5 La cresta montuosa che

collega il promontorio con l'interno, si estende per circa venti stadi ed è ricca di terra e senza pietre. La zona costiera,

per più di venti stadi, è folta di piante d'ogni genere e di alberi d'alto fusto. 6 La parte restante della regione è bella e

ampia, vi sorgono molti villaggi abitati. La terra produce orzo, grano, legumi d'ogni sorta, miglio, sesamo e fichi in

quantità, molte viti che danno vino dolce e ogni altro genere di pianta, tranne l'olivo.

7 Ecco com'era il paese. Si attendarono dunque sulla spiaggia nei pressi del mare. Non vollero porre il campo

nella zona in cui avrebbe potuto sorgere una città, perché sembrava che stabilirvisi potesse corrispondere a un deliberato

piano, dato che alcuni volevano fondare una colonia. 8 La maggior parte dei soldati si erano uniti con la spedizione non

per mancanza di mezzi e alla ricerca di una paga, ma perché avevano sentito parlare del valore di Ciro: c'era chi aveva

portato con sé truppe, chi aveva speso le proprie ricchezze, chi abbandonato padre e madre o lasciato i figli per ritornare

a casa ricchi, sentendo che anche gli altri al séguito di Ciro se la passavano davvero bene. Gente del genere desiderava

solo ritornare in Grecia sana e salva.

9 Il giorno successivo al ricongiungimento dell'esercito, Senofonte celebrò un sacrificio per sapere se uscire dal

campo: era necessaria infatti una sortita in cerca di viveri, ma aveva anche in mente di seppellire i morti. Poiché le

vittime diedero segni favorevoli, uscirono, seguiti anche dagli Arcadi. Seppellirono la maggior parte dei cadaveri sul

posto, proprio dove ciascuno era caduto. Erano già passati cinque giorni e ormai non era più possibile sollevarli da terra.

Alcuni corpi raccolti sulla strada furono sepolti con le esequie più solenni, per quanto lo permettessero le condizioni. A

tutti i soldati non rinvenuti, innalzarono un grande cenotafio, su cui depositarono delle corone. 10 Poi rientrarono

all'accampamento. Dopo il rancio dormirono. L'indomani vi fu l'adunata dei soldati al completo: l'iniziativa partì

soprattutto dai locaghi Agasia di Stinfalo, Ieronimo dell'Elide e da altri Arcadi, i più anziani. 11 Presero una decisione:

se qualcuno, in futuro, avesse solo accennato a dividere in due l'esercito, doveva essere condannato a morte; poi,

bisognava proseguire sulla terraferma, con lo stesso assetto di marcia che l'esercito aveva in precedenza e dovevano

comandare gli stessi capi di prima. Ma Chirisofo era già morto, perché, febbricitante, aveva bevuto un farmaco. Prese il

suo posto Neone di Asine.

12 Dopo di che, si alzò Senofonte e disse: «Soldati, a quanto pare dobbiamo proseguire - è chiaro - il nostro

viaggio a piedi, perché ci mancano le imbarcazioni. Ma siamo costretti a metterci immediatamente in cammino, perché,

se rimaniamo qui, ci mancheranno i viveri. Per parte nostra», proseguì, «celebreremo i sacrifici; ma sta a voi prepararvi

allo scontro, ora più che mai, perché i nemici hanno ripreso coraggio». 13 Quindi gli strateghi sacrificarono, alla

presenza dell'indovino Aressione, arcade. Silano di Ambracia, infatti, aveva disertato da un pezzo, salpando da Eraclea

su un battello preso a nolo. Gli strateghi, che immolavano vittime per sapere se gli dèi consentivano la partenza,

ricevettero responso sfavorevole. Per quel giorno si fermarono. 14 Ci fu gente che ebbe l'impudenza di dire che era

tutto un piano di Senofonte, che voleva fondare una città nella zona e aveva corrotto l'indovino, facendogli dire che i

segni non erano favorevoli alla partenza. 15 Allora Senofonte ordinò all'araldo di annunciare che l'indomani tutti

potevano, volendo, presenziare alla cerimonia e, se c'erano degli indovini, li sollecitava ad assistere per ispezionare le

viscere tutti insieme. E poi procedette al sacrificio: in quell'occasione molti furono i presenti. 16 Immolò vittime per la

partenza, ripetendo le operazioni per ben tre volte, ma il responso restò sfavorevole. Allora i soldati rimasero contrariati.

Stavano terminando le scorte di viveri che avevano al momento del loro arrivo e non c'era nessun mercato dove

trovarne altri.

17 Quindi si riunirono e Senofonte prese di nuovo la parola: «Uomini, riguardo al viaggio, come vedete, le

vittime non danno ancora responso favorevole. Quanto ai viveri invece, so che vi mancano, per cui mi pare che non ci

resti altra soluzione che offrire un sacrificio per saperne di più in proposito». 18 Un soldato si levò in piedi e disse: «Ed

è naturale che i presagi siano sfavorevoli: ieri, da un equipaggio sbarcato qui casualmente, ho sentito dire che Cleandro,

l'armosta di Bisanzio, arriverà con navi e triremi». 19 Allora tutti decisero di restare. Comunque era necessario uscire

dal campo per il vettovagliamento. A tale scopo celebrarono ancora sacrifici, per tre volte, ma il responso fu negativo.

Ben presto davanti alla tenda di Senofonte si formò un assembramento di soldati, che gli dicevano di essere senza

viveri. Senofonte ribadì che non si sarebbero mossi, se le vittime risultavano sfavorevoli..53

20 L'indomani venne ripetuto il sacrificio: quasi al completo, l'esercito assisteva al rito, tutt'attorno alle vittime,

perché era una questione che riguardava tutti quanti. Ma erano venute a mancare le vittime da immolare. Gli strateghi

tuttavia non presero la decisione di uscire dal campo, ma convocarono l'assemblea. 21 Senofonte allora tenne un

discorso: «Forse i nemici si sono radunati e non ci resta che combattere. Se lasciassimo i bagagli in un posto sicuro e ci

muovessimo preparati come a battaglia, forse i responsi sarebbero propizi a noi». 22 Appena lo udirono, i soldati

rumoreggiarono: non c'era nessun bisogno di portare i bagagli al sicuro, ma si doveva sacrificare al più presto. Pecore

non ce n'erano più, per cui comprarono buoi da tiro per immolarli. Senofonte pregò Cleanore l'arcade di compiere il rito

al posto suo, caso mai dipendesse dalla sua presenza. Ma neppure così l'esito fu positivo.

23 Neone, che era stratego al posto di Chirisofo, quando vide che gli uomini erano disperati per la carestia di

viveri, cercò di ingraziarseli; aveva trovato un tale di Eraclea che asseriva di conoscere dei villaggi vicini dove

avrebbero potuto rifornirsi. Neone dunque proclamò che, chi lo volesse, aveva il permesso di andare in cerca di viveri,

sotto la sua guida. Escono dal campo circa duemila persone, con bastoni, otri, borse e altri recipienti. 24 Quando sono

nei villaggi e si disperdono per arraffare, ecco che piombano su di loro i cavalieri di Farnabazo per primi. Erano giunti

in appoggio ai Bitini, perché insieme a quest'ultimi volevano, se possibile, sbarrare ai Greci il passaggio in Frigia. I

cavalieri uccidono non meno di cinquecento uomini, mentre gli altri si rifugiano sul monte. 25 Dopo di che, qualche

fuggiasco porta la notizia all'accampamento. Senofonte, poiché quel giorno le vittime non avevano dato segni

favorevoli, prese un bue da tiro - non c'erano altri animali da sacrificio - e lo immolò. Poi corse in aiuto insieme a tutti i

soldati che, di età, non avevano superato la trentina. 26 Dopo aver recuperato i superstiti, rientrano al campo. Si era

ormai al calar del sole e i Greci, molto depressi, stavano cenando, quand'ecco che, all'improvviso, un gruppo di Bitini

balza dalla macchia e assale gli avamposti greci, massacra alcune sentinelle e insegue le altre fino all'accampamento.

27 Le grida che si levarono fecero correre tutti i Greci alle armi: inseguire il nemico o spostare il campo non

sembravano, di notte, operazioni senza rischi, perché la zona era coperta da una fitta vegetazione. Trascorsero la notte

in armi, rafforzando la sorveglianza con adeguati posti di guardia.

5

1 Trascorsero così la notte. Allo spuntar del giorno gli strateghi guidarono l'esercito in un posto ben munito, i

soldati li seguirono con armi e bagagli. Prima dell'ora del rancio fortificarono la zona scavando un fossato nel punto di

accesso, la circondarono completamente con una palizzata, lasciando tre porte. Da Eraclea intanto giunse un battello

carico di farina, animali da sacrificio e vino. 2 Senofonte si levò di buon'ora e sacrificò per la partenza: il responso è

favorevole fin dalla prima vittima. Quando ormai la cerimonia volge al suo termine, l'indovino, Aressione di Parrasia,

vede un'aquila - segno propizio - ed esorta Senofonte a prendere la testa dell'esercito. 3 Oltrepassarono il fossato e

deposero le armi; poi dall'araldo fecero ordinare ai soldati di riprendere le armi e di rimettersi in marcia, dopo il rancio:

il grosso delle truppe e gli schiavi sarebbero rimasti sul posto. 4 Gli altri dunque si mossero, tutti meno Neone. Si pensò

infatti che fosse meglio lasciarlo a sorvegliare le truppe rimaste al campo. Eppure i suoi locaghi e i suoi soldati lo

lasciarono solo, perché provavano un senso di vergogna nel non seguire la sortita degli altri: restarono sul posto gli

uomini al di sopra dei quarantacinque anni. Quindi gli uni rimasero, gli altri si incamminarono. 5 Non avevano ancora

coperto quindici stadi, e già s'imbatterono nei cadaveri. Quelli della retroguardia, visti i primi morti, cominciarono a

seppellire tutti quanti giacevano nello spazio occupato dalla loro schiera. 6 Una volta sotterrati i primi, procedettero

ancora finché la retroguardia non raggiunse altri corpi insepolti, e poi, con lo stesso procedimento, seppellirono tutti i

cadaveri che l'esercito trovava. Poi giunsero alla strada che proveniva dai villaggi: lì i cadaveri giacevano a mucchi. Li

raccolsero tutti e li sotterrarono in una fossa comune.

7 Si era già oltre la metà della giornata e l'esercito continuava ad avanzare fuori dai villaggi, raccogliendo

qualsiasi tipo di viveri ciascuno vedesse, ma sempre senza uscire dai ranghi. Ma ecco che, all'improvviso, scorgono i

nemici - una massa di cavalieri e fanti schierati in formazione da combattimento - valicare i colli di fronte e riversarsi

giù per la china: erano Spitridate e Ratine inviati da Farnabazo con un contingente. 8 Quando i nemici avvistarono i

Greci, si fermarono a circa quindici stadi di distanza. Immediatamente Aressione [l'indovino dei Greci] immolò vittime,

che diedero sùbito responso positivo. 9 Allora Senofonte dice: «Mi pare, o strateghi, che sia bene disporre in coda allo

schieramento alcuni lochi di riserva, così, in caso di bisogno, daranno manforte alla falange e i nemici, sbandati,

cozzeranno contro forze fresche e ordinate». Il parere venne condiviso da tutti. 10 «Voi dunque», proseguì, «procedete

frontalmente contro il nemico, per non rimanere fermi, dato che ci hanno visti come noi abbiamo visto loro. Io vi

raggiungerò dopo, quando avrò disposto i lochi della retroguardia nella formazione da voi decisa». 11 Allora gli

strateghi avanzarono con l'esercito pian piano, mentre Senofonte distaccò tre lochi della retroguardia, ciascuno di

duecento uomini. Collocò il primo sulla destra, col compito di tener dietro al grosso alla distanza di circa un pletro. Il

comando di questo distaccamento venne affidato all'acheo Samola. Il secondo loco lo separò perché seguisse al centro

sotto la guida dell'arcade Pirria. Il terzo, sulla sinistra, sottostava agli ordini dell'ateniese Frasia.

12 Proseguirono la marcia finché la testa della colonna non si trovò dinnanzi a un canalone ampio e di difficile

transito. Allora si fermarono, non sapendo se lo si potesse attraversare. Trasmettono agli strateghi e ai locaghi l'ordine

di recarsi in testa. 13 Senofonte, mentre ancora si domandava, meravigliato, che cosa bloccasse la marcia, ricevette

sùbito l'avviso di raggiungere la testa e partì a briglia sciolta. Una volta riunitisi, prende la parola Sofeneto, il più.54

anziano degli strateghi, sostenendo che, fosse o non fosse il canalone transitabile, non se ne parlava nemmeno di

oltrepassarlo.

14 Senofonte gli tolse prontamente la parola e replicò: «Sapete bene, o uomini, che di mia volontà non vi ho

mai cacciato nei guai. So infatti che chiedete non tanto una gloria che aumenti il vostro valore, quanto la salvezza. 15

Ora le cose stanno in questi termini: non possiamo allontanarci senza colpo ferire. Se non saremo noi a puntare contro i

nemici, saranno loro a seguirci e a piombarci addosso, non appena ci metteremo in marcia. 16 Pensateci bene: è meglio

muovere all'assalto con gli scudi protesi in avanti oppure gettarceli dietro la schiena e vedere i nemici piombarci alle

spalle? 17 Sapete certamente che la ritirata davanti al nemico è un gesto vile e che, invece, l'inseguimento rende

coraggiosi anche i più codardi. Per quanto riguarda me, preferirei trovarmi ad attaccare con metà dell'esercito piuttosto

che ritirarmi con il doppio. E nemmeno voi, ne sono certo, vi aspettate che questa gente qui, di fronte a un nostro

assalto, ci affronti a piè fermo. Ma se ci ritiriamo, troveranno il coraggio di inseguirci, ognuno di noi lo sa bene. 18

Superare un canalone così impervio e lasciarlo alle nostre spalle, nell'imminenza dello scontro, vi pare un vantaggio da

lasciarsi scappare? Vorrei che al nemico tutte le strade sembrassero comode, tanto comode da indurli alla ritirata. La

natura di questa zona deve insegnarci che non c'è salvezza, se non per i vincitori. 19 Come potremmo attraversare la

pianura, se non batteremo i cavalieri? Come oltrepassare di nuovo le montagne già valicate, se ci inseguirà una massa

così grande di truppe leggere? Personalmente mi pare strano che qualcuno consideri questo vallone più spaventoso

rispetto a tutti gli altri ostacoli da noi superati. 20 E facciamo conto di arrivare sani e salvi al mare: ci troveremo

davanti il Ponto, altro che canalone! Là non avremo navi per andarcene né cibo con cui sfamarci, se rimarremo sul

posto. Quanto prima arriveremo là, tanto prima dovremo uscire di nuovo in cerca di viveri. 21 È meglio combattere

oggi che ci siamo rifocillati piuttosto che domani a stomaco vuoto. Soldati, i responsi delle vittime sacrificali sono

propizi, gli uccelli di buon auspicio, le viscere sono favorevolissime: marciamo contro il nemico. Non dobbiamo, ora

che ci hanno visti, lasciarli mangiare comodamente né piantare le tende dove loro pare e piace».

22 Allora i locaghi lo pregarono di porsi alla loro testa e nessuno ebbe di che obiettare. Senofonte si mise alla

guida, trasmettendo l'ordine che ciascuno superasse il vallone nel punto in cui si trovava. Pensava che così, con

l'esercito compatto, il passaggio del canalone sarebbe stato più rapido che se lo avessero attraversato in fila, sul ponte

sovrastante. 23 Una volta sull'altro versante, muovendosi lungo la linea dello schieramento, Senofonte parlò ai soldati:

«Uomini, richiamate alla mente quante battaglie, grazie agli dèi, avete vinto andando avanti uniti e quante sofferenze

hanno patito coloro che hanno voltato le spalle ai nemici. Tenete anche presente che siamo a un passo dalla Grecia. 24

Su, seguite Eracle come guida e incitatevi l'un l'altro, chiamandovi per nome. È senz'altro bello narrare un nobile gesto

di valore compiuto oggi e lasciare un ricordo agli uomini di cui vogliamo la stima».

25 Così parlava, sfilando a cavallo davanti alle truppe. Nello stesso tempo continuava a condurre la falange,

che marciava contro il nemico protetta sui fianchi dai peltasti. Venne diramato l'ordine di tenere le lance sulla spalla

destra finché la tromba non avesse dato il segnale: poi dovevano spianarle e procedere al passo, senza che nessuno si

lanciasse all'inseguimento di corsa. A questo punto si diffuse di bocca in bocca la parola d'ordine: Zeus salvatore ed

Eracle guida. I nemici non si mossero, convinti che la loro posizione fosse favorevole. 26 Quando furono più vicini, i

peltasti greci lanciarono il grido di battaglia e si misero a correre contro il nemico prima di riceverne l'ordine. I nemici

partirono al contrattacco con i cavalieri e la schiera dei Bitini: i peltasti vennero respinti. 27 Ma quando era ormai

vicina la falange degli opliti, che procedeva spedita, tutto si susseguì in pochi attimi: la tromba suonò, i soldati

intonarono il peana, levarono l'urlo di guerra, puntarono le armi. Allora i nemici non ressero all'assalto e fuggirono. 28

Timasione li inseguì insieme ai cavalieri: erano pochi, sì, ma massacrarono il nemico a più non posso. L'ala sinistra

avversaria, che era schierata di fronte ai cavalieri greci, si sfaldò sùbito, mentre la destra, non incalzata con vigore, si

attestò su un colle. 29 Quando i Greci li videro fermarsi, valutarono che un attacco fosse cosa di tutta facilità e che non

potesse più comportare rischi. Intonarono il peana e sùbito li incalzarono: il nemico non ebbe la forza di resistere.

Allora i peltasti protrassero l'inseguimento finché l'ala destra avversaria non si scompaginò. Poche però furono le

vittime: la cavalleria nemica, molto numerosa, incusse timore agli inseguitori. 30 I Greci poi videro che la cavalleria di

Farnabazo era ancora a ranghi compatti, che i cavalieri bitini si andavano riorganizzando attorno a questa e che dall'alto

di un colle osservavano l'evolversi della situazione. Allora, per quanto stremati, decisero di lanciarsi anche contro

queste truppe, per non dar loro il tempo di riprender fiato e coraggio. 31 Formate le linee, dunque, avanzano. Allora i

cavalieri avversari fuggono giù per il pendio, né più né meno come se fossero inseguiti da altri cavalieri. Alle loro spalle

li attendeva un avvallamento: i Greci non lo sapevano, ma comunque desistettero dall'inseguimento perché si era fatto

tardi. 32 Ritornati al punto in cui aveva avuto inizio la battaglia, innalzarono un trofeo e, al calar del sole, ripresero la

via del ritorno verso il mare: c'erano circa sessanta stadi fino all'accampamento.

6

1 Da quell'istante i nemici si preoccuparono delle loro cose e condussero il più lontano possibile i familiari e i

beni. I Greci si fermarono ad aspettare l'arrivo di Cleandro con triremi e navi da carico. Nel frattempo, uscivano dal

campo ogni giorno con bestie da soma e schiavi, portando indietro frumento e orzo senza correre rischi, nonché vino,

legumi, miglio, fichi. La regione dava ogni sorta di prodotti, tranne l'olivo. 2 Ogni volta che l'esercito rimaneva al

campo per riprendere fiato, ai singoli era concesso di uscire per razzie, e ciascuno teneva per sé il bottino; ma si stabilì

che, quando si muoveva invece l'esercito al completo, ogni preda appartenesse al bottino comune, anche se catturata per.55

conto proprio da chi si era staccato dal grosso. 3 Ormai c'è abbondanza di ogni cosa. Da città greche d'ogni parte

venivano a commerciare e anche chi si trovava a navigare lungo la costa era ben lieto di sbarcare a terra, sentendo che

veniva fondata una città e che c'era un porto. 4 Anche i nemici che abitavano nelle vicinanze mandavano ormai

emissari a Senofonte, perché girava voce che volesse costruire una nuova città nella zona, e gli chiedevano che cosa

dovessero fare per garantirsi la loro alleanza. E lui li presentava ai soldati.

5 Frattanto giunge Cleandro con due triremi, ma senza navi da carico. Il caso volle che al momento del suo

arrivo l'esercito fosse uscito dal campo e che alcuni, spintisi sulla montagna a depredare, avessero catturato parecchie

pecore. Costoro, nel timore che il bottino venisse loro sottratto, si rivolgono a Dessippo, quello che era fuggito da

Trapezunte con la pentecontere, pregandolo di mettere al sicuro le pecore: una parte sarebbe spettata a lui, l'altra

l'avrebbe restituita. 6 Sùbito Dessippo scaccia i soldati che lo avevano attorniato e sostenevano che le pecore erano

bottino comune. Poi si reca da Cleandro e gli comunica che stavano cercando di depredarlo. Cleandro gli ordina di

portargli il colpevole. 7 Allora Dessippo prende il primo che gli capita e lo trascina davanti a Cleandro. Ma proprio in

quel momento sopraggiunge Agasia e libera il malcapitato, che apparteneva al suo loco. Gli altri soldati presenti

cominciano a bersagliare di pietre Dessippo, urlando che è un traditore. Molti dei marinai delle triremi, impauriti,

ripararono verso il mare e anche Cleandro fuggì. 8 Senofonte e gli altri strateghi cercarono di calmare le acque e di dire

a Cleandro che era una cosa da nulla, ma che la colpa dell'accaduto dipendeva solo da una decisione dell'esercito. 9 Ma

Cleandro, vuoi perché sobillato da Dessippo, vuoi per la rabbia conseguente allo spavento, disse che avrebbe levato le

ancore e promulgato a tutte le città l'ordine di non accoglierli, in quanto nemici. Ed era il tempo in cui gli Spartani

comandavano su tutti i Greci. 10 A quel punto le cose sembravano mettersi male per l'esercito, perciò cominciarono a

scongiurarlo. Ma Cleandro disse che non c'era altra soluzione, a meno che non gli consegnassero l'uomo che aveva dato

il via alla sassaiola e l'altro che lo aveva poi strappato a Dessippo. 11 Insomma, quest'ultimo, richiesto da Cleandro,

altri non era che Agasia, da sempre amico di Senofonte: ecco il motivo per cui Dessippo lo calunniava.

Allora, in quella situazione d'incertezza, i capi radunarono l'esercito. C'era chi non dava gran peso a Cleandro,

ma non Senofonte, secondo cui la cosa non era di poco conto. 12 Si alzò in piedi e disse: «Soldati, mi pare che la

situazione non sia affatto semplice, se Cleandro, come dice, se ne va, mantenendo nei nostri confronti una tale

disposizione d'animo. Nelle nostre vicinanze sorgono città greche, e a capo della Grecia ci sono gli Spartani. Sono

capaci, anzi ciascuno di loro è capace di ottenere, in ogni città, ciò che gli pare e piace. 13 Se Cleandro per prima cosa

ci farà sbarrare le porte di Bisanzio e se poi darà ordine ai governatori delle varie città di non accoglierci entro le mura,

perché disobbediamo agli Spartani e siamo dei senza legge e, ancora, se le voci che circolano sul nostro conto

arriveranno al navarco Anassibio, per noi sarà duro tanto restare, quanto andarcene: in questo momento per terra e per

mare comandano gli Spartani. 14 A causa di uno o due non dobbiamo vederci sbattere in faccia le porte della Grecia.

Su, obbediamo ai loro ordini. Del resto anche le città in cui siamo nati sottostanno agli Spartani. 15 Tra l'altro è giunto

alle mie orecchie che Dessippo insiste con Cleandro che Agasia non avrebbe agito così, se non glielo avessi suggerito

io. Perciò scagiono da ogni colpa voi e Agasia, se Agasia stesso ammette che il responsabile dell'accaduto sono io. E se

risulterà che sempre io ho dato vita alla sassaiola o a qualsiasi altro atto di violenza, mi dichiaro pronto a giudicarmi

degno della pena capitale e a renderne ragione. 16 Affermo però che, se anche qualcun altro è accusato, deve

consegnarsi a Cleandro in vista del giudizio: così potrete rimaner liberi da ogni imputazione. Per come stanno adesso le

cose, sarebbe davvero amaro se, mentre ci aspettiamo di ottenere in Grecia elogi e onori, ci trovassimo al contrario su

un piano di inferiorità rispetto agli altri, vedendoci addirittura scacciati dalle città elleniche».

17 Dopo di che, si alzò Agasia e disse: «Uomini, vi giuro sugli dèi e le dee che Senofonte non mi ha istigato a

sottrarre quell'uomo, come pure nessuno di voi. Avevo visto un mio valoroso soldato trascinato via da Dessippo, un

traditore, lo conoscete bene. Mi è sembrato un fatto inaudito, e gliel'ho strappato dalle mani, lo ammetto. 18 Ma non

consegnatemi voi: sarò io stesso, come suggerisce Senofonte, a sottopormi spontaneamente al giudizio di Cleandro e ad

accettare ogni sua decisione. Per un motivo del genere non dovete certo scendere in guerra con gli Spartani, ma

piuttosto trarvi in salvo in tutta sicurezza dove ciascuno di voi preferisce. Vi chiedo solo di scegliere alcuni dei vostri e

di inviarli con me da Cleandro: nel caso che, nel mio discorso, trascurassi qualche dettaglio, saranno loro a dire o a fare

quanto possono in mio aiuto».

19 Allora l'esercito gli concesse di scegliere personalmente chi volesse. Scelse gli strateghi. Dopo di che, si

recarono da Cleandro Agasia, gli strateghi e il soldato che Agasia aveva sottratto a Dessippo. 20 Presero la parola gli

strateghi: «Sono le truppe a inviarci a te, Cleandro, pregandoti di giudicarle e di far di loro ciò che vuoi, se accusi tutti.

Nel caso che le imputazioni ricadano invece su un soldato solo o due o più, ritengono giusto rimetterli al tuo giudizio.

Se accusi uno di noi, eccoci qui. Se invece incolpi qualcun altro, indicalo. Di tutti quelli che ci obbediscono, nessuno si

tirerà indietro». 21 Dopo si fece avanti Agasia: «Sono stato io, o Cleandro, a sottrarre quest'uomo dalle mani di

Dessippo che lo stava trascinando a te, sono stato io a istigare gli altri a malmenarlo. 22 Conosco quest'uomo, un

soldato valoroso. Di Dessippo invece so che era stato scelto dall'esercito per comandare una pentecontere concessaci dai

Trapezuntini per raccogliere altre navi e raggiungere la salvezza; ma [Dessippo] se n'è andato, ha tradito proprio i

compagni con i quali si era salvato. 23 Insomma, abbiamo derubato di una pentecontere i Trapezuntini e, a causa sua,

siamo passati per sleali, anzi, se era per lui, eravamo già tutti morti. Aveva sentito infatti - come pure l'avevamo sentito

noi - che, marciando via terra, era impossibile superare i fiumi che ci stavano davanti e arrivare sani e salvi in Grecia.

Ecco perché, di fronte a un codardo del genere, ho liberato il mio soldato. 24 Se l'avessi arrestato tu o qualcuno dei

tuoi, e non un disertore, sta' sicuro che non mi sarei comportato così. Tieni perciò presente che, se ora mi mandi a

morte, uccidi un uomo perbene per colpa di un vigliacco, di un infame»..56

25 Dopo aver ascoltato le sue parole, Cleandro rispose che non lodava certo Dessippo, se aveva agito così.

«Non per questo», soggiunse, «neppure se Dessippo fosse l'essere più spregevole della terra, bisognava far ricorso alla

forza e maltrattarlo: solo dopo un processo doveva pagare la pena, come adesso ammettete anche voi. 26 Ora andate,

ma lasciate qui Agasia. Quando ve lo ordinerò, assisterete al processo. Non getto la colpa né sull'esercito né su nessun

altro, dal momento che quest'uomo confessa di aver sottratto all'arresto il soldato». 27 A quel punto prese la parola il

soldato strappato dalle mani di Dessippo: «Cleandro, tu puoi credere che io sia stato arrestato per colpe da me

commesse, ma non ho colpito nessuno né scagliato sassi; mi sono limitato a dire che le pecore appartenevano al bottino

comune. Era in vigore, infatti, una delibera dell'esercito per cui, ogni qual volta l'esercito fosse uscito al completo, erano

considerate bottino comune anche le prede raccolte individualmente. 28 Ho solo detto questo, e sùbito Dessippo mi ha

preso e trascinato a giudizio, perché nessuno fiatasse e lui, contro l'ordinanza dell'esercito, potesse tenersi la sua parte,

restituendo il resto del bottino a chi l'aveva catturato». Allora Cleandro disse: «Siccome sei colpevole anche tu, rimani

qui, prenderemo una decisione anche sul tuo conto».

29 Dopo di che, Cleandro e i suoi pranzarono. Senofonte radunò l'esercito e consigliò di inviare a Cleandro una

delegazione per intercedere a favore dei due trattenuti. 30 Decisero di mandare strateghi e locaghi, e inoltre Dracontio

lo Spartiate e alcuni altri che sembravano indicati per chiedere a Cleandro in ogni maniera di liberare i due uomini. 31

Una volta lì, Senofonte dice: «Hai in tuo potere, Cleandro, i nostri due soldati. L'esercito si piega al tuo volere, per

quanto riguarda sia i due accusati sia tutti quanti loro. Adesso però ti pregano, ti supplicano di restituire i due e di non

metterli a morte: in passato hanno sofferto molto per l'esercito. 32 Nel caso ottenessero da te questo beneficio, in

cambio ti promettono che, se vorrai metterti alla loro testa e se gli dèi saranno benigni, sapranno dimostrarti che sono

disciplinati, che sanno obbedire al capo e, grazie agli dèi, non hanno paura di fronte al nemico. 33 Ti pregano ancora di

un favore: quando li raggiungerai e prenderai il comando, metti alla prova Dessippo e tutti gli altri, soppesa la natura di

ciascuno e poi da' a ognuno ciò che merita». 34 Allora, dopo aver ascoltato, Cleandro disse: «Per i Dioscuri, è presto

detto. Vi restituisco i due soldati e sarò con voi. E se gli dèi lo concederanno, vi riporterò in Grecia. I vostri discorsi non

corrispondono affatto alle voci che mi erano giunte sul conto di alcuni di voi, e cioè che volevate staccarvi dagli

Spartani».

35 Allora la delegazione, profondendosi in lodi con Cleandro, se ne andò insieme ai due. Cleandro celebrò un

sacrificio per il viaggio e si intrattenne amichevolmente con Senofonte, tanto che tra loro si instaurarono stabili legami

d'ospitalità. Quando Cleandro vide i soldati eseguire gli ordini con senso del dovere, ancor più vivamente desiderò di

prenderne il comando. 36 Ma poi, per tre giorni consecutivi, le vittime sacrificali non diedero responsi favorevoli, per

cui convocò gli strateghi e disse: «Le vittime mi prescrivono di non guidare il vostro esercito. Non per questo dovete

scoraggiarvi. Sta a voi, a quanto pare, ricondurre in patria i soldati. Quando arriverete, saremo là ad accogliervi, con

tutti gli onori possibili».

37 A quel punto i soldati decisero di donare a Cleandro le pecore del bottino comune. Le accettò, ma poi le

restituì. Quindi sciolse gli ormeggi. I soldati, dopo aver venduto il grano raccolto e gli altri prodotti razziati, si misero in

marcia attraverso le terre dei Bitini. 38 Poiché durante la loro marcia in linea retta non trovarono nulla da depredare,

per non arrivare a mani vuote in terra amica decisero di tornare indietro e di proseguire il cammino per un giorno e una

notte. Così catturarono molti schiavi e parecchio bestiame. Nel sesto giorno di marcia giunsero a Crisopoli di

Calcedonia, dove rimasero sette giorni per vendere il bottino.

LIBRO VII

1

1 [Le vicende dei Greci durante la spedizione di Ciro fino alla battaglia, gli avvenimenti che seguirono alla sua

morte nel corso del viaggio fino al Ponto, i fatti concernenti l'uscita dei Greci dall'imboccatura del Ponto, via terra e via

mare, fino al loro arrivo a Crisopoli in Asia, è tutto esposto nella narrazione precedente.]

2 A quel punto Farnabazo, per timore che l'esercito greco attacchi il suo paese, manda un emissario al navarco

Anassibio - che si trovava in Bisanzio - e lo prega di trasportare le truppe sulla sponda opposta, via dall'Asia,

promettendogli che avrebbe soddisfatto ogni sua richiesta. 3 Anassibio allora convocò a Bisanzio gli strateghi e i

locaghi e si assunse l'impegno di corrispondere una paga ai soldati, se avessero passato lo stretto. 4 Tutti gli altri

strateghi dissero che avrebbero riferito la decisione dopo averne discusso in assemblea, ma Senofonte lo avvertì che di lì

a poco avrebbe lasciato l'esercito e che voleva salpare. Anassibio lo invitò a rimaner con le truppe durante il passaggio

dello stretto e a partire solo a operazione ultimata. Senofonte acconsentì.

5 Seute il traceinvia Medosadeper pregare Senofonte di dare tutto il suo appoggio al trasbordo dell'esercito: in

caso di collaborazione, non avrebbe avuto di che pentirsene. 6 Senofonte rispose: «L'esercito attraverserà lo stretto in

ogni caso. Per raggiungere il suo scopo, Seute non deve pagare né me né altri; quando l'esercito sarà sulla riva opposta,

me ne andrò per conto mio, per cui si rivolga pure, nei termini che gli paiono sicuri, a chi rimarrà e avrà i requisiti per

trattare».

7 Dopo, tutti i soldati si trasferiscono a Bisanzio. Ma Anassibio non versò la paga promessa; tramite l'araldo,

intimò ai soldati di prendere armi e bagagli e di uscire dalla città, per farne la conta e, al tempo stesso, liberarsene..57

Allora i soldati, risentiti perché non avevano il denaro per rifornirsi di viveri in vista del viaggio, se la presero comoda

coi preparativi. 8 Senofonte, che aveva stretto legami d'ospitalità con l'armosta Cleandro, si recò da lui a salutarlo,

perché era ormai sul piede di partenza. Ma Cleandro gli disse: «Non farlo, altrimenti ti metteranno sotto accusa, tanto

più che già adesso c'è gente che t'incolpa perché l'esercito non si affretta a partire». 9 E Senofonte: «Non sono certo io

il colpevole; sono i soldati che hanno bisogno di rifornimenti e perciò non se la sentono di rimettersi in marcia». 10

«Comunque», ribatté l'altro, «ti consiglio di uscire dalla città come se ti preparassi a compiere il viaggio insieme agli

altri. Una volta che l'esercito sarà fuori Bisanzio, allora va' pure per conto tuo». «Raggiungiamo Anassibio», disse

Senofonte, «e mettiamo a punto la faccenda». Così, si recarono da Anassibio e lo misero al corrente.

11 Anassibio esortò Senofonte a seguire il consiglio di Cleandro e disse che i soldati dovevano preparare i

bagagli e uscire dalla città al più presto. E, aggiunse, chi non si presenterà alla rassegna e alla conta, dovrà prendersela

con se stesso.

12 Allora uscirono per primi gli strateghi e poi gli altri. Tranne pochi casi, erano tutti quanti fuori delle mura.

Eteonicoera piazzato sulle porte, per chiudere i battenti e sprangarle, non appena l'ultimo avesse messo piede fuori. 13

Anassibio convocò gli strateghi e i locaghi e disse: «Rifornitevi pure nei villaggi traci: c'è orzo, grano e viveri d'altro

genere in quantità. Prendete il necessario e poi dirigetevi verso il Chersoneso, dove Cinisco vi distribuirà il soldo». 14

Alcuni soldati che avevano udito le parole di Anassibio - o forse anche qualche locago -, le riportarono all'esercito.

Intanto gli strateghi cercavano di prendere informazioni su Seute, se fosse nemico o amico e se dovessero valicare il

Monte Sacrooppure aggirarlo passando nel cuore della Tracia.

15 Mentre ancora se ne discute, i soldati afferrano le armi e corrono alle porte, intenzionati a rientrare nella

cinta muraria. Eteonico e i suoi, come vedono gli opliti precipitarsi verso la città, chiudono le porte e le sbarrano. 16 I

soldati prendono a battere sulle porte e a gridare che era un'ingiustizia gravissima, li si lasciava in balìa del nemico:

dicevano che avrebbero abbattuto le porte, se non le aprivano spontaneamente. 17 Alcuni corrono verso il mare e lungo

il molo delle mura dilagano in città; altri soldati, che si trovavano ancora all'interno, non appena vedono il parapiglia

presso le porte, spezzano le spranghe con le loro asce e spalancano i battenti: tutti si riversano dentro.

18 Senofonte, quando vede cosa sta accadendo, nel timore che la truppa si dia al saccheggio e che si

verifichino guai irreparabili per la città, per lui stesso e per l'esercito, di corsa si precipita all'interno delle mura,

mischiandosi alla massa dei soldati. 19 I Bizantini, non appena vedono l'esercito fare irruzione, fuggono via dal

mercato, gli uni verso le navi, gli altri verso casa, mentre tutti quelli che erano in casa si proiettano fuori; altri ancora

calano in mare le triremi, per cercare scampo a bordo; tutti erano convinti che fosse giunta l'ultima ora, come se la città

fosse caduta in mano nemica. Eteonico fugge sull'acropoli. 20 Anassibio invece scende al mare di corsa e, su una barca

da pesca, si dirige dalla parte opposta della città, fin sotto l'acropoli, mandando sùbito a chiamare la guarnigione di

Calcedone, perché le truppe dell'acropoli non sembravano in grado di frenare quegli uomini.

21 I soldati, come scorgono Senofonte, si precipitano da lui e gli dicono: «Adesso ti si presenta l'occasione,

Senofonte, di dimostrare il tuo valore. Hai in pugno una città, hai triremi, hai mezzi, hai tanti uomini a disposizione.

Ora, se fossi disposto, potresti essere utile a noi e noi potremmo rendere potente te». 22 Senofonte, nell'intento di

frenarli, rispose: «Ben detto, lo farò. Ma se è questo che volete, posate a terra le armi e formate i ranghi, sùbito».

Trasmette l'ordine personalmente e comanda agli altri di diramarlo e di deporre le armi. 23 I soldati si schierarono

autonomamente: gli opliti, in un attimo, si allinearono su file di otto, mentre i peltasti, di corsa, erano già andati in

posizione sulle due ali. 24 Il luogo, detto il Tracio, è adattissimo allo spiegamento dell'esercito, privo com'è di case e

pianeggiante. Quand'ebbero deposto le armi e si furono calmati, Senofonte si rivolse alla truppa con le seguenti parole:

25 «Non mi meraviglio, valorosi soldati, che siate incolleriti e pensiate di essere stati raggirati, di aver patito un

sopruso gravissimo. Ma considerate quali saranno le conseguenze, se indulgeremo alla nostra ira e, come vendetta per

l'inganno subìto, ce la prenderemo con gli Spartani presenti mettendo a sacco la città, che non ha nessuna colpa. 26

Saremo additati come nemici degli Spartani e dei loro alleati. E c'è modo di congetturare quale guerra ne scaturirebbe:

basta riflettere sul recente passato e richiamarlo alla mente. 27 Noi Ateniesi siamo scesi in guerra con gli Spartani e i

loro alleati: avevamo non meno di trecento triremi, parte in mare, parte negli arsenali, con grandi risorse economiche in

città e con un'entrata annua non inferiore ai mille talenti, che provenivano dai tributi interni ed esterni; poi, eravamo

signori di tutte quante le isole e controllavamo parecchie città in Asia e in Europa e molte altre ancora, come la stessa

Bisanzio, dove ora siamo. Ebbene, pur disponendo di tante risorse, siamo stati sconfitti come voi tutti sapete. 28

Dunque, pensiamo a cosa dovremo patire adesso che gli Spartani, oltre a conservare i vecchi alleati, hanno pure

l'appoggio degli Ateniesi e di tutti i loro alleati di un tempo. E non dimentichiamo, poi, l'ostilità di Tissaferne e di tutti i

popoli barbari della costa e quel nostro acerrimo nemico, il re dell'interno, contro cui abbiamo marciato per spodestarlo

e ucciderlo, se riuscivamo. Contro tutti questi nemici insieme, chi è così insensato da credere in una nostra vittoria? 29

Per gli dèi, non facciamo pazzie, evitiamo una morte turpe, dopo essere diventati nemici della patria, dei nostri amici e

familiari. Vivono tutti in città che saranno pronte a organizzare una spedizione contro di noi, e a ragione, se è vero che

non abbiamo voluto prender possesso di nessuna città barbara, pur avendone alla nostra mercé, mentre mettiamo a ferro

e fuoco la prima città greca in cui capitiamo. 30 Per conto mio, mi auguro di sprofondare diecimila orgie sotto terra,

prima di vedervi compiere atti del genere. Siete Greci! Perciò vi consiglio di obbedire a chi comanda sui Greci e di

cercare così di ottenere giustizia. E se anche non vi riuscisse, allora, nonostante il torto subìto, dovete tentare almeno di

non essere privati della Grecia. 31 Al momento attuale il mio parere è di avvertire Anassibio che siamo penetrati in

città non per commettere atti di violenza, ma, se possibile, per vederci accordato qualche privilegio oppure, in caso.58

contrario, almeno per dimostrare che siamo noi a lasciare la città, per il nostro senso di disciplina, e non perché

ingannati».

32 La sua proposta fu approvata. Mandano Ieronimo dell'Elide, l'arcade Euriloco e l'acheo Filesio per

informare Anassibio della decisione. I tre partirono per l'ambasceria.

33 Mentre i soldati sono ancora seduti in assemblea, si fa avanti il tebano Ceratade, che vagava di città in città

non perché l'avessero bandito dalla Grecia, ma perché voleva offrirsi come stratego, se mai qualche città o popolazione

avesse avuto bisogno di un comandante. Si presentò allora e si disse pronto a guidarli al cosiddetto Delta della Tracia,

dove avrebbero potuto trovare beni d'ogni sorta; finché non fossero arrivati, garantiva cibi e bevande a non finire. 34

Mentre i soldati ascoltano le parole di Ceratade, vengono a conoscenza anche della risposta di Anassibio: aveva detto

che non si sarebbero pentiti di obbedire; avrebbe informato i magistrati in patria e si sarebbe impegnato a prendere

provvedimenti in loro favore, nei limiti delle sue possibilità. 35 A quel punto, i soldati accettano Ceratade come

stratego ed escono dalla cinta di Bisanzio. Ceratade si accorda con loro per raggiungere l'esercito il giorno successivo,

portando con sé animali da sacrificio, un indovino, cibo e bevande per la truppa. 36 Non appena furono fuori città,

Anassibio chiuse le porte e promulgò un bando: chi dei soldati fosse stato sorpreso entro le mura, sarebbe stato venduto

come schiavo. 37 Il giorno seguente, Ceratade giunse con gli animali per il sacrificio e l'indovino. Lo seguivano venti

persone che trasportavano farina, altri venti con vino, tre con olive, uno con una cesta di aglio così carica che più non si

poteva e un altro con delle cipolle. Ceratade, dopo aver deposto tutto a terra per la distribuzione, procedette al sacrificio.

38 Senofonte intanto aveva convocato Cleandro e lo pregava di adoperarsi per fargli avere il permesso di

entrare in città e di salpare da Bisanzio. 39 Cleandro, al suo ritorno, disse: «Che fatica riuscire a ottenere il permesso!

Ma ce l'ho fatta. Anassibio sostiene che non è prudente che tu metta piede in città mentre i soldati sono nei pressi delle

mura. I Bizantini sono in fermento e ci sono ostilità tra le varie fazioni. Comunque, ti concede di entrare, a patto che ti

imbarchi con lui». 40 Senofonte, dopo aver salutato i soldati, entra in città con Cleandro.

Ceratade il primo giorno non ebbe responso favorevole dalle vittime e non distribuì nulla ai soldati. Il giorno

dopo, le vittime erano pronte accanto all'altare e Ceratade aveva il capo incoronato per celebrare il sacrificio,

quand'ecco sopraggiungere Timasione di Dardano, Neone di Asine e Cleanore di Orcomeno: gli dissero di non fare

sacrifici, perché non avrebbe avuto il comando dell'esercito, se prima non avesse fornito i viveri. Ceratade allora ordinò

di procedere alla distribuzione. 41 Ma ci voleva ben altro perché fosse assicurata una razione a testa, anche solo per

quel giorno. Allora riprese le sue vittime e se ne andò, rinunciando al comando.

2

1 Neone di Asine, Frinisco l'acheo, Filesio l'acheo, Santicle l'acheo e Timasione di Dardano rimasero alla testa

dell'esercito e, spintisi fino ai villaggi traci nei dintorni di Bisanzio, posero lì il campo. 2 Tra gli strateghi si verificò un

contrasto: Cleanore e Frinisco volevano condurre le truppe da Seute, che li aveva corrotti donando all'uno un cavallo,

all'altro una donna. Neone insisteva per passare nel Chersoneso, convinto che il comando assoluto sarebbe toccato a lui,

se l'esercito si fosse trovato sotto l'autorità spartana. Timasione invece desiderava ricondurre le truppe sull'altra sponda

del canale, in Asia, sicuro di poter così tornare a casa. E anche i soldati avevano lo stesso desiderio. 3 Col passare del

tempo, molti soldati o salparono alla bell'e meglio, vendute le loro armi nei villaggi, oppure, regalandole [le armi nei

villaggi], si mescolarono agli abitanti delle città. 4 Anassibio si rallegrò, quando venne a sapere che l'esercito andava in

pezzi: con una situazione del genere credeva di poter compiacere moltissimo Farnabazo.

5 Levate le ancore da Bisanzio, Anassibio a Cizicoincontra Aristarco, il successore di Cleandro come armosta

di Bisanzio. Gira voce che, di lì a poco, nell'Ellesponto sarebbe giunto Polo, destinato a rilevare Anassibio nella carica

di navarco. 6 Allora Anassibio dà compito ad Aristarco di vendere come schiavi tutti i soldati dell'armata di Ciro che

avesse sorpreso ancora entro le mura di Bisanzio. Cleandro invece non aveva venduto nessuno, anzi aveva prestato

soccorso agli ammalati, provandone compassione e costringendo gli abitanti a dar loro ricovero nelle case. Aristarco,

non appena mise piede in città, procedette alla vendita di non meno di quattrocento soldati. 7 Anassibio, che intanto era

sbarcato a Pario, manda un messaggio a Farnabazo secondo gli accordi. Farnabazo però, non appena apprese che

Aristarco, il nuovo armosta, era giunto a Bisanzio e che Anassibio era stato destituito dalla carica di navarco, mise da

parte quest'ultimo e si rivolse ad Aristarco per definire l'intesa già tracciata con Anassibio riguardo all'esercito di Ciro.

8 Anassibio allora convoca Senofonte e lo invita a salpare, in ogni modo e maniera, per raggiungere quanto

prima l'esercito: doveva riunirlo, radunando il maggior numero possibile di uomini che si erano disseminati qua e là,

condurlo a Perinto e trasbordarlo in Asia, al più presto. Gli affida una triacontere e una lettera; lo fa accompagnare da

un messo per intimare ai Perinti di fornire a Senofonte la scorta di uno squadrone di cavalleria fino alle sue truppe, con

la massima celerità. 9 Senofonte attraversa lo stretto e raggiunge l'esercito. I soldati lo accolsero con gioia e sùbito si

dichiararono felici di lasciare la Tracia per l'Asia.

10 Quando seppe dell'arrivo di Senofonte, Seute gli inviò per la seconda volta Medosade, via mare,

chiedendogli di raggiungerlo con l'esercito: gli prometteva mari e monti, pur di convincerlo. Ma Senofonte rispose che

niente di tutto ciò era possibile. Medosade, di fronte a tale risposta, se ne andò. 11 Quando i Greci furono a Perinto,

Neone si separò e si accampò per conto proprio, con ottocento uomini. Tutto il resto dell'esercito rimase riunito sotto le

mura di Perinto..59

12 Dopo, Senofonte cercò qualche nave per salpare in fretta. Nel frattempo, con due triremi, giunge da

Bisanzio l'armosta Aristarco e, su pressione di Farnabazo, proibisce ai proprietari di navi di trasportare le truppe

sull'altra sponda; poi, raggiunto l'esercito, ingiunge ai soldati di non passare in Asia. 13 Senofonte protestò: «È un

ordine di Anassibio, mi ha mandato qui appositamente». Aristarco replicò: «Primo, Anassibio non è più navarco;

secondo, sono io l'armosta. E se sorprenderò qualcuno di voi in mare, lo colerò a picco». Quindi rientra in città. Il

giorno dopo, convoca gli strateghi e i locaghi dell'esercito. 14 Quando sono ormai nelle vicinanze della cinta, qualcuno

avverte Senofonte: se avesse messo piede in città, l'avrebbero arrestato, per poi condannarlo a morte sul posto oppure

consegnarlo nelle mani di Farnabazo. Allora Senofonte manda gli altri in avanti, con la scusa di voler celebrare un

sacrificio. 15 Tornato indietro, immola vittime per sapere se gli dèi lo assistevano nel suo tentativo di condurre

l'esercito da Seute. Era consapevole delle difficoltà della traversata, perché chi gliela voleva impedire disponeva di

triremi; del resto, non intendeva andare a chiudersi nel Chersoneso, dove l'esercito si sarebbe trovato a corto di tutto e

avrebbe dovuto sottostare, per forza di cose, all'armosta della regione; le truppe inoltre non avrebbero avuto neppure la

possibilità di rifornire l'esercito di vettovaglie.

16 Tali pensieri rimuginava Senofonte. Intanto gli strateghi e i locaghi, di ritorno dall'incontro con Aristarco,

annunciavano che per il momento li aveva congedati, ma dovevano ripresentarsi nel pomeriggio: era ancor più chiaro

che si trattava di una trappola.

17 Senofonte dunque, poiché i responsi delle vittime sembravano favorevoli per lui e l'esercito in vista di un

trasferimento da Seute senza correre rischi, prese con sé il locago ateniese Policrate e un uomo di fiducia di ciascun

stratego, eccetto Neone: di notte s'avviò verso l'esercito di Seute, che distava sessanta stadi. 18 Quando erano ormai

nelle vicinanze, Senofonte si imbatte in falò abbandonati. In un primo tempo pensò che Seute si fosse spostato da

qualche altra parte, ma poi sentì del frastuono e si accorse che i soldati di Seute si mandavano segnali. Comprese allora

che i fuochi erano stati accesi volutamente da Seute davanti ai posti di guardia delle sentinelle notturne: così, tra le

tenebre, non si potevano vedere le sentinelle né capire quante fossero o dove fossero, mentre chi sopraggiungeva non

poteva sfuggire all'avvistamento, perché la luce lo illuminava in pieno.

19 Quando se ne rende conto, manda in avanti l'interprete che era al suo séguito e lo incarica di riferire a Seute

che Senofonte era arrivato e voleva un incontro. All'interprete chiesero se si trattasse dell'Ateniese che faceva parte

dell'esercito. 20 Alla sua risposta affermativa, balzarono a cavallo e partirono a briglia sciolta. Poco dopo erano di

ritorno duecento uomini circa, armati alla leggera, che scortarono Senofonte e i suoi da Seute. 21 Seute era in una torre

circondata da un imponente servizio di sorveglianza, con tutt'intorno cavalli già pronti col morso in bocca: per timore

infatti di giorno faceva pascolare i cavalli, mentre di notte stava in guardia tenendoli col morso in bocca. 22 Si

raccontava infatti che un tempo un suo avo, Tere, proprio in quella regione, pur disponendo di un forte esercito, aveva

perso molti uomini, insieme alle salmerie, per mano di un popolo indigeno, i Tini, che avevano fama di essere i

combattenti più valorosi di tutti, specialmente di notte.

23 Quando furono nei pressi, Seute ordinò a Senofonte di entrare insieme a due uomini a sua scelta. Una volta

che furono dentro la torre, prima di tutto si salutarono e, secondo l'uso tracio, bevvero da corni pieni di vino. Con Seute

c'era anche Medosade, che lo rappresentava in tutte le ambascerie, dovunque. 24 Senofonte quindi cominciò a parlare:

«Seute, mi hai mandato Medosade, qui presente, per la prima volta a Calcedone, per chiedermi di collaborare

attivamente per la partenza dell'esercito dall'Asia, dietro promessa che, se fossi riuscito nell'intento, mi avresti

degnamente ricompensato, così ha detto Medosade». 25 Allora domandò a Medosade se fosse vero. Rispose di sì.

«Medosade in séguito si è ripresentato», proseguì Senofonte, «quando mi ero ricongiunto con l'esercito dopo la

traversata venendo da Pario. In quell'occasione mi assicurava che, se io avessi condotto da te l'esercito, non solo mi

avresti trattato come un amico e un fratello, ma mi avresti anche donato le località in riva al mare che sono sotto la tua

autorità». 26 A quel punto Seute si rivolse nuovamente a Medosade, chiedendogli se erano parole sue. Anche questa

volta confermò. «Su dunque», riprese Senofonte rivolto a Medosade, «spiega a Seute che cosa ti ho risposto nel primo

caso, a Calcedone». 27 «Mi hai risposto che l'esercito sarebbe passato a Bisanzio e che, a tale scopo, non c'era nessun

bisogno di pagare niente, né a te né ad altri. E avevi aggiunto che, una volta sull'altra riva dello stretto, saresti partito per

conto tuo. E proprio così sono andate le cose». 28 «E che cosa ti ho detto, quando mi hai raggiunto a Selimbria?». «Che

la cosa non si poteva fare e che sareste andati a Perinto per poi passare in Asia». 29 «Adesso comunque sono qui»,

riprese Senofonte, «insieme a Frinisco, uno degli strateghi, e a Policrate, eccolo, un locago. All'esterno ci sono gli

uomini di fiducia inviati da tutti gli strateghi meno che da Neone il lacone. 30 Se perciò vuoi che la faccenda abbia

maggiori garanzie, chiama dentro anche loro. Per quanto riguarda le armi, va' tu, Policrate, e avvisali di lasciarle a terra.

Lascia fuori anche la tua spada, prima di rientrare».

31 Nell'udire tali parole, Seute disse che non avrebbe diffidato mai di un Ateniese. Sapeva di avere legami di

parentela, li considerava buoni amici. Quindi, una volta entrati gli uomini, per prima cosa Senofonte domandò a Seute a

quale scopo gli servisse l'esercito. 32 Ecco la sua risposta: «Mesade, mio padre, governava su Melanditi, Tini e

Tranipsi. Dopo il declino della supremazia degli Odrisi, fu scacciato da questa regione, si ammalò e morì. Io rimasi

orfano e fui allevato alla corte di Medoco, l'attuale re. 33 Ma non appena giunsi all'adolescenza, cominciai a non

sopportare più di vivere con gli occhi bassi su una tavola altrui. Allora andai a sedermi accanto a Medoco,

supplicandolo di concedermi quante più truppe potesse, per vendicarmi, se riuscivo, di chi mi aveva scacciato e per

vivere senza dover più tenere gli occhi bassi alla sua tavola. 34 Allora mi diede gli uomini e i cavalieri che vedrete non

appena si farà giorno. Adesso vivo con loro, costretto a depredare la stessa terra su cui i miei padri regnavano. Se mi.60

darete il vostro aiuto, col favore degli dèi credo che riuscirei a riprendermi facilmente il regno. Ecco a che cosa mi

servite».

35 E Senofonte: «Se passassimo dalla tua parte, che cosa potresti dare all'esercito, ai locaghi e agli strateghi?

Parla, così costoro potranno riferire». 36 Seute promise un ciziceno per i soldati semplici, il doppio per i locaghi e il

quadruplo per gli strateghi, e poi terre a volontà, buoi da tiro e una fortezza sul mare, ben munita. 37 «Ma se», riprese

Senofonte, «nonostante l'impegno, dovessimo fallire nell'impresa e aver paura degli Spartani, sarai disposto ad

accogliere nelle tue terre chi vorrà cercar rifugio presso di te?». 38 Seute rispose: «Li tratterò addirittura come fratelli,

siederanno alla mia tavola e parteciperanno di tutte le ricchezze di cui riusciremo a impossessarci. E a te, Senofonte,

darò in sposa mia figlia e, se ne hai una, la comprerò, come vuole l'uso tracio. Inoltre, ti darò come dimora Bisante, la

più bella località che posseggo sul mare».

3

1 Dopo aver udito la sua proposta, si strinsero le destre e i Greci si allontanarono. Prima che spuntasse il sole,

rientrarono al campo e ognuno fece rapporto a chi l'aveva mandato. 2 Quando fu giorno, Aristarco chiamò di nuovo gli

strateghi, che però decisero di rinunciare alla sua convocazione e di riunire, piuttosto, l'esercito in assemblea. Si

presentarono tutti, tranne i soldati di Neone, che erano a una distanza di circa dieci stadi. 3 Quando furono tutti

convenuti, si alzò Senofonte e parlò così: «Uomini, Aristarco con le sue triremi ci impedisce di far vela dove vogliamo:

imbarcarci è rischioso. Anzi, è proprio lui a insistere perché passiamo con la forza nel Chersoneso attraverso il Monte

Sacro. Se riusciremo nell'impresa e giungeremo là, assicura che non vi venderà più schiavi, come aveva fatto prima a

Bisanzio, né vi ingannerà ancora, anzi garantisce che vi sarà pagato il soldo e non permetterà più di vedervi, come ora, a

corto di viveri. 4 Ecco cosa ha detto. Seute invece promette che vi ricompenserà, se vi metterete ai suoi ordini. Ora

comunque considerate se, prima di tutto, volete restar qui a decidere sulla questione o se preferite uscire in cerca di

rifornimenti. 5 A mio avviso, siccome qui non abbiamo soldi per comprare i viveri e senza soldi non ci permettono di

farne incetta, dobbiamo ritornare ai villaggi dove gli abitanti, più deboli di noi, non potranno ostacolare le nostre razzie;

una volta là, quando avremo i viveri, ascolteremo le varie proposte e sceglieremo quale ci sembrerà la migliore. 6 Chi è

d'accordo, alzi la mano». La alzarono tutti quanti. «Sciogliamo l'assemblea», concluse Senofonte, «e andate a preparare

i bagagli: quando vi sarà comunicato, seguite il vostro comandante».

7 Quindi Senofonte si mise alla testa e gli altri lo seguirono. Neone e altri emissari di Aristarco cercarono di

convincerli a tornare indietro, ma i soldati non diedero ascolto. Quando avevano già percorso una trentina di stadi, Seute

si fece loro incontro. Senofonte, come lo vide, lo invitò a venire avanti, perché il maggior numero di gente potesse udire

ciò che ritiene utile dire. 8 Quando Seute si fu avvicinato, Senofonte gli rivolse la parola: «Ci dirigiamo dove l'esercito

avrà modo di trovare cibo. Là presteremo un orecchio attento alle tue proposte e a quelle del Lacone e poi prenderemo il

partito che ci sembrerà migliore. Se ora ci guiderai dove ci siano rifornimenti in grande abbondanza, faremo conto di

aver stretto con te vincoli di ospitalità». 9 E Seute: «Certo, conosco parecchi villaggi, l'uno vicino all'altro: lì non

mancano viveri di alcun genere e distano quel tanto che basta per stuzzicarvi l'appetito». «Guidaci allora», disse

Senofonte. 10 Appena raggiunsero i villaggi nel pomeriggio, i soldati si riunirono e Seute tenne un discorso: «Uomini,

vi chiedo di combattere al mio fianco e prometto un ciziceno per i soldati semplici e la solita paga per i locaghi e gli

strateghi. Inoltre, saprò ricompensare chi lo merita. Cibi e bevande li prenderete nella regione, come adesso; ma il resto

del bottino lo esigo io, per potervi pagare, dopo che lo avrò venduto. 11 Abbiamo forze sufficienti per inseguire e

braccare i fuggiaschi e i disertori; ma se qualcuno opporrà resistenza, insieme a voi cercheremo di schiacciarlo». 12

Senofonte chiese: «Fino a che distanza dal mare pretenderai che si spinga l'esercito per seguirti?». Rispose: «A non più

di sette giorni di cammino, ma nella maggior parte dei casi anche meno».

13 Allora viene concesso a tutti il diritto di parlare. Molti, sulla stessa linea, dissero che bisognava tenere nella

massima considerazione le parole di Seute: era inverno, per cui, anche volendo, non si poteva alzar le vele verso casa,

né d'altronde era possibile restare in terra amica, se si doveva campare sborsando denaro per i viveri; nel caso invece

che si dovesse trascorrere un certo periodo in terra nemica e procurarsi lì i viveri, era meno rischioso stare con Seute

che rimaner soli. E se, tra i tanti altri vantaggi, prendevano per di più anche una paga, sembrava proprio un colpo di

fortuna. 14 Senofonte allora: «Se c'è qualcosa in contrario, ditelo; altrimenti passo alla votazione». Poiché nessuno

sollevò obiezioni, Senofonte mise ai voti la proposta, che venne approvata. Comunicò sùbito a Seute che l'esercito

avrebbe combattuto al suo fianco.

15 Dopo, il resto dell'esercito si attendò diviso per reparti, mentre gli strateghi e i locaghi furono invitati a

pranzo da Seute, che si trovava in un villaggio vicino. 16 Mentre erano lì nei pressi e si apprestavano a entrare per il

pranzo, spuntò un certo Eraclide di Maronea. Costui si rivolse, uno alla volta, a chi - a suo avviso - poteva avere

qualcosa da donare a Seute, in primo luogo ad alcuni di Pario che erano lì per concludere un'alleanza con Medoco, re

degli Odrisi, e recavano doni per lui e sua moglie. Eraclide disse che Medoco si trovava a dodici giorni di strada dal

mare e che adesso Seute, forte dell'esercito assoldato, sarebbe divenuto governatore della regione costiera. 17

«Diventerà un vostro vicino e disporrà di ogni mezzo per farvi del bene come del male. Se avete buon senso,

consegnate a lui i doni che avete, sarà per voi più vantaggioso che portarli a Medoco, che abita nell'interno». Con tali

parole cercava di convincerli. 18 Poi, quando seppe che Timasione di Dardano aveva coppe e tappeti barbarici, lo

avvicinò e gli disse che, secondo l'usanza, gli invitati alla tavola di Seute si dovevano presentare con dei doni: «Seute.61

diventerà signore della regione e avrà i mezzi tanto per rimandarvi in patria quanto per rendervi ricchi qui». E

consigliava con discorsi del genere avvicinando tutti, uno a uno. 19 Accostatosi a Senofonte disse: «Tu vieni da una

città potente e godi di grandissima rinomanza presso Seute. Forse ti riproporrai di ottenere in questa regione, fortezze e

territori, come già alcuni altri di voi Ateniesi. Ti conviene allora onorare Seute con regali che si addicano a tanta

grandezza d'animo. 20 Ti spingo a farlo nel tuo interesse, perché so bene che quanto più magnifici saranno i tuoi doni,

tanto più grandi saranno i benefici che da lui riceverai». Nell'udire tali parole, Senofonte non seppe più che fare, perché

era salpato da Pario senza portare nulla con sé, se non uno schiavo e lo stretto indispensabile per il viaggio.

21 Quando furono fatti accomodare per il pranzo, i più autorevoli Traci lì presenti, insieme agli strateghi, ai

locaghi e i rappresentanti venuti in ambasceria dalle città, si sedettero in cerchio. Poi vennero portati a tutti dei tavoli a

tre piedi colmi di porzioni di carne e, oltre a ciò, erano state infilzate in spiedi grosse forme di pane lievitato. 22 I

tavoli, per lo più, erano posti sempre davanti agli ospiti, come voleva la consuetudine. Il primo a rispettarla fu Seute:

prendeva i pani disposti davanti a lui, li spezzava in piccole parti e le gettava a chi gli pareva; con le carni faceva lo

stesso, tenendo per sé quel tanto che bastava per un assaggio. 23 Gli altri commensali che avevano i tavoli dinnanzi a

loro si comportavano allo stesso modo. Ma un Arcade, di nome Arista, un vero ingordo, non si curò del lancio del cibo,

afferrò un pane di almeno tre chenici, si mise la carne sulle ginocchia e non smise un attimo di divorare. 24 Poi vennero

fatti circolare corni pieni di vino e tutti ne presero. Quando il coppiere gli si avvicinò porgendogli il corno, Arista,

vedendo Senofonte che aveva smesso di mangiare, saltò su: «Dallo a lui, che ha tutto il tempo che vuole, io ho ancora

da fare». 25 Seute udì la sua voce e chiese cosa avesse detto al coppiere. E il coppiere, che parlava greco, glielo

tradusse: allora scoppiò una risata generale.

26 Mentre la bevuta proseguiva, entrò un Trace con un cavallo bianco e, tenendo in mano un corno pieno di

vino, disse: «Bevo alla tua salute, Seute, e ti dono questo cavallo: con lui potrai catturare qualsiasi nemico, quando ti

lancerai al suo inseguimento, oppure, se ripiegherai, non dovrai temere nessuno». 27 Un altro si presenta con un

fanciullo e ne fa dono a Seute, sempre brindando, un altro ancora gli regala una veste per la sposa. Timasione, bevendo

alla salute di Seute, gli donò una coppa d'argento e un tappeto del valore di dieci mine. 28 Poi un certo Gnesippo,

ateniese, si alzò in piedi e disse che era bellissima l'antica usanza secondo cui i ricchi facevano doni al re per rendergli

omaggio, mentre il re elargiva ai poveri: «Perciò», concluse, «anch'io ho modo di offrirti doni e di onorarti». 29

Senofonte non sapeva che fare. Tra l'altro, stava seduto al posto d'onore, sul seggio più vicino a Seute. Intanto Eraclide

ordina al coppiere di porgere il corno a Senofonte, che, ormai un po' brillo, trovò il coraggio di alzarsi e, prendendo il

corno, disse: 30 «Io invece, Seute, ti faccio dono di me stesso e dei miei uomini, per dimostrarci leali amici: nessuno si

offre a malincuore, ma tutti, ancor più di me, aspirano alla tua amicizia. 31 E ora i miei soldati sono qui, non per

ottenere qualche favore, ma per prodigarsi e affrontare fatiche e pericoli per te, spontaneamente. Con loro, se gli dèi

vorranno, riconquisterai una grande terra, la terra che era dei tuoi padri, e ne sottometterai un'altra, avrai a disposizione

molti cavalli e ancora molti uomini e belle donne, senza doverli più catturare come prede, anzi saranno loro stessi a

venire da te e a portarti doni». 32 Seute si alzò in piedi, vuotò d'un fiato il corno insieme a Senofonte e con lui versò a

terra le ultime gocce. Poi fecero il loro ingresso dei suonatori con corni simili a quelli che si usano per mandare segnali

e trombe di pelle di bue non conciata: davano la cadenza, come si fa con la magadi. 33 Anche Seute saltò in piedi

lanciando l'urlo di guerra e, con grande agilità, spiccò un balzo, come per schivare un proiettile. Entrarono anche dei

buffoni.

34 Quando il sole volgeva al tramonto, i Greci si alzarono e dissero che era venuto il momento di disporre le

sentinelle notturne e di trasmettere la parola d'ordine. Chiesero a Seute di diramare l'ordine che nessuno dei Traci

penetrasse di notte nel campo greco: «I Traci sono nostri nemici», dissero, «anche se voi ci siete amici». 35 Quando si

apprestavano a uscire, Seute si alzò in piedi insieme a loro: non dava affatto l'impressione di esser ubriaco. Uscito,

chiamò a sé gli strateghi: «I nostri nemici non sono ancora al corrente della nostra alleanza. Se piomberemo su di loro

prima che possano guardarsi da un attacco improvviso o prepararsi alla difesa, più grande sarà il bottino di uomini e

cose». 36 Gli strateghi assentirono, insistendo perché assumesse il comando. Seute disse: «Preparatevi e aspettate.

Quando sarà il momento, vi raggiungerò e, insieme a voi e ai peltasti, con l'aiuto degli dèi, vi guiderò contro il nemico».

37 Intervenne Senofonte: «Considera però, in caso di marcia notturna, se non sia meglio assumere l'assetto che di regola

usano i Greci. Di giorno infatti, durante gli spostamenti, prende la testa della colonna il contingente che, di volta in

volta, è più adatto alla natura del terreno, che siano gli opliti, i peltasti o la cavalleria. Di notte invece è norma per i

Greci che stiano davanti le truppe più lente. 38 Così è più difficile che l'esercito si spacchi in diversi tronconi e che,

senza accorgersene, si perdano i contatti. Capita spesso che i gruppi rimasti staccati si scontrino tra di loro e che

infliggano o subiscano gravi perdite, perché non si riconoscono». 39 Seute rispose: «Ben detto, anch'io adotterò la

vostra norma. Vi darò come guide gli anziani che conoscono meglio il paese; dal canto mio, vi seguirò in retroguardia

con i cavalieri: non ci metterò molto a riportarmi in testa, se sarà il caso». Stabilirono «Atena» come parola d'ordine,

vista la comune discendenza. Dopo andarono a riposare.

40 Si era intorno alla mezzanotte, quando giunse Seute con i cavalieri che indossavano corazze e con i peltasti

armati. Dopo aver assegnato le guide, si misero in cammino: gli opliti in testa, quindi i peltasti e poi i cavalieri in

retroguardia. 41 Quando fu giorno, Seute si spinse in avanti e spese parole di elogio per l'assetto di marcia greco: «Mi è

capitato spesso di marciare di notte, ma, anche se avevo reparti piccoli, si creava una frattura tra cavalieri e fanti: ora,

allo spuntar del giorno, ci presentiamo tutti compatti, come si deve. Adesso rimanete qui e riposatevi», soggiunse, «io

vado in perlustrazione e poi sarò di ritorno». 42 Dopo aver così parlato, partì al galoppo, prendendo una strada verso la

montagna. Quando giunse dove la neve era alta, controllò se si scorgessero impronte di uomini, in una direzione o.62

nell'altra. Siccome vide che la via non era stata battuta, tornò indietro rapidamente e disse: 43 «Uomini, andrà tutto

bene, se la divinità lo vorrà concedere. Piomberemo addosso a quella gente senza che si accorgano del nostro arrivo.

Prenderò la testa con i cavalieri, perché così, se vedremo qualcuno, potremo impedirgli di fuggire e di avvisare i nemici.

Voi teneteci dietro: se rimarrete staccati, seguite le orme dei cavalli. Dopo aver superato i monti giungeremo in molti

ricchi villaggi».

44 A mezzogiorno è già in vetta e, scrutando dall'alto, avvista i villaggi. Ritorna di gran carriera presso gli

opliti e dice: «Tra poco darò ai cavalieri via libera per piombare nella pianura e ai peltasti per assalire i villaggi.

Seguiteci con la massima celerità: nel caso che dovessimo trovare resistenza, ci darete manforte». 45 Senofonte allora

smontò da cavallo. E Seute: «Perché scendi, ora che c'è bisogno di sbrigarci?». «So», rispose, «che non hai bisogno solo

di me: gli opliti correranno più veloci e con maggior entusiasmo, se anch'io sarò a piedi». 46 Seute quindi si allontanò,

seguito da Timasione con una quarantina di cavalieri greci. Senofonte passò l'ordine a coloro che avevano meno di

trent'anni - i più agili - di staccarsi dai loro reparti. Egli stesso si mise a correre seguito da costoro, mentre alla guida

degli altri c'era Cleanore. 47 Una volta arrivati ai villaggi, sopraggiunse Seute con una trentina di cavalieri e disse:

«Senofonte, è andata proprio come avevi detto: li abbiamo in pugno. Ma i miei cavalieri si sono lanciati

all'inseguimento in tutte le direzioni, rimanendo isolati, e ora temo che i nemici si raccolgano da qualche parte e ci

procurino dei guai. È il caso che alcuni di noi rimangano nei villaggi, perché sono pieni di uomini». 48 «Io», rispose

Senofonte, «vado a prendere il controllo delle alture con gli uomini che ho. Tu da' ordine a Cleanore di dispiegare la

falange giù in pianura, lungo la linea dei villaggi». Grazie a tali manovre, catturarono un migliaio di schiavi, duemila

buoi e altri diecimila capi di bestiame. Quindi alloggiarono sul posto.

4

1 Il giorno successivo Seute incendiò completamente i villaggi senza risparmiare nemmeno una casa: voleva

seminare il pànico anche nelle altre genti dando una dimostrazione di cosa li avrebbe aspettati, se non avessero

obbedito. Poi tornò indietro. 2 A Perinto mandò Eraclide a vendere il bottino, per aver il denaro con cui pagare i

soldati. Intanto, con i Greci, si accampò nella piana dei Tini, che evacuarono la zona e si rifugiarono sui monti.

3 C'era la neve alta e un gelo tale, che l'acqua presa per la cena si ghiacciava, come pure il vino nelle anfore;

molti Greci ebbero anche il naso e le orecchie congelate. 4 Fu chiaro allora perché i Traci portano sul capo e sulle

orecchie berretti di pelo di volpe e vesti che coprono non solo il busto, ma anche le cosce e, quando vanno a cavallo,

non indossano mantelli, ma cappe lunghe fino ai piedi.

5 Seute manda sulle montagne alcuni prigionieri, per dire che, se non fossero ritornati alle loro case e non

avessero obbedito, avrebbe dato fuoco sia ai loro villaggi sia alle scorte di cibo e sarebbero morti di fame. Di

conseguenza scesero a valle le donne, i bambini e gli anziani: i giovani rimasero alloggiati nei villaggi ai piedi del

monte. 6 Quando lo venne a sapere, Seute ordinò a Senofonte di prendere gli opliti più giovani e di seguirlo. Si

mossero di notte: alle luci del giorno erano nei pressi dei villaggi. La maggior parte dei nemici fuggì: il monte era infatti

vicino. Ma dei prigionieri Seute non ne risparmiò nessuno, li massacrò tutti a colpi di giavellotto.

7 C'era un certo Epistene di Olinto, uno a cui piacevano i ragazzi. Costui vide un bel fanciullo che era appena

entrato nella pubertà: stava col suo scudo imbracciato, in attesa di morire. Epistene allora si precipitò da Senofonte e lo

supplicò di soccorrere un bel fanciullo. 8 Senofonte si avvicina a Seute e gli chiede di non uccidere il ragazzo; gli

spiega le abitudini di Epistene e aggiunge che, quando costui aveva scelto gli uomini per il suo loco, aveva guardato

unicamente alla bellezza di ognuno; eppure, con loro al fianco, si era dimostrato valoroso. 9 Seute domandò: «Epistene,

saresti disposto a morire al posto suo?»; l'altro, porgendo il collo: «Colpisci pure, se è il fanciullo a chiedertelo e se

saprà serbarmi gratitudine». 10 Seute allora si rivolse al ragazzo, domandandogli se doveva uccidere l'altro in vece sua.

Il giovane disse di no, anzi prese a supplicarlo di risparmiarli entrambi. A quel punto Epistene gettò le braccia intorno al

ragazzo dicendo: «Adesso, Seute, dovrai vedertela con me per il fanciullo: non lo lascerò». 11 Seute scoppiò a ridere e

si disinteressò della cosa: decise, piuttosto, di stabilire lì il campo, per impedire che i nemici rifugiatisi sui monti si

rifornissero di viveri in quei villaggi. Poi scese in pianura e piantò le tende, mentre Senofonte rimase nel villaggio più

alto, ai piedi della montagna, con le truppe scelte. Gli altri Greci si attendarono nelle vicinanze, tra i Traci cosiddetti

montanari.

12 Non passarono molti giorni che i Traci rifugiatisi sui monti scesero da Seute a trattare tregua e scambio di

ostaggi. Anche Senofonte raggiunse Seute per dirgli che erano alloggiati male e troppo vicino al nemico: avrebbe

preferito accamparsi all'aperto, ma in una zona sicura, piuttosto che sotto un tetto, per finire magari ammazzato. Seute

lo esorta a star tranquillo e gli mostra gli ostaggi nemici in sua mano. 13 Alcuni dei Traci che erano sui monti scesero

per chiedere anche a Senofonte di collaborare con loro ai negoziati per la tregua. Senofonte acconsentì e li rassicurò,

garantendo che non avrebbero sofferto alcun male, se si fossero sottomessi a Seute. Ma i Traci, in effetti, erano venuti a

colloquio solo per spiare.

14 Ecco cosa accadde di giorno. Al sopraggiungere della notte invece i Tini calarono dal monte per un attacco.

Li conducevano i padroni di ciascuna casa, perché sarebbe stato difficile, buio com'era, rintracciare le abitazioni nei

villaggi. Le case, infatti, erano tutt'attorno circondate da alti recinti per custodire il bestiame. 15 Quando furono davanti

alle porte di ciascuna abitazione, alcuni cominciarono a scagliare giavellotti, altri a vibrare colpi con randelli che

avevano con sé - dissero - per spezzare le punte delle lance, altri ancora a dar fuoco. Chiamavano per nome Senofonte e.63

gli dicevano di venir fuori a morire, se non voleva bruciar vivo. 16 Si vedevano già le fiamme sul tetto. Dentro si

trovavano gli uomini di Senofonte, armati di corazza, con scudo, spada ed elmo, quand'ecco che Silano di Macisto, un

giovane sui diciott'anni, dà con la tromba il segnale d'attacco: sùbito balzano fuori con le spade sguainate, come pure

chi era nelle altre tende. 17 I Traci si danno alla fuga, com'è loro costume, gettandosi gli scudi sulle spalle. Alcuni, nel

tentativo di saltare i recinti, rimasero appesi, perché gli scudi si erano impigliati nella palizzata: vennero catturati. Altri

invece, che non avevano raggiunto l'uscita, furono uccisi. I Greci protrassero l'inseguimento fuori dal villaggio. 18 Ma

alcuni dei Tini, tornando sui loro passi nell'oscurità, coi giavellotti colpivano chi passava davanti alla casa in fiamme,

scagliandoli dalle tenebre verso la luce. Così ferirono Ieronimo e il locago Euodea e il locago Teogene di Locri. Ma

nessuno morì. A dire il vero, qualcuno perse le vesti e i bagagli, divorati dalle fiamme. 19 Seute giunse in soccorso con

sette cavalieri dell'avanguardia e il trombettiere trace. Non appena capisce come stanno le cose, fa suonare il corno per

tutto il tempo della marcia, il che produsse spavento nei nemici. Poi arriva, stringe la destra ai Greci e dice che pensava

di trovarsi di fronte a una carneficina.

20 Senofonte gli chiede di consegnarli gli ostaggi e, se voleva, di unirsi a una spedizione sul monte. In caso

contrario, desse a lui via libera. 21 Il giorno dopo, Seute gli consegna gli ostaggi, gente piuttosto anziana, ovvero i

notabili - a quanto si diceva - dei Traci montani; ed egli stesso giunge con le sue truppe. L'esercito di Seute era ormai

triplicato: molti Odrisi, alla notizia delle sue imprese, erano scesi dai monti per unirsi alla sua spedizione. 22 I Tini,

quando videro dai monti tanti opliti, peltasti e cavalieri, scesero a valle e cominciarono a supplicare e a chiedere tregua:

davano garanzie che avrebbero eseguito ogni ordine e premevano perché accettassero i loro pegni di fede. 23 Seute

convocò Senofonte e gli espose le loro proposte, aggiungendo che non avrebbe sancito una tregua, se Senofonte stesso

avesse voluto vendicarsi dell'attacco subìto. 24 Senofonte però rispose: «Per parte mia, ritengo che sia sufficiente la

punizione che scontano già adesso, se, da liberi che erano, diventeranno schiavi». Ma suggeriva, per il futuro, di

prendere come ostaggi gli individui in grado di nuocere maggiormente, lasciando a casa i vecchi. Tutti gli abitanti della

regione, comunque, accettarono le condizioni imposte.

5

1 Oltrepassano i monti puntando contro i Traci che vivono al di là di Bisanzio, in direzione del cosiddetto

Delta. La regione non apparteneva più al dominio di Mesade, ma a Tere l'odriso [un vecchio]. 2 Eraclide era qui, con il

denaro ricavato dalla vendita del bottino. Seute si fece portare tre coppie di muli, tutte quelle che c'erano - le altre erano

composte da buoi - convocò Senofonte e lo invitò a prenderle e a distribuire il resto agli strateghi e ai locaghi. 3

Senofonte ribatté: «Per quanto riguarda me, prenderò il bottino un'altra volta. Questi animali regalali agli strateghi che ti

hanno seguito con me e ai locaghi». 4 Delle tre coppie di muli, una toccò a Timasione di Dardano, l'altra a Cleanore di

Orcomeno, la terza a Frinisco l'acheo. Le coppie di buoi vennero distribuite tra i locaghi. Pagò il soldo per venti giorni,

anche se era già trascorso un mese: Eraclide aveva detto che, nella vendita, non era riuscito a ottenere niente di più. 5

Senofonte a quel punto, infuriato, invocando gli dèi sbottò: «Non mi pare, Eraclide, che tu ti dia pensiero per Seute

come dovresti, altrimenti ti saresti presentato con l'intero stipendio, anche a costo di prendere a prestito il denaro che

mancava o di vendere il tuo mantello, se non potevi far diversamente».

6 Allora Eraclide si risentì e temette di perdere le grazie di Seute, per cui da quel giorno, non appena gli si

presentava l'occasione, screditava Senofonte agli occhi di Seute. 7 I soldati invece, per il mancato pagamento del soldo,

se la presero con Senofonte. E pure Seute s'irritò con lui, perché reclamava energicamente la paga per i soldati. 8 Fino

ad allora, ogni volta gli ricordava che, ritornati al mare, gli avrebbe affidato Bisante, Gano e Nuova Muraglia; a partire

da quel momento invece, non ne fece più parola. Eraclide, infatti, aveva insinuato che era rischioso affidare delle

fortezze a un uomo con un esercito.

9 Di conseguenza Senofonte valutò il da farsi, se proseguire la spedizione verso l'interno. Intanto Eraclide,

introducendo da Seute gli altri strateghi, li esortò a riferire che avrebbero potuto guidare l'esercito non meno bene di

Senofonte e promise che, in pochi giorni, avrebbero ricevuto la paga intera di due mesi, per cui li invitava a unirsi

all'impresa. 10 Timasione disse: «Nemmeno se dovessi prendere una paga di cinque mesi continuerei la spedizione

senza Senofonte». Frinisco e Cleanore si dichiararono d'accordo con Timasione. 11 A quel punto Seute ricoprì d'insulti

Eraclide perché non aveva convocato anche Senofonte. Allora convocano lui solo, ma Senofonte, ben conscio degli

intrighi di Eraclide, e cioè che voleva solo calunniarlo di fronte agli altri strateghi, si presenta insieme a tutti gli

strateghi e ai locaghi.

12 Quando tutti furono d'accordo, ripresero la spedizione e, tenendo sulla destra il Ponto, attraverso le terre dei

Traci cosiddetti Melinofagi, pervennero a Salmidesso. In questa zona molte delle navi che fanno rotta verso il Ponto si

arenano e naufragano: ci sono le secche per un gran braccio di mare. 13 I Traci che abitano sulla costa lì antistante,

hanno diviso le spiagge con cippi di confine e saccheggiano i relitti che capitano nella zona sotto il loro controllo. Si

racconta, infatti, che prima della demarcazione del territorio, per saccheggiare si massacrassero tra di loro. 14 Lì i Greci

trovarono molti divani, molte casse e molti rotoli scritti, nonché tutti gli altri oggetti che i proprietari delle navi di solito

trasportano nelle loro casse di legno. Da qui invertirono la marcia e tornarono indietro.

15 A questo punto Seute dunque disponeva di un esercito ormai doppio rispetto al contingente greco: dalle

terre degli Odrisi lo avevano raggiunto uomini in gruppi ancor più consistenti e anche le genti che via via si

sottomettevano a lui si univano alla spedizione. Si accamparono nella piana sopra Selimbria, a circa trenta stadi dal.64

mare. 16 Della paga, neanche l'ombra: i soldati cominciarono a risentirsi aspramente con Senofonte e Seute non lo

trattava più con familiarità, anzi, quando Senofonte si recava da lui per avere un incontro, a Seute spuntavano sùbito

mille impegni.

6

1 In quest'arco di tempo - erano trascorsi ormai circa due mesi - da parte di Tibrone giungono Carmino il

lacone e Polinico e spiegano la situazione: gli Spartani avevano deciso di attaccare Tissaferne; Tibrone si era messo in

mare per muovergli guerra, ma aveva bisogno dell'esercito greco e prometteva una paga di un darico a testa al mese, il

doppio per i locaghi e il quadruplo per gli strateghi.

2 Gli Spartani fanno appena in tempo ad arrivare, che Eraclide viene sùbito a sapere che erano lì per l'esercito;

informa allora Seute che era capitata un'occasione splendida. «Agli Spartani serve l'esercito, mentre tu non ne hai più

bisogno. Se concedi loro le truppe, te li ingrazierai, e poi i soldati non verranno più da te a reclamare il soldo, anzi se ne

andranno da questa terra». 3 Allora Seute ordina di introdurre gli emissari. Quando costoro dissero che erano lì per

l'esercito, rispose che metteva le truppe a loro disposizione, voleva essere loro amico e alleato, li ospitava a banchetto. E

la sua ospitalità fu davvero magnifica. Comunque, non convoca né Senofonte né alcuno degli altri strateghi. 4 Quando

gli Spartani gli chiesero che tipo fosse Senofonte, rispose che in generale non era un cattivo uomo, ma era troppo

attaccato ai soldati: era il suo difetto. Allora gli emissari replicarono: «Cerca forse, con atteggiamenti demagogici, di

ingraziarsi i suoi uomini?». Intervenne Eraclide: «Non c'è dubbio». 5 «Allora», ripresero, «cercherà di opporsi al nostro

tentativo di portar via le truppe?». «Se li chiamate in adunata», disse Eraclide, «e promettete loro una paga, avranno

pochi riguardi per lui e correranno dietro a voi». 6 «Come potremo convocarli?». «Domani, di buon mattino», disse

Eraclide, «vi porteremo da loro. E so», aggiunse, «che appena vi vedranno, vi correranno incontro con gioia». Così

terminò la giornata.

7 Il giorno successivo Seute ed Eraclide conducono i Laconi presso l'esercito, che viene radunato. I due Laconi

dissero che gli Spartani avevano deciso di muovere guerra a Tissaferne, «l'uomo», aggiunsero, «che vi ha fatto tanti

torti. Se vi unirete a noi, vi vendicherete di un nemico e riscuoterete la paga di un darico a testa al mese, il doppio per i

locaghi, il quadruplo per gli strateghi». 8 I soldati ascoltarono con gioia le loro parole e sùbito si alzò uno degli Arcadi

per accusare Senofonte. Era presente anche Seute, che voleva vedere come si sarebbe messa la questione: si teneva a

una distanza tale da poter udire, assistito da un interprete, anche se capiva quasi tutto, del greco. 9 Allora l'Arcade

disse: «Spartani, già da un pezzo saremmo dalla vostra parte, se Senofonte non ci avesse convinti a venire qua, dove, tra

i rigori dell'inverno, abbiamo combattuto di giorno e di notte, senza un attimo di tregua. Ma il frutto delle nostre fatiche

è lui a raccoglierlo: sottobanco Seute lo ha coperto di ricchezze, mentre noi siamo defraudati della paga. 10 Così [sono

il primo a dirlo,] se vedessi Senofonte lapidato e punito per le sofferenze in cui ci ha trascinati, sarebbe come ricevere la

mia paga e non mi roderei più per le pene passate». Dopo di lui si alzò un altro a dir cose dello stesso tenore e poi un

altro ancora. Allora Senofonte replicò:

11 «Bisogna proprio che un uomo nella sua vita si aspetti di tutto! Ma quel che è peggio, è che mi accusate

proprio di una cosa in cui, credo, in tutta coscienza, di aver mostrato il massimo zelo nei vostri confronti! Me ne stavo

andando a casa, ma poi sono tornato sui miei passi, e non certo, per Zeus, perché avevo sentito dire che ve la passavate

bene, ma piuttosto perché mi era giunta voce che eravate nei guai e volevo darvi una mano, per quanto potevo. 12 Al

mio arrivo, Seute, qui presente, mi mandò più di un emissario con mille promesse, se vi avessi persuaso a recarvi da lui:

ma non ci ho neanche provato - voi stessi lo sapete bene - e vi ho guidati dove pensavo che sarebbe stato più rapido per

voi il passaggio in Asia. Ero convinto che fosse la cosa migliore per voi e sapevo che eravate d'accordo. 13 Ma quando

Aristarco ci impediva con le sue triremi di passare lo stretto, allora vi ho convocati per decidere il da farsi, ed era

senz'altro giusto. 14 E voi, dopo aver ascoltato le disposizioni di Aristarco che vi ingiungeva di avviarvi verso il

Chersoneso e le parole di Seute che cercava di convincervi a unirvi alla sua spedizione, avete detto concordemente di

seguire Seute e avete votato tutti a favore. Perché mai sono colpevole di avervi guidato qui, se eravate tutti d'accordo?

15 Ma poi Seute ha cominciato a contravvenire ai patti per il pagamento del soldo: se lo lodassi, avreste ragione di

accusarmi e odiarmi; se invece prima ero il suo amico più caro fra tutti e adesso il più estraneo, come potrebbe essere

giusto che, dopo aver preferito voi a lui, proprio da voi debba subire l'accusa per le questioni che mi hanno alienato il

suo animo?

16 Qualcuno potrebbe dire forse che mi sono intascato il denaro di Seute che spettava a voi e adesso recito la

parte. Ma un punto almeno è chiaro: se Seute mi avesse pagato, non avrebbe certo tirato fuori dei soldi per perdere ciò

che dava a me e per rimanere debitore con voi. Piuttosto credo che, se li avesse sborsati, l'avrebbe fatto nell'intento di

spendere di meno con me anziché pagare di più con voi. 17 Ma se siete convinti che le cose stiano così, avete

l'occasione di mandare all'aria i nostri calcoli d'un colpo solo: vi basta pretendere il denaro dovuto. È chiaro che Seute,

se davvero ho preso dei soldi da lui, ne esigerà la restituzione, e con ogni diritto, se non gli garantisco la riuscita

dell'affare per cui mi ha comprato. 18 Ma da che io abbia intascato il vostro denaro, ce ne passa. Vi giuro sugli dèi tutti

e le dee che non ho ricevuto neppure quanto Seute mi aveva promesso a titolo personale. Anche lui è presente e ascolta,

per cui sa se sto spergiurando. 19 Stupitevi ancora di più: vi giuro anche che non ho preso quello che hanno ricevuto gli

altri strateghi e neppure quello che è toccato ad alcuni locaghi. 20 E perché l'avrei fatto? Credevo, uomini, che quanto.65

più mi fossi conformato a lui quando era povero, tanto più me lo sarei reso amico quando fosse diventato potente. Ma

adesso lo vedo vivere nell'agiatezza e capisco qual è il suo vero carattere.

21 Qualcuno potrebbe obiettare: "Ma non ti vergogni di esserti lasciato ingannare così stupidamente?". Per

Zeus, mi vergognerei sì, se mi avesse raggirato un nemico. Ma, quando si tratta di un amico, mi sembra che sia più

turpe ingannare che essere ingannati. 22 E se bisogna anche guardarsi dagli amici, so che avete preso ogni precauzione

per non lasciargli un valido pretesto che gli permettesse di non darci quanto promesso: non ci siamo macchiati di colpe

nei suoi confronti né abbiamo mandato a rotoli, per la nostra trascuratezza, le sue iniziative né tanto meno ci siamo

mostrati mai vili nelle azioni in cui ha chiesto il nostro aiuto.

23 Allora, potreste dire, bisognava esigere garanzie prima, in modo che non potesse raggirare neppure

volendolo. Allora ascoltate quello che non avrei mai detto in sua presenza, se non mi aveste dato l'impressione di essere

completamente insensati e troppo ingrati nei miei confronti. 24 Ripensate in quale situazione versavate quando vi ho

portati da Seute. E a Perinto? Vi avvicinavate alla città, ma Aristarco lo spartano vi impediva l'ingresso, sbarrandovi le

porte, o no? Vi eravate accampati all'aperto, in pieno inverno, vi toccava acquistare i viveri al mercato e c'era poca roba,

come pure erano pochi i soldi per comprarla. 25 Comunque era giocoforza rimanere in Tracia: le triremi alla fonda

bloccavano il porto, impedendo la traversata. Se qualcuno avesse voluto restare, era in terra ostile, con di fronte un gran

numero di cavalieri e peltasti. 26 Noi invece non avevamo altro che opliti con cui, compatti, avremmo forse potuto

marciare contro i villaggi e così procurarci viveri, ma non certo in grande quantità. Comunque sia, se ci fossimo lanciati

all'inseguimento con gli opliti, non avremmo avuto modo di catturare gente e bestiame: tra di voi non ho più trovato un

contingente organizzato di cavalleria né di peltasti.

27 Se dunque, in una situazione così disperata, anche senza ottenere per voi una paga, vi avessi procurato

l'alleanza di Seute, forte di quei cavalieri e peltasti di cui avevate tanto bisogno, avreste forse giudicato che la mia era

una decisione a vostro svantaggio? 28 Unendovi a loro, infatti, avete avuto la possibilità di procurarvi nei villaggi cibo

in quantità maggiore, perché i Traci erano costretti a fuggire in tutta fretta, e vi siete anche impossessati di un numero

maggiore di bestiame e di schiavi. 29 Del resto, non abbiamo visto più un nemico, da quando si è unita a noi la

cavalleria; fino ad allora invece i nemici ci seguivano con baldanza e, ostacolandoci con la cavalleria e i peltasti, non ci

permettevano mai di dividerci in piccoli gruppi per procurarci scorte di viveri più abbondanti. 30 Se chi ha avuto il

merito di garantirvi questa sicurezza non è riuscito ad aggiungervi un lauto compenso per i rischi che non correvate più,

è davvero una sciagura gravissima, al punto da ritenere che io non possa uscire da qui vivo?

31 Adesso, tra l'altro, come partirete? Non avete svernato tra viveri a volontà, non avete ottenuto da Seute caso

mai anche il superfluo? Certo, sperperavate i beni dei nemici. E mentre ve la passavate così, non avete mai visto morire

uno dei vostri né l'avete perso perché caduto vivo in mano nemica. 32 Se avete compiuto grandi gesta contro i barbari

dell'Asia, la vostra gloria rimane intatta, anzi non vi pare che ad essa aggiungiate oggi un altro motivo di vanto, dopo

aver piegato i Traci d'Europa contro i quali avete mosso guerra? Io a pieno titolo affermo che, per le cose di cui mi

accusate, dovreste invece rendere grazie agli dèi, perché si tratta di benefici. 33 Questo per quanto riguarda voi.

Ma io? Per gli dèi, considerate adesso come vanno a me le cose. Quando, in passato, me ne stavo tornando a

casa, mi mettevo in cammino tra i vostri grandi elogi e, grazie a voi, con la stima degli altri Greci. Godevo della fiducia

degli Spartani, altrimenti non mi avrebbero mandato da voi una seconda volta. 34 Adesso invece me ne vado, messo in

cattiva luce da voi agli occhi degli Spartani e, per aver preso le vostre parti, inviso a Seute; e dire che presso di lui, in

ragione dei grandi servigi prestati insieme a voi, speravo di trovare un rifugio per me e per i miei figli, se ne avrò. 35

Ma voi, per i quali mi sono creato tante inimicizie presso persone ben più potenti di me, la pensate così sul mio conto,

anche se neppure ora ho smesso di brigare per procurarvi i vantaggi che posso.

36 Su, mi avete in pugno: non fuggo, non cerco di svignarmela. Se farete ciò che dite, sappiate che avrete

ucciso un uomo che ha vegliato per voi tante notti, che molte sofferenze, molti pericoli ha affrontato con voi, quando

toccava a lui e quando non gli toccava, un uomo che, con il favore degli dèi, insieme a voi ha innalzato tanti trofei sui

barbari: inoltre, ho messo in campo ogni mia risorsa perché non diventaste nemici di nessun greco. 37 Ecco perché ora

avete la possibilità di dirigervi dove volete, per terra e per mare, senza esporvi ad attacchi. Adesso intravvedete grandi

ricchezze e state per far vela verso le terre che agognate da tempo, i più potenti vi cercano e si delinea la speranza di una

paga, vi hanno raggiunto, per prendere la vostra testa, gli Spartani considerati più autorevoli: vi pare adesso il momento

adatto per mettermi a morte in fretta e furia? 38 Non era così, quando eravate nei guai, quando mi chiamavate padre e

promettevate che vi sareste ricordati per sempre di me come vostro benefattore: ma nessuno ha la memoria corta come

voi. Comunque non sono certo privi di discernimento gli Spartani che sono ora giunti qui per voi. Per cui, non darete,

credo, una gran bella impressione, comportandovi così nei miei confronti». Detto ciò, tacque.

39 Carmino lo spartano si alzò e disse: «Per i Dioscuri, mi pare che non abbiate motivo di prendervela con

quest'uomo. Anch'io posso testimoniare in suo favore. Seute, quando io e Polinico lo abbiamo interpellato su che tipo

fosse Senofonte, ci ha risposto che in generale non aveva particolari appunti da muovergli, se non il suo eccessivo

attaccamento ai soldati, il che poteva danneggiare noi Spartani e Seute stesso». 40 Dopo di lui si levò in piedi Euriloco

di Lusi [arcade] e prese la parola: «A parer mio, Spartani, il primo atto che dovreste compiere come nostri comandanti,

è di esigere la nostra paga da Seute, volente o nolente, senza portarci via prima di ottenerla». 41 Intervenne l'ateniese

Policrate, su pressione di Senofonte: «Uomini, vedo qui presente anche Eraclide: è lui che ha preso le ricchezze che

abbiamo conquistato col nostro sudore, le ha vendute e non ha restituito il ricavato né a Seute né a noi, ce le ha rubate e

se le tiene per sé. Se abbiamo la testa sul collo, prendiamolo: non è un trace, è un greco che fa torto ad altri Greci»..66

42 Eraclide è molto colpito da tali parole. Si avvicina a Seute e dice: «Se anche noi abbiamo la testa sul collo,

andiamocene dalle loro grinfie». Montarono a cavallo e partirono di gran carriera verso il loro accampamento. 43

Quindi Seute manda a Senofonte il proprio interprete, Abrozelme, pregandolo di rimanere con lui insieme a mille opliti

e garantendo che gli avrebbe dato sia le fortezze sul mare sia tutti gli altri beni promessi. E in segreto lo informa di aver

udito da Polinico che, se fosse finito nelle mani degli Spartani, sarebbe stato sicuramente messo a morte da Tibrone. 44

Anche molti altri misero Senofonte al corrente di voci simili, dicendogli che si erano sparse calunnie sul suo conto e che

doveva stare in guardia. Allora Senofonte prese due vittime e le sacrificò a Zeus re, chiedendogli se per lui fosse meglio

e più conveniente rimanere con Seute alle condizioni di Seute oppure partire con l'esercito. Il dio gli indica di partire.

7

1 Seute poi si spostò, portando più lontano il campo. I Greci si acquartierarono nei villaggi: da qui poi

volevano far rifornimento e raggiungere il mare. Erano i villaggi che Seute aveva concesso a Medosade. 2 Costui,

vedendo le proprie scorte dei villaggi dilapidate dai Greci, rimase contrariato. Preso con sé un Odriso, il più potente tra

quanti erano scesi dai monti, con una trentina di cavalieri si reca al campo greco e chiama fuori Senofonte, che si avvia

insieme ad alcuni locaghi e altri uomini adatti alla situazione. 3 Medosade allora gli dice: «Senofonte, siete nel torto a

saccheggiare i nostri villaggi. Pertanto io, a nome di Seute, e costui, inviato da Medoco, il re della regione interna, vi

intimiamo di abbandonare il paese. Altrimenti non vi lasceremo fare, ma, se devasterete la nostra terra, ci difenderemo

da voi come da nemici».

4 Allora Senofonte ribatté: «Il tuo tono non merita neanche risposta. Ma voglio parlare per questo giovane,

perché sappia che razza di gente siete voi e come invece siamo noi. 5 Prima di diventare vostri alleati, ci muovevamo

in questa regione in lungo e in largo, devastando se volevamo oppure incendiando. 6 E tu, ogni volta che ci hai

raggiunto in missione, alloggiavi presso di noi senza timore di nessun nemico. Voi invece non mettevate piede in questo

paese, o se mai accadeva, vi accampavate come si fa nelle terre di genti più potenti, tenendo i cavalli sempre con il

morso in bocca. 7 Una volta che siete diventati nostri alleati, per merito nostro e con l'aiuto degli dèi vi siete

impadroniti di questa terra e adesso ci scacciate dal paese che avete ricevuto dalle nostre mani, dopo che l'avevamo

conquistato con la forza. Come sai anche tu, i nemici non erano in grado di spazzarci via. 8 Ora, anziché congedarci

sdebitandoti con doni e benefici in cambio dei favori ricevuti, non ci consenti neppure, per quanto almeno sta in tuo

potere, di accamparci qui, benché ci accingiamo alla partenza. 9 E mentre parli, non provi vergogna di fronte né agli

dèi né a quest'uomo, che adesso ti vede ricco, mentre prima di diventare nostro alleato trovavi di che vivere dalle razzie,

come hai confessato tu stesso. 10 Ma perché queste cose le vieni a raccontare a me? A comandare non sono più io, ma

gli Spartani, ai quali avete consegnato l'esercito perché se lo portassero via, senza neppure avvisarmi, strani come siete.

E se prima mi ero attirato la loro ostilità perché avevo condotto da voi l'esercito, adesso avrei anche potuto rientrare

nelle loro grazie restituendoglielo».

11 Allora l'Odriso sbottò: «Medosade, vorrei sprofondare sotto terra per la vergogna, sentendo le sue parole. Se

l'avessi saputo prima, non ti avrei seguito. E ora me ne vado. Medoco, il mio re, non approverebbe di certo il mio

comportamento, se io scacciassi i nostri benefattori». 12 Detto ciò, montò a cavallo e partì al galoppo con i suoi

cavalieri, tranne quattro o cinque. Medosade - lo angustiava infatti che la sua terra venisse saccheggiata - invitò

Senofonte a convocare i due Spartani. 13 Senofonte insieme ai suoi uomini più fidati si recò da Carmino e Polinico e

riferì che Medosade avrebbe loro intimato, come aveva già fatto con lui, di lasciare il paese. 14 «Credo», proseguì,

«che potreste ottenere il soldo dovuto all'esercito, se diceste che le truppe vi hanno chiesto di esigere il pagamento da

Seute, volente o nolente, e che sostengono che, se l'ottengono, vi seguiranno con entusiasmo. Aggiungete che, secondo

voi, hanno ragione e che avete promesso di partire solo quando avranno quel che spetta loro».

15 Allora gli Spartani dissero che avrebbero presentato le loro richieste ed esercitato anche tutte le altre

pressioni possibili. Si avviarono immediatamente con tutti gli uomini più adatti al caso. Giunto sul posto, Carmino

disse: «Se hai qualcosa da dirci, Medosade, parla; in caso contrario abbiano noi qualcosa da dire a te». 16 A quel punto

Medosade, abbassando la cresta: «Io vi devo dire, e Seute è d'accordo, che riteniamo giusto che chi è diventato nostro

alleato non subisca torti da voi. Qualsiasi danno inferto a loro, consideratelo ormai inferto a noi: è gente nostra». 17

«Noi allora», replicarono gli Spartani, «partiremo da qui solo quando avranno riscosso la paga i soldati che hanno

conquistato per voi tutto questo. Altrimenti, verremo a portar loro aiuto e a punire la gente che, contro i giuramenti, ha

commesso un'ingiustizia nei loro confronti. Se tra gli altri ci siete anche voi, allora cominceremo a far giustizia proprio

da voi». 18 Intervenne Senofonte: «Medosade, sostenete che la gente che vive nel paese in cui ci troviamo è vostra

amica: sareste allora disposti a lasciare a loro la scelta, quale che sia il loro voto, di chi debba andarsene, se noi o voi?».

19 Medosade disse di no. Invitò, piuttosto, i due Laconi a recarsi da Seute per la questione del soldo, dichiarandosi

sicuro che l'avrebbero convinto. In caso contrario, mandassero con lui Senofonte, e garantiva di prestare la propria

collaborazione. Comunque, scongiurava di non incendiare i villaggi.

20 Allora inviano Senofonte e, con lui, le persone che sembravano più indicate. Una volta giunto, si rivolge a

Seute: «Non sono qui per avanzare richieste, Seute, ma per spiegarti, se mi è possibile, 21 che non avevi ragione di

risentirti perché ti chiedevo energicamente, a nome dei soldati, di mantenere le promesse. Ritenevo infatti che fosse nel

tuo interesse dare, non meno che nel loro ricevere. 22 Primo, so che sono stati loro, dopo gli dèi, a darti notorietà,.67

perché ti hanno reso sovrano di una grande regione e di molti uomini, per cui adesso non hai la possibilita di tener

nascoste le tue azioni, dignitose o turpi che siano.

23 Per un uomo di tal rango è importante, mi pare, non dar l'impressione di congedare nell'ingratitudine i

propri benefattori, come pure godere di buona reputazione tra seimila uomini, ma la cosa principale è di non mancare

mai e poi mai alla parola data. 24 Mi accorgo infatti che le parole della gente sleale si perdono nel vuoto, inefficaci e

disprezzate. Quelli invece che danno prova di sincerità, le loro parole, se c'è bisogno, raggiungono lo scopo meglio della

coercizione impiegata dagli altri. Se poi si vuol ricondurre a ragione qualcuno, so che le minacce delle persone sincere

portano a rinsavire non meno delle punizioni immediate degli altri. E se questi uomini leali fanno una promessa a

chicchessia, raggiungono lo scopo prefisso non meno di coloro che elargiscono doni sùbito.

25 Richiama alla mente tu stesso quali doni ci hai anticipato nel momento in cui ci hai presi come alleati:

nessuno, lo sai bene. È stata concessa fiducia alla sincerità delle tue parole e, così, hai persuaso tanti uomini a unirsi alla

tua impresa e a procurarti un regno che vale non solo trenta talenti - che è quanto ritengono di dover riscuotere adesso -

ma ben di più. 26 Dunque l'iniziale fiducia, quella fiducia che ti è valsa il regno, la vendi per così poco?

27 Su, ripensa a che grande impresa ti sembrava, allora, la conquista del regno che oggi hai assoggettato. Son

sicuro che ti sarai augurato di portare a termine il progetto che sei riuscito a realizzare, piuttosto che possedere

ricchezze di molto superiori alla somma che ci devi. 28 A me dunque pare un danno maggiore, un'onta più grave

perdere quanto ora possiedi rispetto a non averlo acquistato prima, così come diventare poveri da ricchi è più duro che

non essere mai stati ricchi; ed è più doloroso passare da re a semplice cittadino piuttosto che non aver mai avuto un

regno.

29 Sai bene che i tuoi attuali sudditi non si sono sottomessi al tuo dominio per amicizia, ma per necessità, e che

cercherebbero di ritornare liberi, se non li tenesse a freno la paura. 30 Credi forse che avrebbero maggior timore, che

sarebbero più ragionevoli nei tuoi confronti, se vedessero i nostri soldati pronti a restare a un tuo ordine, pronti ad

accorrere in caso di necessità, e se altri soldati, sentendo i nostri parlar bene di te, si precipitassero qui, quando tu lo

volessi? Viceversa, come andranno le cose, se sospetteranno che nessun altro vorrà mettersi ai tuoi ordini per la sfiducia

generata dagli avvenimenti attuali e se si faranno l'idea che simpatizzano più per loro che per te? 31 Tra l'altro, hanno

ceduto non perché vinti dal nostro numero, ma per mancanza di capi. Ora c'è il pericolo che cerchino dei comandanti tra

la gente che pensa di aver subìto torti da te oppure che si rivolgano a chi è ancor più potente, agli Spartani. C'è

l'eventualità che i soldati promettano di marciare al loro fianco con maggior entusiasmo, una volta ottenuto quanto devi

loro e che gli Spartani soddisfino le loro richieste, perché hanno bisogno dell'esercito. 32 I Traci che ti sono soggetti

combatterebbero con maggior ardore contro di te che con te, è fuor di dubbio. Se vinci, per loro significa schiavitù, se

perdi, libertà.

33 Devi darti pensiero del paese che hai conquistato. Credi forse che patirà meno danni se questi soldati,

quando avranno ottenuto i soldi che reclamano, si allontaneranno in pace oppure se rimarranno qui come in terra nemica

e tu cercherai di opporre altre forze più numerose delle loro, forze che avranno bisogno di vettovaglie? 34 Dilapiderai

più denaro se pagherai la somma dovuta oppure se, pur restando debitore, dovrai stipendiare truppe ancor più

numerose? 35 Eraclide mi ha confidato che considera enorme la somma. Per te adesso trovare e corrispondere una tale

cifra è più semplice di quanto lo sarebbe stato tirar fuori la decima parte di essa prima del nostro arrivo. 36 Non è il

numero a far la differenza tra il molto e il poco, ma la forza di chi paga e trova il denaro. Per te adesso l'entrata annua

supera il patrimonio complessivo di cui disponevi prima.

37 Seute, mi preoccupo di tutto questo perché sei un amico e desidero che tu possa dimostrarti degno di godere

dei benefici che gli dèi ti hanno accordato e perché io non perda credito tra le truppe. 38 Sappi infatti che, attualmente,

non sono in grado, con questo esercito, né di colpire un nemico né di accorrere ancora in tuo aiuto, pur con tutta la mia

buona volontà, perché l'esercito è maldisposto verso di me. 39 Eppure, insieme agli dèi che tutto sanno, chiamo te a

testimone che non mi hai dato nulla che fosse destinato alle truppe, né ti ho mai chiesto per me quello che spettava a

loro né ho preteso quanto mi avevi promesso. 40 E ti giuro che, se tu me ne avessi fatto dono, non l'avrei accettato, a

meno che anche i soldati non ricevessero al contempo quanto loro spettava. Sarebbe stata un'infamia brigare per i miei

vantaggi e tollerare che i loro andassero male, tanto più che godevo della loro stima. 41 Al contrario Eraclide considera

che niente ha valore, quando si tratta di intascar denaro, a qualsiasi costo. Io invece, o Seute, penso che per un uomo, e a

maggior ragione per un capo, non ci sia tesoro più bello e fulgido della virtù, della giustizia, della generosità. 42 Chi le

possiede, è ricco perché ha molti amici, è ricco perché molti altri vogliono diventare suoi amici; se la sua situazione è

prospera, avrà con chi dividere la sua felicità, se invece cadrà, non gli mancheranno persone pronte a tendergli una

mano.

43 Ma se prima, sulla base delle mie azioni, non hai capito che ti ero amico di cuore e se neppure adesso, dalle

mie parole, riesci a comprenderlo, cerca almeno di riflettere su tutti i discorsi pronunciati dai soldati: eri presente e hai

sentito cosa dicevano i miei detrattori. 44 Mi accusavano, al cospetto degli Spartani, di preoccuparmi dell'interesse tuo

più che di quello degli Spartani e mi imputavano di pensare più al tuo vantaggio che al loro, aggiungendo che mi avevi

corrotto con doni. 45 Perciò, pensi che mi abbiano accusato di aver ricevuto doni da parte tua perché scorgevano in me

una sorta di malanimo nei tuoi confronti o piuttosto perché capivano che mi prodigavo per te? 46 Credo che tutti gli

uomini ritengano che si debba mostrare benevolenza alla persona da cui riceviamo i doni. E tu, prima che io ti prestassi

i miei servigi, mi accoglievi con gioia, lo si capiva dai tuoi occhi, dalla tua voce, dai doni ospitali e non eri mai stanco

di farmi promesse. Ma non appena hai raggiunto il tuo scopo e sei diventato potentissimo grazie al mio contributo,

adesso hai il coraggio di tollerare che io sia disprezzato dai miei soldati. 47 Ma son sicuro che deciderai di pagare il.68

soldo e che il tempo ti sarà maestro e non sopporterai di vedere che chi ti aveva elargito il proprio beneficio adesso si

erge a tuo accusatore. Ti prego perciò, quando tu corrisponderai il soldo, di sforzarti per restituirmi agli occhi della

truppa quel prestigio di cui godevo al momento in cui mi hai preso ai tuoi ordini».

48 Nell'udire tali parole, Seute invocò la maledizione divina sul colpevole, su chi da tanto tempo non aveva

permesso il pagamento del soldo. Tutti sospettarono che si riferisse a Eraclide. «Io», disse, «non ho mai pensato di

defraudarvi e pagherò». 49 Allora Senofonte riprese: «Dal momento che hai intenzione di pagare, adesso ti chiedo di

svolgere l'operazione per mio tramite e di non permettere che, a causa tua, mi debba trovare adesso nei riguardi

dell'esercito in un rapporto diverso rispetto a quando siamo venuti da te». 50 L'altro rispose: «Non solo, per causa mia,

non perderai prestigio tra i soldati, ma, se rimarrai con me, basta anche insieme a mille opliti, ti darò le fortezze e tutto il

resto che ti ho promesso». 51 Senofonte ribatté: «La cosa non è possibile. Congedaci». «Eppure», replicò Seute, «so

che per te, almeno, sarebbe più sicuro rimaner qui piuttosto che partire». 52 Ancora Senofonte: «Lodo le tue attenzioni,

ma non mi è possibile restare. Dovunque crescerà la mia fama, tieni per certo che anche per te sarà un vantaggio». 53

Allora Seute disse: «Denaro non ne ho, se non in piccola parte. Eccoti un talento. Ho ancora seicento buoi, circa

quattromila pecore e più o meno centoventi schiavi. Prendili, aggiungici gli ostaggi delle genti che ti hanno dato fastidi

e va' pure». 54 Senofonte scoppiò a ridere e disse: «E se non mi bastassero per pagare il soldo, da chi dirò di averlo

preso un talento? Dal momento che la mia vita è in pericolo, non è meglio che me ne vada di qui stando in guardia per

non finir lapidato? Hai sentito le minacce contro di me». Per quel giorno rimase lì.

55 L'indomani Seute diede loro ciò che aveva promesso e li fece accompagnare da alcuni uomini per guidare il

bestiame. Fino a quel momento i soldati facevano un gran parlare di Senofonte dicendo che se n'era andato da Seute per

stabilirsi nella zona e per ricevere i doni promessi: ma quando lo videro, gioirono e gli corsero incontro. 56 Senofonte,

non appena vide Carmino e Polinico, disse: «Grazie a voi è stato messo in salvo questo bestiame per l'esercito. Ve lo

consegno: vendetelo e distribuite il ricavato tra i soldati». I due presero il bestiame e, nominati dei sovrintendenti alle

operazioni, procedettero alla vendita, suscitando parecchie rimostranze. 57 Senofonte si tenne in disparte, anzi era

chiaro che si preparava al rientro in patria: in Atene infatti non era stato ancora decretato il suo esilio. Comunque i suoi

amici più fidati tra quelli che erano al campo si recarono da lui e lo scongiurarono di non partire prima di aver condotto

via l'esercito e di averlo rimesso nelle mani di Tibrone.

8

1 Da qui fecero rotta verso Lampsaco, dove Senofonte incontrò l'indovino Euclide di Fliunte, il figlio di quel

Cleagora che ha eseguito i dipinti parietali nel Liceo. Costui si rallegrò con Senofonte che avesse portato in salvo la vita

e gli domandò quanto oro avesse con sé. 2 Senofonte gli disse, giurandolo, che non aveva neppure il necessario per il

viaggio di ritorno in patria, a meno di non vendere il cavallo e le sue cose personali. L'altro non gli prestò fede. 3 Ma

quando i Lampsaceni gli inviarono i doni ospitali, Senofonte sacrificò ad Apollo, alla presenza di Euclide. Costui, come

vide le vittime, disse che adesso credeva alla storia che Senofonte non aveva denari. «E so anche», soggiunse, «che se

caso mai tu dovessi averne, troveresti sulla tua strada un impedimento: se non altro, sarai tu stesso quell'impedimento».

Senofonte ne convenne. 4 L'altro ancora: «È Zeus Meilichio a ostacolarti», e gli chiese se avesse offerto al dio un

sacrificio, poi aggiunse: «come ero solito fare io a casa, offrendo per voi sacrifici e olocausti». Senofonte rispose che

non aveva celebrato sacrifici al dio da quando aveva lasciato la patria. Allora Euclide gli consigliò di sacrificare

secondo l'usanza, asserendo che le cose si sarebbero volte in meglio. 5 Il giorno successivo Senofonte si recò a Ofrinioe

offrì un sacrificio bruciando interi alcuni porci secondo il rito patrio: le vittime diedero auspici favorevoli. 6 Quel

giorno stesso giungono Bione e Nausiclide per consegnare del denaro all'esercito. Stringono vincoli d'ospitalità con

Senofonte e, siccome quest'ultimo aveva venduto a Lampsaco il proprio cavallo per cinquanta darici, i due, sospettando

che si fosse risolto a venderlo per mancanza di mezzi, tanto più che avevano saputo che era affezionato al suo cavallo,

lo riscattarono e glielo restituirono, senza voler accettare il prezzo del riscatto.

7 Allora si mettono in marcia attraverso la Troade e, superato l'Ida, giungono dapprima ad Antandro, poi,

proseguendo lungo la costa, pervengono a Piana di Tebe in Misia. 8 Quindi attraversano Adramittio e Certono e, dopo

esser giunti a Piana del Caico, arrivano a Pergamo in Misia.

Qui Senofonte è ospitato da Ellade, moglie di Gongilo di Eretria e madre di Gorgione e Gongilo. 9 Costei

indica a Senofonte che nella pianura viveva un persiano, Asidate: se l'avessero attaccato di notte con trecento uomini,

avrebbero potuto catturarlo con la moglie, i figli e le sue ricchezze, che erano ingenti. Per guidarli nell'azione inviò con

loro suo cugino e Dafnagora, persona di cui aveva altissima stima. 10 Quando li ebbe con sé, Senofonte celebrò un

sacrificio. L'indovino Basia dell'Elide, che era presente, disse che le vittime erano propizie e che l'uomo poteva essere

catturato. 11 Dopo aver cenato, Senofonte si mise in cammino con i locaghi a lui più cari e con gli uomini che si erano

dimostrati più fidati in ogni circostanza: era un modo per ricompensarli. Ma si unirono a lui, di prepotenza, anche altri

seicento circa. I locaghi comunque si spinsero in avanti al galoppo, per non dividere il bottino, come se le ricchezze

fossero già a loro completa disposizione.

12 Non appena giunsero, intorno alla mezzanotte, lasciarono che gli schiavi, che erano nei pressi della torre, si

mettessero in salvo con la maggior parte delle ricchezze, perché miravano a prendere Asidate in persona e i suoi beni.

13 Attaccarono la torre, ma non riuscirono a espugnarla: era alta, grande, munita di parapetti e disponeva di parecchi

difensori agguerriti. Allora cercarono di aprire una breccia nella torre. 14 Lo spessore del muro era di otto mattoni.69

d'argilla. Sul fare del giorno la breccia fu aperta: non appena la luce vi filtrò, dall'interno un nemico, con uno spiedo da

buoi, trafisse la coscia dell'assalitore più vicino. Inoltre cominciarono a scagliar fuori dardi, rendendo ormai pericoloso

anche il solo avvicinarsi alla breccia. 15 Frattanto, poiché da dentro levavano grida e mandavano segnali di fuoco,

accorsero in loro aiuto Itamene con le sue truppe, reparti di opliti assiri di Comania e cavalieri ircani - erano

un'ottantina, anch'essi mercenari del re -, altri peltasti, ottocento circa, e ancora truppe da Partenio, da Apolloniae dai

dintorni, nonché cavalieri.

16 Era giunto il momento di valutare come procedere alla ritirata. Formarono il quadrato e, presi tutti i buoi e

le pecore e gli schiavi, li misero all'interno. Non si curavano tanto di portare in salvo le prede, quanto temevano che la

ritirata si tramutasse in fuga, se abbandonavano il bottino, e avevano paura di rendere più baldanzosi gli altri e di

scoraggiare i propri uomini: allora ripiegarono come se combattessero per difendere i beni predati. 17 Quando Gongilo

vide il numero esiguo dei Greci a confronto della massa degli inseguitori, volendo prendere parte all'azione, con le sue

truppe uscì lui pure allo scoperto, contro il volere della madre. Rinforzi giunsero anche da Alisarne e dalla Teutrania,

guidati da Procle, figlio di Damarato. 18 Senofonte e i suoi, poiché erano ormai messi alle strette dal lancio di frecce e

proiettili, disposti in cerchio, in modo da opporre gli scudi ai lanci nemici, guadarono a stento il fiume Carcaso, mentre

quasi la metà delle truppe era rimasta ferita. 19 Nella circostanza rimane ferito il locago Agasia di Stinfalo, che stava

combattendo senza un attimo di tregua contro i nemici. Riescono a portare al sicuro circa duecento schiavi e pecore in

numero sufficiente per i sacrifici.

20 L'indomani, dopo aver offerto un sacrificio, Senofonte di notte ritira tutto l'esercito, per percorrere il tratto

di strada più lungo possibile in Lidia, in modo che i nemici non si spaventino per la sua vicinanza, ma allentino la

sorveglianza. 21 Asidate, venuto al corrente che Senofonte aveva sacrificato per assalirlo una seconda volta con

l'esercito al completo, si trasferisce nei villaggi che sorgono ai piedi della città di Partenio. 22 È qui che Senofonte e i

suoi si imbattono in lui e lo catturano con moglie, figli, cavalli e tutto il resto. Così si avverò il primo responso dei

sacrifici.

23 Poi ritornano a Pergamo, dove Senofonte rese omaggio alla divinità. I Laconi, i locaghi, gli altri strateghi e i

soldati si accordarono per consentirgli la scelta tra i cavalli, i buoi e il resto del bottino, al punto che Senofonte ebbe

mezzi sufficienti per far doni a sua volta.

24 Nel frangente arrivò Tibrone, assunse il comando dell'esercito e, dopo averlo aggregato a un altro

contingente greco, cominciò la guerra contro Tissaferne e Farnabazo.

25 [Ecco i nomi dei governatori del paese del re, attraverso le cui terre siamo passati: in Lidia Artima, in Frigia

Artacama, in Licaonia e Cappadocia Mitradate, in Cilicia Siennesi, in Fenicia e Arabia Derne, in Siria e Assiria Belesi,

a Babilonia Ropara, in Media Arbace, tra i Fasiani e gli Esperiti Tiribazo. I Carduchi, i Calibi, i Caldei, i Macroni, i

Colchi, i Mossineci, i Ceti e i Tibareni sono popoli indipendenti. In Paflagonia Corila, tra i Bitini Farnabazo, tra i Traci

d'Europa Seute.

26 Il conto complessivo della strada percorsa all'andata e al ritorno è di millecentocinquanta parasanghe, ossia

trentaquattromiladuecentocinquantacinque stadi, in duecentoquindici tappe. La durata della spedizione, tra andata e

ritorno, è un anno e tre mesi.]